La setta dei Calderari
La setta dei Calderari ha una origine avvolta nel mistero. Il Canosa, ne “I Piffari Di Montagna”, ne faceva risalire l’origine all’invasione francese del 1799. La curiosa denominazione sarebbe legata all’opposizione della mestranza palermitana dei calderari all’abolizione dei loro privilegi durante la parlamentarizzazione forzata imposta da Lord Bentinck alla Sicilia nel 1812. Espulsi dall’isola, questi fedelissimi di Ferdinando di Borbone, si sarebbero portati nel Regno di Napoli concorrendo, con altri reazionari, a formare la setta. Lo stesso Canosa fu accusato d’essere il loro capo, ma respinse sempre tali affermazioni.
Il Conte Orloff, uno degli agenti segreti russi in Italia, faceva risalire l’origine della setta dei calderari ad una scissione avvenuta nella Carboneria in seguito alla quale i borbonici avrebbero abbandonato l’organizzazione fondando la nuova setta. Il Colletta invece parla dei calderari come di delinquenti comuni.
Si è scritto che il nucleo della setta sia stato una società sorta da una scissione dalla Carboneria che prese il nome dei “Trinitari”. Queste unioni di Trinitari, organizzati nei tre gradi di Amico Cavaliere, Principe e Gran Principe (o secondo gli studi di Oreste Dito, organizzata nei cinque gradi di Cavaliere, Principe, Gran Principe, Alto Principe e Altissimo Principe), si sarebbero poi fusi con altri reazionari dando vita alla setta con protettrice la Santissima Trinità.
Si vuole che nel loro rito di iniziazione il candidato dovesse pugnalare un animale e mangiare un pezzo della sua carne a simboleggiare l’agognata carneficina di massoni e carbonari. Il movimento si mosse in difesa del cattolicesimo e del monarchismo napoletano, delle realtà locali contro l’azione livellatrice esercitata dal bonapartismo.
L’organizzazione avrebbe, secondo fonti del Ministro Donato Tommasi, garantito l’ordine nel momento del passaggio da Murat a Ferdinando I e poi sarebbe finita in sonno fino al 1816 quando il Principe di Canosa l’avrebbe riorganizzata ponendosene a capo per guidarla nella lotta contro la Carboneria.
In buona sostanza il Principe di Canosa, realmente o meno a capo della setta dei Calderari, si mosse in assoluto e aperto contraso alla politica dell’amalgama così come la stessa setta contraria alla protezione dei vecchi murattiani. Per tale ragione la setta fu perseguitata dal governo borbonico.
Numerosi furono cittadini del Regno delle Due Sicilie accusati di essere calderari, per molti di essi, trovati spesso in possesso di armi e documenti comprovanti, scattarono gli arresti. Anche le coperture di polizia e politica pare fossero cospicue tuttavia la pericolosità della setta non fu mai pari a quella dei carbonari.
L’allontanamento del Canosa stranamente corrispose all’affievolirsi dell’attivita dei calderari.
Autore articolo: Angelo D’Ambra
Bibliografia: E. Gin, Sanfedisti, Carbonari, Magistrati del Re, Napoli 2003