La Battaglia di Aljubarrota

Nell’ottobre 1383, il re Ferdinando I del Portogallo morì senza figli maschi. La sua erede, Beatrice di Portogallo, secondo il trattato di Salvaterra de Magos, avrebbe dovuto sposare Giovanni di Castiglia e la corona sarebbe appartenuta ai discendenti di questa unione. Non tutta la corte portoghese – ora in mano alla regina Eleonora – era però disposta ad accettare quel matrimonio. In molti temevano l’annessione del Portogallo alla Castiglia. Il Paese allora rimase senza re dal 1383–85, un periodo in cui Giovanni d’Aviz, un figlio naturale di Pietro I del Portogallo, fu proclamato “reggente e difensore del regno” ed armò un esercito contro i sostenitori della principessa Beatrice. Lo scontro cruciale tra i due rivali si ebbe a Aljubarrota, il 14 agosto del 1385.

Dall’inizio del 1384, il re di Castiglia era arrivato a Santarem e, al fianco di sua moglie Beatrice, era stato acclamato re. Il 6 aprile però la spedizione castigliana era stata sopraffatta nella Battaglia di Atoleiros. Senza darsi per vinto, Giovanni di Castiglia fece assediare, via terra e via mare, Lisbona per cinque mesi. Solo l’arrivo della flotta di Giovanni d’Aviz da Oporto liberò la capitale dal mare, poi dalla loro essi ebbero anche la sorte: la peste decimò l’esercito castigliano che si accampò fuori Lisbona e che quindi dovette revocare l’assedio. L’abile portoghese, sapendo che i castigliani si erano schierati dalla parte della Francia e dei papi di Avignone, ottenne il sostegno di Roma e dell’Inghilterra e fu da loro riconosciuto come re avviando immediatamente una spedizione contro Caminha, Braga e Guimaraes, fedeli a Beatrice.

Giovanni di Castiglia tornò ad invadere il Portogallo, prendendo Beira e spezzando in due il Paese. Rinforzi inglesi riuscirono a respingere l’avanzata castigliana verso Lisbona e, nel frattempo, il sovrano portoghese, riuniti i suoi generali nella città di Tomar, pianificò l’offensiva. Fece convergere i suoi eserciti vicino a Leiria su una piccola collina circondata da torrenti, e li dispose con la cavalleria e i fanti al centro, gli arcieri inglesi sui fianchi, i rinforzi oltre la collina. Prevedendo la posizione dell’attacco, i portoghesi scavarono ampi fossati alle loro spalle e quando, verso mezzogiorno del 14 agosto, i trentamila uomini di Giovanni di Castiglia, rafforzati dalla cavalleria francese, comparvero sul campo di battaglia e scoprono il nemico pronto all’attacco, non scalarono la ripida collina ma vollero aggirarla seguendo i sentieri. Caddero così nella trappola creata dai portoghesi che di proposito li avevano indotti ad attaccare dove essi stessi volevano.

Verso le 18:00, i due eserciti ingaggiarono battaglia. I cavalieri francesi furono i primi ad aprire le ostilità scagliandosi sui ranghi nemici, ma finendo vittima dei fossati e delle buche da essi scavati. Messa fuori uso la cavalleria pesante, gli arcieri inglesi fecero piovere i loro dardi sui nemici, spingendo i castigliani a mobilitare la retroguardia che doveva ancora attraversare i torrenti di Leiria. I portoghesi allora richiamarono gli arcieri e fecero avanzare le fanterie. Giovanni di Portogallo ordinò pure di giustiziare tutti i prigionieri, in modo che nessuno dei suoi soldati dovesse starne a guardia. Presto l’esercito castigliano si ritrovò chiuso in una morsa tra due ruscelli, avanzando sulla collina tra fossati e trincee in una mischia furiosa e serrata in cui la cavalleria non poteva sorreggere la fanteria. In molti abbandonarono le cavalcature, spezzarono le loro lance e si gettarono nel combattimento corpo a corpo.

Dopo un ora dall’inizio della battaglia, lo stendardo reale di Castiglia si chinò e la voce della morte del re si diffuse tra le fila dei combattenti. In realtà, non era vero, ma la fuga dei soldati castigliani fu incontrollata e pure Giovanni di Castiglia dovette precipitarsi ad abbandonare il campo. Durante la notte e per tutto il giorno successivo, oltre 5000 castigliani furono scovati ed uccisi dagli abitanti del posto. Caddero così tanti nobili spagnoli che Giovanni proclamò un periodo di lutto che sarebbe durato sino al Natale del 1387. La mattina del giorno seguente, i cadaveri furono sufficienti per tappare i fossati che circondavano la piccola collina.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

 

 

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