Maria Pellegrina Amoretti, la prima avvocata italiana

Maria Pellegrina Amoretti, di Oneglia, si laureò in legge a Pavia nel 1777, a ventuno anni, sfidando convinzioni arretrate e ostilità del mondo maschile. Fu la prima avvocatessa italiana.

Dopo aver studiato filosofia nel Collegio delle Scuole Pie, si dedicò, a soli quindi anni, allo studio delle leggi, preparandosi in privato. Quando si ritenne pronta volle provare a presentarsi all’esame di laurea presso l’Università di Torino, ma l’ateneo respinse la domanda. Una donna non avrebbe mai esercitato la professione dell’avvocatura. Maria non demorse e presentò una nuova domanda a Pavia e qui il Conte di Firmian, illuminato plenipotenziario imperiale, non solo accolse la sua richeista ma ordinò che alla cerimonia venisse dato gran lustro.

In accordo con i regnanti austriaci, promotori proprio in quegli anni di un’importantissima riforma dell’Università, di carattere sia didattico-scientifico che architettonico, il conte diede rilievo all’avvenimento e organizzò la giornata con grande pompa, come raccontano le cronache dell’epoca.

Il 25 giugno di quell’anno, nella Chiesa del Gesù, Amoretti conquistò la tanto desiderata laurea. Vestì per la prima volta l’abito di corte, il giubboncino con il guardinfante e lo strascico. In quella chiesa, che l’attendeva affollata, giunsse in uan carrozza di gala, affiancata dalle mogli dei professori della facoltà, la contessa Enrichetta Silva e la marchesa Maria Belcredi. Quando vi entrò scorse personalità d’ogni rango, dottori in toga, il cardinal Durini, il Conte di Firmian, la maggiore nobiltà cittadina.

La candidata presentò tesi in diritto civile, penale, feudale e canonico. Dopo sei argomentazioni, il magnifico rettore Giovanni Battista Borsieri la fermò e, con un breve discorso, promose d’acclamarla Doctrix anzicchè seguire la prassi dei voti segreti. Così avvenne ed il professor Luigi Cremani consengò finalmente alla giovane il Codice, l’anello, una corona d’alloro e l’insegna dell’Università, cioè una fascia detta Beca ricamata in oro su fondo di raso cremisi e lo stemma dell’ateneo.

Anche il contemporaneo poeta Giuseppe Parini rimase colpito dall’episodio, che celebrò con un componimento poetico dal titolo “La Laurea”, citato nella lapide dell’Università di Pavia: “Ed or che la risorta insubre Atene, con strana meraviglia, le lunghe trecce a coronar ti viene, o di Pallade figlia, io, rapito al tuo merto, fra i portici solenni e l’alte menti m’inoltro, e spargo di perenni unguenti il nobile tuo serto”.

Due giorni dopo per Maria Pellegrina Amoretti le feste non erano finite. Le sue condizioni di salute non le permisero mai di comparire negli uffici delle corti, ma vi presentò comunque per scritto i suoi pareri legali.

 

 

 

 

Bibliografia: P. Nurra, Un’Avvocatessa Italiana del Settecento

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