La guerra tra Faenza e Bologna

Vinto il Barbarossa, le città italiane, dimenticata la concordia, ritornarono agli antichi odi ed alla guerra. La ghibellina Forlì accolse i profughi di tutte le città romagnole e tra essi i Lambertazzi di Bologna, espulsi dai nemici guelfi, i Geremei, e così fece pure l’amica Faenza, allora governata dal forlivese Superbo Orgogliosi, ma i bolognesi non ne furono felici.

Allestito un grosso esercito, raggiunsero Faenza e s’accamparono al Ponte di San Procolo sul Senio. Da qui spedirono i loro ambasciatori a nome del Papa e del Senato di Bologna chiedendo la consegna dei Lambertazzi.

La richiesta fu prontamente respinta dal senatore Teodorico Ordelaffi e l’esercito finanziato dai Geremei non tardò a mettersi all’opera distruggendo i campi fuori le mura di Faenza. Informati di tutto, i forlivesi non tardarono a mandare in soccorso una loro armata capeggiata da Guido da Montefeltro.

Faentini e forlivesi si riunirono così in una sola schiera e si scontrarono coi bolognesi presso il Ponte di San Procolo.

Dopo un esito incerto, apparvero sopraffatti i bolognesi che dovettero cedere il campo lasciando forse ottomila morti e molti prigionieri. Scrisse Marin Sanudo Torsello che “molti crepporno sotto l’armi poichè era il mese di luio, dal gran caldo, e molti si spogliarono l’armi volendo più tosto star scoperti ed esporsi a colpi de nemici che patir l’ardore che pativano” (Aldo A. Settia, Rapine, assedi, battaglie: La guerra nel Medioevo). Il Vizzani aggiunge che caddero in mano dei forlivesi 3000 carri di munizioni, il gonfalone, che fu posto orgogliosamente nella Chiesa di San Giacomo, ed il carroccio sul quale fece il suo ingresso trionfale Guido da Montefeltro dopo la battaglia. I bolognesi lasciarono “carri carichi di pane, vino, derrate, carni, padiglioni, trabacche, tende, un’immensa quantità di denaro e tutti i paramenti dell’esercito” (Ibidem).

Ebbri del successo ottenuto, i ghibellini forlivesi, sotto il comando di Guido da Montefeltro, di Maghinardo Pagani e di Teodorico Ordelaffi, attaccano a loro volta la città felsinea senza però riuscire ad entrarvi. Si concentrarono quindi sul territorio circostante, scorrendo le campagne, bruciando i campi, facendo razzia delle cose che trovavano.

La Cronica di Bologna pubblicata dal Muratori riporta: “MCCLXXV. Messer Niccoluzzo de’ Balugani da Iesi fu Podestà di Bologna, e Msser Malatesta de’ Malatesti da Rimini fu Capitano del Popolo. A dì 24 di Aprile cavalcarono i Bolognesi fino alla Porta di Faenza, e uccisero 40 fanti a piè del castello, e quando ritornarono, trovarono 200 a cavallo e 500 pedoni de’ Lambertazzi appresso di San procolo; e vi fu gran battaglia, e durò la fuggita per fino al Rio Sanguinaro, e vi furono morti cento da cavallo de’ Bolognesi e alquanti pedoni. A dì 13 di Giugno i Bolognesi andarono a campo a Faenza con grande esercito da cavallo e da piè. Andarono per guastarle le biade e le vigne. Era loro Duce e Capitano Messer Malatesta suddetto. I Forlivesi, che tenevano co’ Faentini, aveano per loro Capitano il Conte Guido da Montefeltro, uomo strenuo e molto esperto in fatti d’arme. Il quale con tutto ciò che poterono fare i Forlivesi, venne in sussidio di Faenza. E a dì suddetto i Bolognesi con tutte le loro copie passarono il Ponte di San Procolo, e mandarono tutta la loro gente da cavallo dinanti alla Porta di Faenza, e poscia mandarono i guastatori colle falci a guastare le biade pe’ campi. Tutta la gente da piedi stava in un viluppo senza ordinata schiera appresso il detto Ponte, siccome gente, che allora non temeva. Il Conte Guido predetto, conoscendo il partito, uscì da Faenza con tutti i Forlivesi, Faentini, e banditi di Bologna da piè e da cavallo. Fece una schiera sola, e arditamente si mise ad andare contra i Bolognesi. Que’ da cavallo de’ Bolognesi, ch’erano andati dinanti alla Porta di Faenza, vedendo venire quella gente con tanto ardire e forza, incontanente voltarono le spalle. I Bolognesi vedendo fuggire la loro gente da cavallo, non seppero si tosto prendere consiglio, che i nemici furono loro sopra per tal modo, chìeglino tutti adunati in un viluppo senza alcun’ordine si per la paura, che per la pressa, non potevano usare le loro armi. Alla fine i Bolognesi furono rotti, e vi furono morti e feriti due mila uomini, e prigioni cinquemila e cinquecento, e perderono tutte le tente e i padiglioni, e tre mila carra di vettovaglia. Sicchè i nemici furon ofatti ricchi delle spoglie de’ loro nemici. In quell’Anno i Bolognesi perderono Cervia, per difetto di Piovale dall’Ava Cittadino di Bologna, il quale era Capitano del Castello di Cervia, e diedelo a’ Forlivesi per una quantità di danari. Poscia i Lambertazzi cacciati tolsero parecchi Castelli al Comune di Bologna, cioè Castellione, Sesto, Bisano e Luiano e assai altre fortezze…”.

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Fonte foto: dalla rete

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