Mayerling, 30 gennaio 1889. Intervista a Laura Zannol

Mayerling, 30 gennaio 1889, ore 8.10. Nel padiglione di caccia del castello di proprietà del principe ereditario Rodolfo, un cameriere fa una macabra scoperta: i corpi senza vita di Rodolfo d’Asburgo e di Mary Vetsera giacciono sul letto in un lago di sangue. Lui trentenne, “di media altezza, ben proporzionato, nascondeva una grande resistenza sotto un’apparente fragilità”, come lo descrisse la cognata Luisa del Belgio, principe ereditario figlio di Francesco Giuseppe e di Elisabetta, ricordata più col nomignolo Sissi. Lei diciassettenne, sua amante, figlia d’un nobile ungherese e d’una greca. Al momento della tragedia nel castello si trovano due ospiti del principe, suo cognato, Filippo di Sassonia-Coburgo e il conte Giuseppe Hoyos, i loro domestici e il personale di servizio. Delitto passionale? Suicidio? Attentato politico? Ad oltre un secolo dalla tragedia di MAyerling, nessuno è ancora riuscito a dare una risposta. Ci sono tutti gli elementi del giallo classico e gli ingredienti di una romantica storia d’amore. Scrittori, investigatori e storici hanno tentato di ricostruire le ultime ore di Rodolfo e Mary, ma troppe prove sono state inquinate, troppi dettagli sono scomparsi, troppi testimoni appaiono inattendibili. Ne parliamo con la studiosa e traduttrice Laura Zannol Strazza. Quale era il rapporto tra Rodolfo d’Asburgo e Mary Vetsera?

Rodolfo conobbe Maria Vetsera, chiamata Mary, nell’autunno del 1888, in un periodo particolarmente difficile, sia nella vita privata che in quella pubblica. Da una parte il suo matrimonio con la principessa Stefania del Belgio, celebrato nel maggio 1881, era ormai solo un legame di facciata e la coppi viveva insieme solo per il buon nome della casata. Le condizioni di salute del principe, poi, che non godette mai di eccellente salute fin da bambino, si aggravarono nel 1886 quando si ammalò di gonorrea, ma fu spesso anche preda di tossi fortissime, all’epoca curate con la morfina, che come si sa crea dipendenza. In campo politico l’intelligentissimo Rodolfo si sentiva sempre più messo da parte sia dal padre, che non gli dava mai modo di dimostrare le sue capacità con un ruolo minimamente importante né in seno all’esercito né a livello più strettamente politico, sia dal primo ministro e amico d’infanzia dell’imperatore, il conte Taaffe, che guidava la politica dell’impero in direzioni del tutto diverse dalle sue idee liberali. L’ascesa al trono dell’impero tedesco di Guglielmo II, dalle idee altresì reazionarie e opposte a quelle di Rodolfo, non aiutò a migliorare l’umore del principe ereditario, che avrebbe senza dubbio preferito un lungo regno del più liberale imperatore Federico, morto in breve tempo a causa di una malattia palesatasi ancor prima della morte del padre, Guglielmo I.

Ogni sua speranza di vedere l’impero guidato dal padre avvicinarsi a Francia e Inghilterra, più consone alle sue idee che alla reazionaria Germania, naufragarono in breve tempo, in particolare nel corso del suo ultimo anno di vita.

Tutto ciò fece in modo che nel momento in cui Rodolfo cominciò a frequentare la baronessa Vetsera, di soli 17 anni, le sue condizioni psicofisiche fossero ad un punto cruciale. La giovane baronessa era innamoratissima del principe ancor prima di conoscerlo, la sua era un’infatuazione dovuta all’altissima posizione dell’oggetto del suo desiderio e non le mancava la spregiudicatezza né di cercare in ogni modo di sfuggire dalla sorveglianza materna per poterlo vedere, né di cercare di attirare l’attenzione di Rodolfo, e vi riuscì.

Per lei fu l’amore della sua vita, per lui Mary fu forse il fattore che lo aiutò a fare il passo decisivo per il suicidio su cui da un po’ meditava. Rodolfo era abituato all’adorazione delle donne, e per la sua altissima posizione di erede di un impero, e per il fascino che lo contraddistingueva.

“Aveva più che la bellezza, la seduzione”, scomodiamo di nuovo le memorie della cognata Luisa. Colei che forse più di altre riuscì a farsi amare da lui fu Mitzi Kaspar, la prostituta che frequentò fino a prima di recarsi a Mayerling, che sembra abbia anche portato con sé a Bruxelles nel 1880 (non ci sono certezze a riguardo, ma piuttosto testimonianze contraddittorie) per conoscere la fidanzata, e alla quale donò per via testamentaria il denaro che si trovava nella sua scrivania. Le scrisse anche una lettera di commiato, di cui purtroppo non conosciamo il contenuto.

L’amore puerile di Mary per l’arciduca fu pagato a caro prezzo dalla giovane che, forse, se ciò che portò alla morte di entrambi fu la stanchezza di vivere di Rodolfo, fu immolata come un angelo dall’uomo che amava.

 

Quella mattina il telegrafo non funzionava, allora come si diffuse la notizia?

 

Spieghiamo innanzitutto che il telegrafo non funzionava semplicemente per una mancanza del personale. Il telegrafista Schuldes, che scrisse poi le sue memorie in forma privata sui fatti di Mayerling, narrò che, alla fine dell’ultimo soggiorno lì, aveva chiesto che venissero smontate le batterie per essere poi ricaricate. Quando il 29 gennaio apprese che il principe ereditario era partito per Mayerling, partì anche lui, ma a Mayerling scoprì che le batterie non erano a posto come aveva ordinato. Di conseguenza il telegrafo non poteva funzionare, e questo perdurò fino alla mattina del 30 gennaio, quando lo stesso Schuldes si recò ad Alland, il paese più vicino con un telegrafo, per spedire un telegramma al dottor Widerhofer perché venisse a vedere il cadavere del principe. Da Alland chiese istruzioni al castello imperiale, comprò le batterie nuove e rimise in funzione il telegrafo a Mayerling. Quella mattina ad Alland, forse tramite persone che giunsero con le ferale notizia da Mayerlin, la notizia si sparse subito, è lo stesso Schuldes a testimoniarlo.

Facciamo, però un passo indietro. Quando il cameriere Loschek non ricevette risposta dalla camera di Rodolfo, chiamò il conte Hoyos e attesero il principe Filippo, fu sfondata la porta e dopo che Loschek ebbe constatato la morte del principe e di Mary, si decise che il conte Hoyos si sarebbe diretto a Vienna a portare la notizia alla famiglia imperiale. Si può supporre che, in quanto parente, sarebbe dovuto andare il principe Filippo, ma tutti i testimoni concordano nel dire che quest’ultimo, dopo lo scoprimento dei cadaveri, non era assolutamente in grado di fare nulla, perciò partì il conte. Questi pare che per fermare il treno da Trieste per Vienna, a Baden, fu obbligato a rivelare al capostazione la morte del principe ereditario, motivo per cui si è ormai certi che Rothschild, all’epoca padrone delle ferrovie austriache, seppe della morte del principe prima della famiglia imperiale.

Giunto al castello poco dopo le 10 del mattino del 30 gennaio, il conte Hoyos riferì i fatti al conte Bombelles, direttore del personale del defunto principe ereditario, e al conte Paar, aiutante di campo dell’imperatore. Decisero che nessuno di loro si sarebbe preso la responsabilità di informare l’imperatore, per cui si informò il ciambellano dell’imperatrice, barone Nopcsa, e si decise che sarebbe stata Elisabetta la prima a saperlo. Fu dunque la sua lettrice e amica, Ida Ferenczy, ad interrompere la lezione di greco dell’imperatrice pregandola di ricevere il barone Nopcsa per via di cattive notizie circa il principe ereditario. Poco dopo giunse l’imperatore e fu lei a dare la notizia al marito, mentre erano soli. In quel momento gli imperiali genitori erano convinti che la morte del figlio fosse dovuta ad avvelenamento e che ad avvelenarlo fosse stata la giovane baronessa Mary Vetsera. Come si svolsero veramente i fatti quella mattina al castello imperiale lo sappiamo grazie al conte Corti che pubblicò alla fine degli anni ’30 una biografia dell’imperatrice. Il conte aveva letto parte dei diari dell’arciduchessa Maria Valeria, figlia minore della coppia imperiale.

Dopo aver dato la notizia a suo marito, Elisabetta andò nell’appartamento della sua lettrice dove Katharina Schratt attendeva l’imperatore, era infatti da alcuni anni sua amica. L’imperatrice la condusse da lui e subito dopo portò la notizia della morte del fratello a Maria Valeria; in seguito con l’ultimogenita e l’imperatore diede l’orribile notizia alla nuora Stefania. Dopo di che, avvenne l’incontro dell’imperatrice con la baronessa Vetsera che, disperata per la sparizione della figlia dalla mattina del 28, cercava la lettrice di Elisabetta per poter parlare con la sovrana. Va detto che la lettrice viveva all’interno del palazzo imperiale, ma la porta per accedervi era indipendente dalle entrate ufficiali del palazzo e quindi più accessibile. Dietro le istanze della povera donna, Ida avvisò Elisabetta che parlò con l’ignara donna. Le disse che erano morti sia Rodolfo che Mary, che lui era morto per un infarto. Strano a dirsi, dopo che Hoyos aveva portato a palazzo la notizia che Rodolfo era morto avvelenato e si pensava fosse stata Mary ad averlo avvelenato. Questo fu riportato da Maria Valeria nel suo diario dopo che Ida Ferenczy le aveva narrato tutto, essendo stata presente al dialogo.

I giornali inizialmente annunciarono che il principe ereditario era morto per un colpo apoplettico, senza assolutamente menzionare la presenza della baronessa. La falsa notizia ebbe vita breve e si fu obbligati ad ammettere perlomeno il suicidio del principe ereditario, il giorno dopo. In quei giorni vennero bloccati dalla censura molti giornali e, perlomeno fino alla fine dell’impero, non si poté mai parlare di un secondo cadavere a Mayerling. Va da sé comunque che i giornali all’estero già il giorno dopo la tragedia indagavano sul secondo cadavere rinvenuto nella palazzina di caccia, soprattutto i giornali tedeschi. Poi, col passare degli anni, la versione della tragedia crebbe sempre più, in particolare fra le due guerre mondiali.

 

Con tutto pronto per la battuta di caccia al cervo delle 8,30, quella mattina di buon ora Loschek, domestico personale di Rodolfo, bussa alla porta della camera dell’arciduca senza ricevere risposta. La porta è chiusa a chiave dall’interno e Loschek corre ad avvertire Hoyos; i due decidono di sfondarla e fanno l’agghiacciante scoperta: sul letto matrimoniale giacciono i corpi insanguinati di Rodolfo e Mary. Il cameriere rilascerà una serie di dichiarazioni contrastanti (nel 1928 nelle sue memorie), dirà per esempio che Mary era su un altro letto, che una rivoltella d’ordinanza era posta accanto a Rodolfo, che subito telegrafò al medico di corte, ma nella stanza c’era solo un letto matrimoniale, la rivoltella d’ordinanza non fu mai trovata ed il telegrafo quel giorno non funzionava. Hoyos aggiungerà: “Sentii Loschek dire che il principe si era avvelenato con la stricnina e che il veleno doveva avergli provocato uno sbocco di sangue”. Secondo altre ricostruzioni fu Filippo di Sassonia, già in assetto da caccia, il primo ad essere avvertito dal cameriere e solo successivamente Hoyos, sveglio ma rinchiuso in camera, poté vedere il corpo senza vita di Rodolfo ritrovato dai due all’aperto, in un viottolo che correva fra gli edifici di Mayerling, col cranio fracassato da un colpo del fucile da caccia che giaceva accanto a lui. Che ruolo giocano i due ospiti e Loschek in questa storia?

 

La versione giusta, alla quale si è arrivati con varie testimonianze, è che Loschek chiamò Hoyos per dirgli che il principe non rispondeva, decisero di aspettare Filippo, dopo che ormai erano quasi le otto e doveva giungere al castello da un minuto all’altro, e fu quest’ultimo a dare l’ordine di abbattere la porta.

Va detto anzitutto che i tre avevano ruoli diversi nella vita del principe ereditario.

Il principe Filippo era suo cognato, avendo sposato la principessa del Belgio Luisa, sorella maggiore dell’arciduchessa Stefania. Era, dunque, fra i presenti, quello di più alto lignaggio. Non lasciò memorie, sappiamo solo che disse alla moglie che non voleva parlare di ciò che era successo a Mayerling e scrisse alla regina Vittoria, sua zia, “solo quel che arriva a supporre una mente alienata può far apparire comprensibile la spaventosità. Non era necessario che si uccidesse, questa è la mia opinione”.

Nelle ore in cui maturò la tragedia si trovava a Vienna ad una cena di famiglia (alla quale avrebbe dovuto partecipare anche Roldolfo, che non andò con la scusa di un raffreddore)  solo al suo ritorno a Mayerling, dopo le otto del mattino del 30 gennaio, seppe che il principe non rispondeva ai continui richiami di Loschek, e fu appunto lui a dare l’ordine di abbattere la porta. Dopodiché, alla certezza della morte del cognato, il dolore e lo sgomento non gli permisero di fare altro. Si decise quindi che il conte Hoyos si sarebbe recato subito a Vienna a portare la ferale notizia alla famiglia imperiale.

Il conte Josef Hoyos scrisse, invece, pochi giorni dopo, le sue memorie, a febbraio, che furono deposte nell’archivio di Casa Asburgo nel giugno 1889. Queste furono trovate da Oskar von Mitis, che per primo nel 1928 pubblicò una biografia sul principe ereditario Rodolfo, la prima storico-scientifica, perlomeno in lingua tedesca, dato che in Italia aveva già condotto un buon lavoro Giuseppe Borgese con il suo “La tragedia di Mayerling”, scremando in particolar modo la figura del principe ereditario dalle maldicenze nate dopo la sua tragica fine e dando nuova luce alla sua figura di giornalista brillante e intellettuale amante della natura e del progresso, nonché dei suoi ideali liberali. Ricordiamo che Mitis pubblicò non solo le memorie del conte Hoyos, ma anche molto altro materiale del principe, da lettere ricevute da lui ad altre da lui scritte, cosa mai accaduta prima.

La maggior parte delle biografie successive partiranno dagli studi di Mitis, anche quella di Brigitte Hamann di cui parleremo più avanti.

Il conte Hoyos, compagno di caccia e amico del principe ereditario da vari anni, scrisse queste sue memorie, non perché le volesse pubblicare ma per lasciare alla corte e forse ai posteri la sua testimonianza sui tragici fatti. Nell’ultima parte di queste memorie, divise in tre, la più breve, scrisse che gli fu chiesto dall’imperatore e dall’arciduchessa Stefania se conoscesse bene la Vetsera e se fosse a conoscenza della relazione fra lei e il principe, e rispose che la conosceva poco e che non sapeva della relazione. Poi nominò la lettera di Rodolfo a Loschek in cui il principe scrisse che Mary mandava i saluti a Hoyos facendo riferimento ad un colloquio tra i due al ricevimento del 28 gennaio dell’ambasciatore tedesco. Questa lettera forse fu in primis ciò che portò Hoyos a scrivere, per allontanare da sé l’ombra di aver favorito la liaison, oltre che naturalmente il rischio di incorrere nelle ire dell’imperatore e della famiglia imperiale, diciamo così, di finire in disgrazia.

Nella prima parte delle sue memorie narrò i fatti, da quando fu invitato dal principe a Mayerling, fino al racconto di come aveva dato la notizia al palazzo imperiale.

Nella seconda parte, invece, narrò ciò che seppe tramite altri testimoni della relazione del principe con Mary e di quello che sapeva delle condizioni del principe ereditario e della sepoltura della baronessa Vetsera.

Se tralasciamo queste memorie che egli non intendeva pubblicare, ma scrisse che avrebbero potuto esserlo in caso di bisogno, tenne fede al silenzio imposto dall’imperatore a tutti i testimoni della tragedia.

Infine, Loschek era il suo cameriere da vari anni e lo serviva in tutto, ad esempio si può menzionare che nelle visite alla Hofburg della contessa Larisch, cugina di Rodolfo, con Mary Vetsera, le due donne furono fatte entrare da un passaggio segreto proprio da Loschek. Diciamo che il valletto Loschek e il fiaccheraio Bratfish erano qualcosa più che normali servitori, entrambi molto affezionati al loro padrone. Pare che Rodolfo, in compagnia di Mitzi Kaspar, abbia anche cenato a casa Bratfisch, secondo i ricordi della figlia del fiaccheraio. Bratfisch sembrerebbe poi essere stata l’ultima persona a vedere vivi Rodolfo e Mary, perchè, prima di coricarsi la sera del 29, cantò per loro, era infatti molto apprezzato per il suo talento vocale.

Per dimostrare l’importanza che aveva Loschek per Rodolfo, possiamo menzionare che quest’ultimo lo volle a Mayerling anche se quel giorno, essendo il suo giorno libero, non avrebbe dovuto essere in servizio.

Pochi anni prima della morte avvenuta nel 1932, Loschek dettò le sue memorie private, pubblicate poi appena dopo la sua scomparsa, suppongo per volontà del figlio, nel Berliner Illustriertes Zeitung del 24 aprile 1932, non so se casualmente, nel 68° anniversario delle nozze dell’imperatore Francesco Giuseppe con Elisabetta. Egli narrò che per tutta la notte aveva sentito i due amanti parlare, cosa pressoché impossibile con un muro largo un metro. Raccontò poi che i due cadaveri erano in due letti separati, mentre si sa che esisteva un solo letto nella stanza del principe, disse poi che Mary era vestita mentre sembra più probabile che non lo fosse affatto. Diciamo che le sue memorie forse avrebbero potuto essere più esatte se fossero state scritte a pochi giorni dalla tragedia, ma come poteva dopo quasi 40 anni ricordare bene tutto, anche se forse si trattò dell’avvenimento più importante della sua vita? L’altro grande errore che riscontriamo è la convinzione che il dottor Wiederhofer giunse a Mayerling poco dopo la scoperta dei cadaveri, mentre arrivò in tarda mattinata. Sono errori che comunque non cambiano molto ciò che sappiamo.

Il dottor Holler, ma anche Brigitte Hamann, sono del parere che Loschek mentì per ordine del principe ereditario, seguendo le sue volontà anche dopo la morte.

 

Tra le ricostruzioni che più hanno fatto discutere un posto di rilievo spetta a quella fatta dal barone Lafaurie secondo il quale “Rodolfo, per quanto ancora seriamente incapricciato di Mary, le aveva comunicato la necessità di troncare la loro relazione secondo la promessa fatta all’imperatore… Mary ottenne dall’amante l’ultimo convegno a Mayerling… Si può ricostruire il dramma: Mary, impadronitasi del rasoio, ha mutilato il suo amante dormiente. L’arciduca Rodolfo ebbe ancora la forza di raggiungere Mary e di strangolarla; poi prese il fucile da caccia e si sparò in bocca”. Questa tesi piacque molto anche a Mussolini che la sostenne in un suo articolo…

 

Questa è la ricostruzione più fantasiosa, soprattutto per il finale della tragedia… girò anche un’altra versione riveduta che presentava una Vetsera, sopravvissuta a Rodolfo, vivere in un convento inaccessibile! Ne lessi a proposito anche in una vecchissima edizione de “La Stampa” di Torino degli anni ’30 del secolo scorso. Mussolini all’epoca pare fosse molto preso dalla tragedia di Mayerling, ma nonostante fosse un giornalista, non cercò mai di scavare per cercare la verità come fecero, per nostra fortuna, altri al suo posto, ma si accontentò di divulgare la versione più truce che girava sul grande mistero.

Di questa costruzione, l’unica parte che potrebbe essere veritiera ma di cui non abbiamo prove certe è l’udienza, pochi giorni prima della tragedia, data dall’imperatore al principe ereditario, motivata da una lettera di papa Leone XIII. Pare, infatti, e anche qui non abbiamo prove, che Rodolfo avesse scritto al Papa per ottenere l’annullamento del suo matrimonio, tutto da vedere se a causa della Vetsera o solo perché doveva metter fine all’unione con l’arciduchessa Stefania magari anche per l’impossibilità della donna di dargli un erede maschio. Il papa di conseguenza scrisse all’imperatore per aggiornarlo e Francesco Giuseppe, siamo sempre nell’ipotetico, avrebbe ricevuto il figlio per dissuaderlo dal divorzio e per fargli promettere che avrebbe messo fine alla sua relazione con la Vetsera. Da qui la tragedia, in alcune versioni, come quella di Mussolini e Lafaurie, oppure più semplicemente con i due amanti che non potendo vivere separati decidono insieme di mettere fine alle loro esistenze.

Riguardo a questa udienza, la maggior parte degli scrittori di Mayerling non è sicura sia accaduta davvero, come Bibl che scrisse alla fine degli anni 30, e lo stesso Mitis. Tra i pochi che ci credettero ci fu Brigitte Hamann.

Possiamo certamente affermare che la versione suddetta è la più assurda, insieme a quella dell’assassinio del guardiacaccia a causa della gelosia per la moglie.

 

Il dottor Gerd Holler, in un libro del 1980, analizzando gli aspetti clinici della vicenda, afferma che la Vetsera era incinta. Per evitare lo scandalo di una nascita illegittima, Mary sarebbe stata spinta all’aborto. Gli fu praticato il 28 gennaio, poi i due amanti raggiunsero Mayerling per un periodo di riposo durante il quale Mary però sarebbe stata colta da una inarrestabile emorragia e Rodolfo, vedendo l’amante morirgli dissanguata tra le braccia, scelse di uccidersi…

 

Questa, rispetto alle altre versioni, è la più verosimile, e per le lettere che conosciamo di Rodolfo in cui scrisse che doveva morire per il suo buon nome, e per il dubbio del periodo effettivo in cui i due divennero amanti. Per un ufficiale quale era Rodolfo, l’aver provocato tramite l’aborto la morte di un’altra persona era un buon motivo per mettere la parola fine alla sua esistenza, e sappiamo che nella seconda metà dell’800 Vienna era la città europea col tasso più alto di suicidi. Teniamo conto che è dimostrabile che per Rodolfo la questione dell’onore in quanto ufficiale era argomento di grande importanza, oggi difficilmente decifrabile come molte cose di quel mondo che fu e che venne spazzato via dalla prima guerra mondiale.

Il dubbio, poi, che la coppia si frequentasse intimamente già dall’autunno del 1888 darebbe anche la possibilità di questa gravidanza, e che appunto alla fine del 1889, la mattina del 28, si procedesse all’aborto, con l’applicazione di un catetere che avrebbe provocato la morte del bambino, ma che a volte, purtroppo, provocava la morte anche della donna, come secondo il dottor Holler sarebbe capitato a Mary. Brigitte Harmann è contraria a questa versione dei fatti affermando che le donne dell’alta società mai e poi mai ricorrevano all’aborto, data la pericolosità, piuttosto si recavano in un luogo sicuro dove partorire e lasciare il bambino.

Il dottor Holler ci fa giustamente notare che fu trovata solo una pallottola nella stanza da letto del principe che fu teatro della morte dei due giovani e, senza ombra di dubbio, era quella con cui si era sparato Rodolfo, in un secondo luogo fra le poche persone che videro da vicino il cadavere di Mary non ci fu una concordanza sulla ferita, sembrava prima che lo sparo fosse partito da sinistra, poi da destra, un caos difficilmente definibile e che in effetti non riscontriamo riguardo a Rodolfo.

Le testimonianze secondo cui il letto era pieno di sangue a livello delle gambe della baronessa darebbero ragione al dottore, dato che la baronessa sarebbe morta per un’emorragia dell’utero, ma anche qui purtroppo molti parlarono e non è facile distinguere quali siano i ricordi fedeli alla realtà e quali no. Certo non si può dar torto a Holler quando afferma che chiunque fosse implicato in quella tragedia aveva tutte le buone ragioni per non far trasparire la realtà dell’aborto, e per il buon nome del principe ereditario defunto, e per non essere implicati in una faccenda che comportava conseguenze penali ma anche religiose.

Una testimonianza vicina al primo ministro conte Taaffe, che dopo la tragedia tenne nel suo castello in Boemia dei documenti importanti sulla vicenda (per volere dell’imperatore), ci riporterebbe alla gravidanza di Mary. La contessa Zoe Walssilko-Serecki, lontana parente dei Taaffe, narrò, nel 1955, che nel 1919, ospite del figlio del defunto primo ministro nel castello di Ellischau, vide dei documenti su Mayerling e li lesse avidamente, e disse di ricordare distintamente di aver letto che Mary Vetsera era incinta e che al ritrovamento dei cadaveri la povera ragazza era sommersa dal sangue che le usciva anche dalla bocca. Disse di ricordare anche che il conte Taaffe le riferì che avrebbe bruciato i documenti, cosa verosimile dato che nessun storico, compresa Brigitte Hamman, celebre biografa del principe ereditario e dell’imperatrice sua madre, è mai riuscita a trovarli.

L’ultimo tassello il dottor Holler ce lo da, ma solo a metà. Nel 1945 i sovietici entrarono nel cimitero di Heiligenkreutz e aprirono delle tombe in cerca di un eventuale bottino di gioielli.

Quando finalmente i becchini poterono mettere ordine, sistemarono anche i resti di Mary, la cui tomba era fra quelle depredate. Chi vide il teschio della povera ragazza affermò che non aveva alcun foro di proiettile, che era integro. Purtroppo però, quando il dottor Holler fece domanda di poter esumare il cadavere per vedere di persona lo stato del cranio, gli fu negato. La testimonianza appena riportata potrebbe, tuttavia, essere il tassello finale delle tesi di Holler.

 

Poco dopo il libro di Gerd Holler, uscì la biografia della Hamann. Gli studi di questa autrice cos’hanno portato di nuovo all’indagine?

 

Brigitte Hamann detiene il primato, dopo Oskar Von Mitis, di aver indagato a fondo più di qualunque altro sulla vita e le passioni di Rodolfo, in particolare su quella giornalistica. Dopo aver studiato a fondo la vita e gli scritti del principe giunse alla conclusione che si trattò di suicidio, ma non per amore. Furono decisivi alcuni fattori molto importanti, quali il debole carattere di Rodolfo, la malattia (Hamann, a differenza di Holler, crede che la gonorrea, contratta dal principe nel 1886, sarebbe stata mortale per lui e che lui lo sapesse), la disperazione e l’isolamento all’interno della famiglia imperiale e la speranza, sempre più debole, di poter migliorare la situazione dell’impero salendo al trono in breve tempo. Infine, l’aver trovato una ragazza innamorata di lui e disponibile a morire con lui e per lui.

 

Altrove è stato riportato che la causa della tragedia sarebbe stata una certa Pauline, moglie di un guardiacaccia del castello e amante segreta di Rodolfo…

 

Questa è appunto la versione più assurda dopo quella tramandata dal futuro duce, di volta in volta cambiarono i nomi della presunta amante e del marito tradito. Holler, a suo tempo, cerco in lungo e in largo i presunti coprotagonisti della tragedia, ma scoprì che i nomi erano inventato, e non c’era prova alcuna che fosse andata così. Le prove portano in tutt’altra strada. E’ probabile che questo tipo di storielle da libro di seconda categoria siano nate nel momento in cui sbiadì la figura vera e storica del principe ereditario e ci si ricordò solo della sua intensa vita da uomo dedito alla conquista d’una donna dopo l’altra ed ai divertimenti di ogni tipo.

C’era una versione secondo la quale un ipotetico uomo tradito lo uccise rompendogli in testa una bottiglia di champagne, un’altra in cui il presunto assassino fosse uno degli zii Baltazzi (zii materni) di Mary. Queste versioni, nonostante non siano apportate da alcuna prova, sono tuttora diffuse.

Pare che sia stato anche un ritratto di Rodolfo, sul letto di morte e con la testa fasciata e dalla strana forma, ad aiutare la diffusione di queste dicerie, insieme al fatto che le sue mani fossero nascoste per celare appunto eventuali ferite, conseguenza della colluttazione col suo assassino.

 

Un’ultima ipotesi poi subentra a stravolgere tutto quanto si è fino ad ora detto. Rodolfo, si è scritto, sarebbe stato coinvolto in un complotto ordito da secessionisti ungheresi contro Francesco Giuseppe. L’arciduca, all’ultimo momento e forse perché scoperto, si sarebbe rifiutato di partecipare al piano che prevedeva l’assassinio del genitore. Ciò avrebbe decretato la sua condanna a morte e l’assassinio della Vetsera come atto di depistaggio. La tesi fu poi anche rilanciata dall’ultima imperatrice, Zita di Borbone-Parma, moglie di Carlo I.

 

Questa versione ha avuto grande risonanza grazie alla contessa Larisch-Wallersee, nipote dell’imperatrice Elisabetta, nata dal matrimonio morganatico del fratello maggiore dell’imperatrice, Ludovico, con un’attrice, Henriette Mendel. La contessa era perciò solo una figlia morganatica, non una duchessa in Baviera, dato che il padre per sposare l’attrice dovette rinunciare alla sua primogenitura. La ragazza fu vicino per molti anni alla zia imperatrice che le fece sposare il conte Larisch. Quando però venne a galla, dopo la tragedia di Mayerling, a causa del ritrovamento di una lettera indirizzatele da Rodolfo, che aveva avuto un ruolo non ben definito nella relazione fra il principe ereditario e la baronessa Vetsera, la zia imperatrice non volle più vederla e fu allontanata dalla corte, senza peraltro avere nemmeno modo di spiegare la sua posizione.

Nel 1913 pubblicò un primo libro, “Il mio passato”, e si suppone che abbia menzionato la storia del complotto che già era stata citata da altri, ma a cui lei cercò di dare un’aura di verità per discolparsi di aver avvicinato i due amanti. Narrò, in questo e poi negli altri libri che scrisse fino alla metà degli anni ’30, che poco dopo la morte di Rodolfo e Mary, uno sconosciuto le avesse dato appuntamento per avere la cassetta di ferro che Rodolfo, a suo dire, le aveva consegnato poco prima di morire, facendole capire che se l’imperatore avesse visto quelle carte per lui sarebbe stata la fine. Naturalmente disse che nello sconosciuto aveva riconosciuto l’arciduca Giovanni senza possibilità di essere smentita, dato che questo arciduca, noto per la sua avversità alle regole della Casa Imperiale, lasciò il suo posto in seno alla famiglia poco dopo la morte di Rodolfo, prendendo il nome di Johann Orth e naufragò con la sua nave, portando con sé i suoi eventuali segreti, all’inizio degli anni ’90.

Le interviste dell’imperatrice Zita furono pubblicate nel “Kronen Zeitung” nel 1983.

Disse essere certa che Rodolfo fu assassinato da agenti venuti dall’estero, cioè dalla Francia, sostenendo però che non era in grado di fornire prove, solo testimonianze sentite in seno alla sua famiglia. Ad esempio sua zia, l’arciduchessa Maria Teresa, terza moglie dell’arciduca Carlo Ludovico, fratello dell’imperatore, le racconto di aver visitato la salma di Rodolfo e nel toccare le sue mani inguantate disse di essersi accorta che i guanti erano pieni di ovatta, perché le sue mani erano distrutte.

E’ supponibile che l’ultima imperatrice Zita avesse sentito solo delle chiacchiere da altri parenti, che difficilmente conoscevano la verità dei fatti. Le fu dato peraltro credito data la sua vicinanza all’imperatore Francesco Giuseppe durante gli ultimi anni di vita del monarca, perché dopo l’assassinio di Sarajevo era diventata la moglie del principe ereditario. Credo sia da escludersi che Francesco Giuseppe parlasse di un argomento simile e così doloroso con la moglie di un suo pronipote.

In ogni caso abbiamo varie testimonianze che l’imperatore, anche dopo la morte del figlio, continuò a ritenerlo il migliore dei figli e dei sudditi, ci sono svariate lettere che lo testimoniano, il suo affetto verso il figlio non ebbe mai fine. Non sarebbe stato così se suo figlio avesse ordito un complotto per eliminarlo, anche se si fosse tirato indietro.

Ricordiamo poi l’ultima opera uscita sulla tragedia di Mayerling, “Mayerling. Anatomia di un omicidio” di Fabio Amodeo e Mario José Careghino, che ripropone la versione dell’omicidio usando come prove principalmente i dispacci degli ambasciatori di Germani e Gran Bretagna, peraltro molto interessanti, le testimonianze di familiari come l’ex granduca di Toscana e il suocero, Leopoldo II del Belgio. Avvalorano poi l’ipotesi che le lettere, molte, lasciate da Rodolfo, che avvalorerebbero l’ipotesi del suicidio, siano dei falsi, ipotesi che per quanto ne so nessun importante biografo di Rodolfo o ricercatore di Mayerling ha mai avvalorato, nè Mitis, nè Judtmann, al quale fra l’altro dobbiamo l’esatta ricostruzione di come fossero le stanze del castello e il percorso che Rodolfo fece per giungere lì il 28 gennaio, come anche Hamann e Holler. Casomai, ci sono delle differenze riguardo a se Redolfo avesse lasciato delle lettere nella sua scrivania alla Hofburg o se le avesse scritte tutte a Mayerling.

Gli autori offrono poi le testimonianze, riportate in giornali degli anni ’30, di persone che furono assunti per distruggere la stanza della tragedia. Queste persone testimoniano che la stanza era ridotta come se ci fosse stata una grande zuffa, mobili e finestre distrutti, tappeti tagliati e tutto zuppo di sangue.

Infine vorrei ricordare due biografie, le prime sull’imperatrice Elisabetta, apparse all’inizio del secolo scorso. Una è del 1899 di De Burgh “Elisabetta imperatrice d’Austria. Un ricordo” (che sto traducendo), che nel capitolo in cui narrò la fine del principe ereditario affermò che era ancora una questione aperta, che l’unica cosa certa era che Rodolfo fosse stato trovato con una terribile ferita alla testa e che c’era la possibilità che Mary Vetsera lo avesse ucciso prima di suicidarsi. L’altra risale ad un anno dopo ed è di Clara Tschudi, “Elisabetta, imperatrice d’Austria, regina d’Ungheria” (opera che ho già tradotto), che narrò come le voci girassero senza tregue e che non c’era la certezza assoluta che si fosse trattato di suicidio e non di omicidio. Vanno peraltro giustificati i due ottimi scrittori, dato che in quegli anni c’era ancora molta confusione su ciò che in realtà era accaduto a Mayerling.

Mi piacerebbe in un prossimo futuro poter tradurre e riunire tutti gli articoli usciti dall’annuncio della morte del principe ereditario fino a prima della seconda guerra mondiale, per poter avere a disposizione anche nella nostra lingua tutte le leggende che fiorirono intorno alla tragedia di Mayerling.

 

 

 

 

 

 

Foto di Angelo D’Ambra

 

 

 

 

Fonte foto: dalla rete

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