Parma e la congiura dei Sanvitale

Nel 1611 Parma fu scossa da uno scandalo. L’arresto del Conte di Fontanellato con l’accusa di uxoricidio fece emergere i dettagli di una congiura ordita ai danni del duca Ranuccio I Farnese: si rivelò agli inquirenti l’esistenza di una rete di nobili e signori locali che avrebbero dovuto far uccidere i Farnese durante una funzione religiosa nella chiesa dei Cappuccini di Fontevivo

Posta sopra un piano attraversato dal fiume che le dava il nome, Parma pareva, nel Cinquecento, placida e solo devota alla bellezza dell’arte. All’epoca vi si accedeva esclusivamente attraverso tre ponti che confluivano verso un centro dominato dal Battistero e dalla Basilica di Santa Maria della Steccata, immensa cattedrale tutta ornata, all’interno, di pitture, anzitutto da quella del Mosé, sopra l’arcata dell’altare maggiore, realizzata da Francesco Mazzola detto il Parmigianino, poi da quelle dell’Assunzione, distinto lavoro del Correggio, che adorna l’insigne cupola. Eppure tra i fasti rinascimentali riemerse improvvisamente un’antico spirito ribelle, quello che già aveva animato Cassio che cospirò contro Cesare.

Contro Barbara Sanvitale, quell’anno, era stato intentato da Ranuccio Farnese un processo per sottrarle il feudo di Colorno, storico possedimento dei Sanseverino, di cui lei era l’ultima discendente in quanto vedova di Giberto IV Sanvitale. Giuriesperti di Padova si espressero in favore del duca, di senso opposto sembravano i giudici di Piacenza, ma se le trattative erano orientate ad un componimento amichevole della diatriba, c’era qualcuno che aveva tutt’altri propositi.
Temendo la totale spoliazione dei beni, infatti, Girolamo Sanvitale, figlio di Barbara, radunò i propri sodali ed i familiari e con essi pianificò, nel dì del battesimo del principino Alessandro, nipote di Ranuccio, d’uccidere Ottavio, il Cardinale Odoardo Farnese, il bambino e la madre. A quanto pare il piano trovò anche l’appoggio dei Gonzaga di Mantova finiti in conflitto coi Farnese dopo che Vincenzo I Gonzaga aveva ripudiato Margherita, sorella di Ranuccio. Col loro denaro i servitori di Girolamo avrebbero dovuto corrompere il presidio militare parmense e permettere che la congiura avesse successo.
Tutto saltò quando Alfonso Sanvitale, zio di Girolamo, fece uccidere sua moglie Silvia Visdomini, a San Maurizio, presso Reggio, il 9 giugno del 1611, finendo al centro di indagini processuali. Il conte fu tenuto prigioniero e con lui furono catturati i suoi servitori. Il processo finì nelle mani del giudice Filiberto Piosasco e non tardò ad avere risvolti inaspettati.

Sotto tortura non solo fu confessato dai prigionieri l’uxoricidio, ma anche un secondo “fatto”. Straziati dai tormenti, con le ossa slogate e sporchi di sangue, essi rivelarono tutto. Non tardarono a moltiplicarsi gli arresti. Anche Barbara Sanvitale fu arrestata. Le fu risparmiata la tortura, bastò la paura a farle ammettere l’esistenza della congiura ed il suo ruolo.

Il 4 maggio del 1612 il giudice pronunciò la sentenza capitale per delitto di lesa maestà, con conseguente confisca dei beni dei colpevoli. Parma si preparò ad un sanguinoso spettacolo che durò due ore. Il 19 maggio di quell’anno, era sabato, in piazza, nel giorno del mercato, furono tagliate le teste di sette persone che apparvero nude davanti al popolo che si assiepava perfino sui tetti delle case: Barbara Sanseverino, contessa di Colorno, il conte Orazio Simonetta, suo secondo marito, il conte Girolamo Sanvitale, figlio primogenito della contessa, Gianfrancesco Sanvitale, figlio di Girolamo, il conte Pio Torelli ed il conte Giambattista Masi. Non soddisfatto, Ranuccio Farnese fece pure impiccare, nella medesima piazza, i servi Onofrio Perugino, Oliviero Olivieri e Bartolomeo Roverlani da Reggio. I corpi furono portati uno ad uno nella Chiesa di San Giovanni Decollato e qui seppelliti.

Le indagini si fermarono qui, non toccarono i potenti protettori dei Sanvitale, i Gonzaga, gli Sforza, gli Este.

Non mancò chi disse che la congiura fosse una invenzione, che unico scopo dei Farnese fosse quello di mettere le mani sui cospicui beni. In effetti il duca in una lettera al magistrato cittadino, disse di non vollere che i beni confiscati si sommassero ai suoi possessi, però ordinò che con celerità fossero esaminate le ragioni di tutti i creditori dei Sanvitale e che fosse loro data soddisfazione. Fu per questa via indiretta che i beni dei congiurati finirono col rinverdire le casse dello stato. Ranuccio potè pure mettere le mani su Colorno e la trasformò in una sua piccola Versailles, ma ci sarebbe tanto da pensare perchè, per quel che si diceva, Barbara Sanseverino era pure amante di Vincenzo Gonzaga, Duca di Mantova, sposo della sorella di Ranuccio.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Fonte foto: dalla rete

Bibliografia: G. Padovani, Guido III Rangoni: gusto e committenza nella Parma farnesiana del Seicento; G. M. Allodi, Serie cronologica dei vescovi di Parma; F. Giurleo, La famiglia Farnese

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