Il calendario gregoriano

Si sà che i russi non seguono il calendario giuliano riformato da papa Gregorio XIII nel 1582, ma quello originario, così come ratificato nel Concilio di Nicea del 325.

Il vecchio calendario romano a lungo andare aveva spostato gli equinozi di circa ottanta giorni quando Giulio Cesare, su indicazioni dell’astronomo alessandrino Sosigeno, lo modificò. Cesare stabilì che quell’anno, il 46 a. C., dovesse avere una durata di 445 giorni in modo che, dal primo gennaio seguente, gli anni avessero poi tutti una durata di 365 giorni, salvo, ogni quattro anni, un anno bisestile di 366 giorni. Una leggera inesattezza nella misurazione – l’anno solare dura 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 45,25 secondi – faceva regredire le date del calendario delle stagioni di quasi un giorno al secolo. In capo a sedici secoli, proprio in quel fatidico 1582, gli equinozi si ritrovarono spostati in senso opposto. Il 21 marzo 1582, infatti, giorno convenzionale per l’equinozio, stabilito dal Concilio di Nicea quale base per il calcolo della Pasqua, arrivò quando il reale equinozio astronomico era ormai già passato da dieci giorni. Fu così che Gregorio XIII, con la bolla papale Inter gravissimase ed i suggerimenti dell’astronomo calabrese Luigi Lilio, modificiò il calendraio come lo conosciamo oggi.

Per ovviare a questo il calendario gregoriano introdusse la regola che un anno è da considerare bisestile solo se è interamente divisibile per quattro, ma sono esclusi gli anni secolari il cui numero non sia divisibile per 400. Se l’anno giuliano aveva una durata di 365 giorni e venticinque di media mensile, l’anno gregoriano contienie invece un numero variabile di giorni solari e mensilmente varia da 28 a 31 giorni, con un anno bisestile ogni quattro anni, salvo le citate eccezioni. Tuttavia anche il papa finì con l’incorrere in un errore.

La commissione che aveva lavorato alla riforma era stata presieduta dal gesuita Cristoforo Clavio, assistito oltre che dal Lilio, anche dai matematici Giuseppe Scala e Ignazio Danti. Essa studiò i calcoli di Niccolò Copernico che aveva misurato sia l’anno tropico che quello siderale nel libro De Revolutionibus orbium coelestium libri sex pubblicato nel 1543.

Questi calcoli, tutti conseguenti da un’equazione fra anni solari ed anni lunari, diedero al calendrio giuliano un ritardo di più di dodici giorni sul tempo trascorso dalla sua creazione e se Gregorio XIII avesse razionalmente tagliato questo ritardo, la Pasqua sarebbe slittata infrangendo le regole della sua celebrazione stabilite dal Concilio di Nicea. Risolse tutto non facendo risalire la correzione che al 325, data del Concilio, trascurando quarantacinque anni e non sopprimendo che dieci giorni anzicchè dodici. In effettì si passò con un salto direttamente dal 4 ottobre 1582 al 15 ottobre, serbando però la progressione dei giorni della settimana. In questo modo, però, il calendario riformato finì ad essere, sì regolare nella durata dell’anno, ma anche ingrossato di un ritardo costante.

Il calendario gregoriano, infatti, guadagna un giorno rispetto a quello giuliano ogni volta che “salta” l’anno bisestile: così la differenza, che era di 10 giorni nel 1582, è diventata di 11 giorni nel 1700, di 12 nel 1800, di 13 nel 1900; sarà di 14 giorni nel 2100, di 15 nel 2200 e così via.

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

 

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