La Congiura dei Sanvitale: la confessione di Gianfrancesco Sanvitale

Nel 1612 il popolo di Parma assistete ad un tremendo spettacolo, la decapitazione di un gruppo di nobili che avevano tramato per ammazzare il Duca Ranuccio Farnese. Aveva così termine la Congiura dei Sanvitale. Quella che segue è la confessione estorta, sotto tortura, a Gianfrancesco Sanvitale. Era il 3 ottobre del 1611.

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Et primo che dica e risponda precisamente senza contraditione alcuna etc.
R. Io risponderò per l’avvenire precisamente come si deve et come sono obbligato etc. (e più innanzi).
Spinto dalla passione di vedermi conculcato da S. A. invece che avrei sperato che almeno con favori esteriori il Sig. avesse protetta la mia divotione, ritrovandomi l’inverno passato in casa del Conte Alfonso Sanvitale quale era sequestrato per la questione del Sig. Oratio, et discorendo ambedue delle disgrazie infinite et di molta conseguenza che avemmo ricevute da S. A. in per essermi levato il feudo migliore che avesse mio padre cioè Colorno, come ance il vedermi conculcato ad istanza de’ miei, persecutori et esso Conte mi soggiungeva li suoi etc.. Così conferendo l’uno con l’altro il suoi guai, convenissimo ambi due in dire che sarebbe stato opera meritoria il vendicarsene et pigliare la vendetta nella persona di 8. Altezza coll’ucciderlo nell’occasione del Battesimo, ovvero fargli qualche affronto per vendetta nostra, et se si fosse potuto congiungere la vendetta del Sig. Principe ancora coll’ammazzarli ambedue, concludessimo di farlo giurando ambidne su una Immagine di non palesar detto negozio, ne conferirlo con altro, et che ambidue unitamente avessimo corsa la stessa fortuna. Il Conte soggiunse; solo resta provvedere di uomini, et di loro come salvarsi. Gli risposi; in quanto a loro vi sarà la Mirandola che in ogni caso sarà il nostro domicilio, et che avessimo anche procurato il salvocondotto nello Stato del Sig. Duca di Mantova, et in quanto agli uomini non se ne pigliasse fastidio perché lo avrei havuto in ogni occasione huomini alla Concordia da Ottavio Nigrelli, dal Sig. Orazio Grolla dal Finale, ne avrei avuto da Correggio col mezzo di Eggidio Caslellino da Brescia, dai Porcellaghi, dai Fenaroli, dai Zappalli di Lunesana, dal Marchese Ferdinando Malaspina da Padova, dai Dotti dai… et dai Merrani di Bologna, dal Riva da Venezia, dal Sig. Gio. Batt.a dal Monte da Vicenza, dai Conti Chierigati ed Orti, dai Conti Gualdi da Verona, dal Conte Gerolamo Pompei et dal Sig. Annibale Allegri da Asola, del Sig. Andrea Mantovani da Scurano per mezzo dei Gigli.
Questi luoghi et forse altri nominai al Conte Alfonso, poiché so di certo, che. in tutti questi luoghi in ogni mia occasione avrei gli uomini che mi bisognerebbero come ancora da Ferrara dai Sig. Pii, dal Sig. Marchese di Landriano, e! da Firenze dal Sig. Francesco del Monte, el in Romagna col mezzo dei Cappi di Ferro, et in tutti questi sopranominati luoghi per l’amicizia et parentela che ho con li nominati, mi sarei accertato di caverne quella quantità di homini che mi bisognasse per qualsivoglia mio interesse; et il suddetto Conte Alfonso propose anco la difficoltà del salvarsi, quale io superai col dirgli che sarebbe stato facile cosa etc. : Il detto conte Alfonso disse che oltre a quelli che aveva in casa, ne avrebbe avuti da Lunesana, dal Marchesi suoi parenti, et da Reggio da suoi dipendenti, che aveva; non me li nominò o che non me li ricordo.
Detto questo, fra noi restassimo in appuntamento quando poi fosse stato vicino alla congiuntura del tempo di preparare ciò che fosse stato di bisogno, ed altre volte come poi si rivedevamo, dicevamo tra noi quello che è detto è detto, intendendo di questo negozio e questo è quanto mi sovviene sopra questo particolare.
Dappoi dell’inverno passato, nel principio che il Sig. Duca andò alla Badia, discorressimo insieme in casa del detto Conte Alfonso lui ed io, che quello che avevamo pensato di fare nel tempo del Battesimo, che l’averessimo potuto effettuare coll’occasione che S. A. stava alla Badia con pochissima guardia, perché avveressimo potuto far massadi huomini a Viadana, come sarebbe di 50 cavalli circa et di ingropparli altrettanti pedoni, et girsene nell’oscurarsi per la via più breve che diritto conduce all’Abadia, et ivi avendo prima posti uomini al portello, colla maggior parte venirsene a quello davanti et gittarlo a terra con pettardo o fottiere et ivi poi effettuare il nostro pensiero che era di ammazzare S. A. Il Conte Àlfonso, che era sequestrato, partito di qui in carrozza serrata all’aperta della porta acciò essendo conosciuto non fosse trattenuto, et anche lui se ne andasse a Viadana ove poi mi sarei trovato io, dove anco si sarebbe trovata la gente che bisognava per l’effetto, et volevamo andare alla Badia nella maniera sopradetta passando da Colorno, dal Molino del Sole, et poi di longa all’Abbadia sopradetta, camminando di notte, arrivare cola avanti giorno et poi, fatto l’effetto, ritirarsi per quella strada, dove avressimo creduto trovar stranio impedimento. Il Conte Alfonso ed io sovente volte ci dicessimo che ambidne saressimo stati pronti ad effettuare il trattato e cosi concludessimo di fare.
Ben mi venne poi in pensiero, che se non havessimo potuto effettuare questa via, che sarebbe stato facile il farlo effettuare, o pur effettuarlo in persona, cioè ammazzare S. A. quando fosse gito al Castello come è solito di fare con fare che da quattro, o sei uomini fosse assaltato nel tempo che un di loro gli avesse presentato una lettera, et li altri sparar le archibugiate; et parlando di questo mio pensiero soggiunsi che per salvarsi poi li huomini, sarebbe stato necessario che havessero havuto cavalli all’osteria. .. et per facilitarsi l’uscita dalla porta, saria bisognato, overo averli soldati confidenti, o far ritrovar gente che mostrassero di giovare, et anco questi facessero spalla a quelli che dovessero fuggire. Dissi anco che io gli sarei stato presente per dare calore al negozio, et questo solo havevo determinato in tra me stesso senza però averne parlato con alcuno fuora di prigione, ma in prigione lo dissi, come già ho confessato.
Interr. Che dica più precisamente il tempo che trattò e con cluse col detto Conte Alfonso di commettere tale delitto.
R. Il primo trattato fatto et concluso con detto Conte Alfonso, cioè di ammazzare S. A. et il Sig. Principe, come ho detto, in del principio di Carnovale passato, che non mi ricordo precisamente il giorno, coll’ occasione che andai a visitare detto Conte Alfonso ch’era sequestrato in casa. L’altro fu nel principio che S. A. andò all’Abbadia, che credo fosse poco dopo Pasqua di Ressurezione prossima passata.
Interr. In che loco ne trattasse insieme etc. etc.
R. Ne trattassimo in casa del sudd. Conte Alfonso.
Interr. Chi gli fosse presente quando trattarono insieme di detti trattati, et li conclusero come ha detto.
R. Né all’uno nè all’altro fu presente alcuno, et da ambidoi fu discorso fra noi nella camera del detto Conte Alfonso.
………………………………………………
Interr. Che narri dove habbia scritto per haver huomini e con chi abbia comunicato questo negozio.
R. Io mandai D. Battista Giglio dal Marchese Ferdinando suddetto che mi tenesse in pronto quella quantità di uomini che più potesse, poiché per un mio negozio me ne doveva servire etc… com’ esso mi aveva esibito che in ogni occasione mi avrebbe servito di huomini et della propria persona, et mi riferse il suddetto Conte che ne avrebbe avuti alcuni et sempre pronti ad ogni mio avviso (e più innanzi).
Interr. Che narri distintamente con chi habbia comunicato questo trattato oltre li prenominati tanto in questo Stato quanto fuora.
R. In questo Stato et di questo Stato, oltre li nominati in que sto ultimo costituto, non ho trattato con alcuno (nel costituto 17 agosto Tomo 11, delle Processo palesava altri complici).
Fuori di questo Stato ne è complice la Marchesa di Grana, il Sig. Duca di Mantova, Francesco Turchetti da Fermo il quale dovea parlare al Capit. Giacomo Salvini etc. et glielo dissi a Sala quand’ egli mi venne a vedere vestito da Pellegrino, il Marchese Giulio Cesare da Madrignano il quale lo sa per il mezzo del detto Conte Alfonso, il Marchese Vincenzo Guerreri che sta al servizio del Sig. Duca di Mantova, Onofrio Martani, il Sig Principe della Mirandola.
E incominciando da D. Battista io gli conferiva tutti li fatti miei, e così anco gli diedi parte di quanto havevamo determinato il Conte et io nelli sudd. trattati etc…. Il loco fu a Sala in Rocha, e facilmente può es sere che fosse in un giardino ove molte volte abbiamo trattato insieme, ma non so precisamente il loco, et fu dopo Pasqua.
L’ Oliviero lo sapeva prima dal detto C. Alfonso, poiché in lui che mi venne a dire che io mandassi d. Battista dal detto Marchese Ferdinando.
Circa la Marchesa di Grana, io dandole parte dei molti disgusti che ogni ora mi provenivano, io prima gliela ragguagliai di quanto pensavamo fare il Co. Alfonso et io circa il sudd. trattato, et essa mi rispose che anco da altra banda era venuto di ciò avviso mostrandomi che quella Altezza di Mantova ne fosse informata, il che non poteva essere che per mezzo del Marchese Giulio Cesare di Madrignano il quale era molto confidente del Conte Alfonso. Nella lettera poi che gli rescrissi se quel paese sarebbe stato, bisognando, sicuro per noi; al che mi rispose che cola si faceva salvocondotto a tutti; e molto più si sarebbe fatto a me stante che già per sua bocca io era fatto certo che in ogni occasione, quando mi fosse bisognato, sarei stato ajutato e protetto da quella Altezza per il desiderio che in ogni tempo aveva avuto di giovare alla Sig. Cont. mia Ava.
Il detto Sig. Duca di Mantova lo sapeva nel modo che ho detto.
Il detto Marchese Giulio Cesare lo sapeva anch’esso per la strada del C. Alfonso come ho detto.

 

 

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