Ravenna e Giustiniano II Rinotmeto

Nel settembre 685 Giustiniano II Rinotmeto successe a suo padre Costantino IV Pogonato. Aveva sedici anni e, attorniato da perfidi consiglieri, si mostrò feroce e spietato e non tardò a sollevarsi contro di lui una rivolta che riuscì a deporlo. Fu forse l’orrida mutilazione di cui fu vittima in questa circostanza che lo rese ancora più crudele e quando, nel 705, forte di un esercito di bulgari e kazari, tornò sul trono, coprendosi il viso con un naso d’oro, si mostrò privo di compassione e ossessionato dalla vendetta efferata.

Ravenna non scampò alla sua rabbia. La città in armi aveva respinto, nel 692, il protospatario Zaccaria da lui inviato in Italia per porre in catene Papa Sergio dopo il Concilio in Trullo che Giustiniano II Rinotmeto aveva convocato contro Roma. L’inviato imperiale fu messo in fuga anche grazie alla ribellione delle truppe ravennate.

Carico di rabbia ed accecato dalla vendetta, Giustiniano II Rinotmeto ordinò a Teodoro, stratego della Sicilia, d’allestire rapidamente una poderosa flotta per portarsi a Ravenna con i segreti intenti di punire aspramente la città ribelle. Teodoro, giunto a Ravenna, senza palesare intenti ostili, tenne ancorate le sue navi nelle acque pronte per salpare ed attuò la sua trappola: invitò i patrizi locali ad un banchetto a bordo della sua nave, li accolse sorridente, con le più cortesi maniere e poi, a sorpresa, li fece così arrestare. In catene, gli aristocratici ravennati furono tenuti a bordo di quelle navi, mentre grida d’orrore si levavano dai quartieri cittadini in cui era iniziato il saccheggio delle milizie bizantine. Ravenna fu messa a ferro ed a fuoco, sgozzando un gran numero di cittadini e sottraendo il tesoro della chiesa ravennate. Teodoro salpò solo quando l’opera fu completa e fiamme alte si levavano dai sobborghi. I patrizi furono condotti a Costantinopoli e, al cospetto dell’imperatore, furono tutti uccisi meno l’Arcivescovo Felice, che fu tenuto in vita ma accecato ed esiliato in Crimea.

L’orrenda sorte di Ravenna fece piombare l’Italia intera in un clima di terrore, ma Papa Costantino non poté rifiutare l’invito di Giustiniano II Rinotmeto che l’accolse in Oriente per definire alcune controversie pendenti fra le due chiese. Il pontefice rientrò senza aver sciolto le spinose questioni ma i ravennati intanto erano in subbuglio.

Attuarono la loro vendetta e, impugnate le armi, insorsero sotto la guida di Giorgio, figlio del religioso Giovanniccio torturato ed ammazzato da Giustiniano II Rinotmeto, che divise la città in dodici gonfaloni cui corrispondevano dodici reggimenti: le milizie della città li chiamò coi seguenti nomi: Ravenna, Bandus Primus, Bandus Secundus, Bandus Novus, Invictus, Constantinopolitanus, Firmens, Laetus, Mediolanensi, Veronense, Classensis, partes pontificis cum clericis. Strinse poi alleanza con Sarsina, Cervia, Cesena, Forlimpopoli, Forlì, Faenza, Imola e Bologna, quasi tutto il territorio dell’esarcato, guidando questa lega contro l’esarca Giovanni Rizocopo che, in risposta, a Roma, mandò a morte quattro dignitari ecclesiastici, il diacono Paolo, l’abate Sergio, il tesoriere Pietro e l’ordinatore Sergio per poi muovere su Ravenna e qui andare in contro alla morte per linciaggio.

Nel bel mezzo della rivolta però Giustiniano II Rinotmeto finì al centro di un secondo complotto che lo spodestò. Fu arrestato e giustiziato nel dicembre del 711 e la sua testa mozzata consegnata come trofeo al generale Filippico Bardane che ne prese il posto. Quella testa mozzata fu inviata poi a Ravenna che tornò all’obbedienza, riebbe il tesoro e riaccolse l’Arcivescovo Felice.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

 

 

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