Pu Yi nella vita privata

Nel 1987 Rizzoli pubblicò “L’ultimo Imperatore, una biografia di Pu Yi (1906-1967) scritta dal giornalista Edward Behr (1926-2007). Nello stesso anno era uscita nelle sale cinematografiche l’omonima pellicola di Bernardo Bertolucci (1941-2018), al quale fu affidata la stesura della nota introduttiva al volume.

Il testo di Behr ritrae l’imperatore come un uomo timido e goffo, ma con una notevole resilienza e una grande capacità di affrontare le umiliazioni con dignità. Bertolucci nella sua riflessione medita: «Da quanto ho saputo, mi sento di affermare con sicurezza che Pu Yi fu bisessuale e, per sua stessa ammissione, incline al sadismo nei rapporti con le donne. Potrebbe dunque darsi che la disaffezione della prima moglie e la fuga dalla prima concubina derivassero da questa sua inaccettabile inclinazione». Molti sono i pettegolezzi difficilmente verificabili che circolano sul conto dell’ex monarca, e la sua autobiografia – tra le fonti principali prese in esame dal regista italiano – è ovviamente selettiva e parziale. Nel film, Bertolucci non mette in scena questi aspetti della vita del personaggio, limitati a pochi accenni e comunque ricollegati al rapporto deviato con gli eunuchi, ben descritto è invece il potere di questi ultimi entro le mura della Città Proibita. La storia degli eunuchi in Cina è lunghissima, ma riassumibile come un lungo contrasto con la famiglia imperiale, prolungatosi anche dopo la proclamazione della repubblica (1° gennaio 1912) e conclusosi solo con l’arresto di Pu Yi da parte dei sovietici. In origine gli eunuchi facevano parte di un’organizzazione distinta, ma parallela, a quella della burocrazia pubblica: costituivano in pratica la “burocrazia privata” imperiale. Inizialmente si occupavano esclusivamente dell’amministrazione dei beni del palazzo, ma finirono con l’assumere funzioni sempre più importanti con i numerosi nuovi uffici che gli furono affidati agli inizi del XV secolo. Nel Novecento, con la fine della monarchia e la “clausura” del piccolo Pu Yi, tornarono al loro ruolo originario, ma spadroneggiarono sulle finanze adirando l’ultimo imperatore, che limitò la loro autorità e, prendendo le redini delle sue finanze, cercò di impedire ogni abuso.

Nel filmL’ultimo Imperatore il finale è particolarmente commovente: nella nuova Cina comunista, Pu Yi ritorna alla Città Proibita pagando l’ingresso al pari di un semplice visitatore e si dissolve come un fantasma. Ma tutto ciò non corrisponde alla realtà storica: con la fine del secondo conflitto mondiale e la permanenza prolungata in scuole di rieducazione, Pu Yi divenne un cittadino modello. Fu lui stesso a consegnare i suoi sigilli al governo cinese. Posto sul trono a tre anni, dentro di sé sapeva di non essere mai stato adatto a regnare. Divenne un giardiniere e si risposò, il partito lo invitava alle feste, dove partecipava regolarmente ai brindisi e più volte fu udito pronunciare la frase: «Adesso tutti i cinesi sono imperatori». Libero da ogni responsabilità di governo e dai crucci derivanti dal mantenimento di un pesante patrimonio ricevuto da bambino come una condanna, l’ex imperatore conobbe anni di felicità autentica, in cui poté finalmente vivere i suoi rapporti personali ponendosi con i suoi amici come un loro pari.

Nella Città Proibita il cittadino Pu Yi non diventò mai un estraneo, il suo aiuto fu fondamentale per la stesura di libri e cataloghi, nonché per l’organizzazione di mostre. Tristi furono invece i giorni in cui Pu Yi comprese di avere il cancro e la Rivoluzione Culturale stravolse la Cina. Durante le agitazioni l’ex imperatore fu perseguitato dalle guardie rosse, che gli resero difficile anche raggiungere l’ospedale e contribuirono ad accorciargli l’esistenza.

Colei che più tra tutti criticò il lavoro di Bertolucci fu Li Shuxian (1924-1997), la vedova dell’ultimo esponente della Dinastia Manciù. Nell’estate del 1992 Adriano Màdaro, giornalista de Il Gazzettino, ebbe modo di intervistarla e il pezzo fu pubblicato sul numero del 18 luglio di quell’anno. Ne trascriviamo qui di seguito il testo, con pochi adattamenti grafici.

*      *      *

PECHINOVia Shisha Haihouhai è una strada grigia e anonima, ma con il fascino discreto delle vecchie jié tartare superstiti. Negli anni le acacie si sono fatte così frondose che d’estate chiudono la prospettiva, perciò la strada si può vedere soltanto a brani.

È un ritaglio fermo nel tempo, quasi frutto di un sortilegio, della vecchia polverosa capitale del Celeste Impero, con i suoi mestieri per via e le cantilene degli ambulanti. All’improvviso un grande portone di lacca rossa rompe il grigiume circostante. È protervo come una zampata felina in mezzo a fragili cose. Si intuisce subito che dà accesso a un luogo misterioso. Appena varcato, una reggia in miniatura si presenta allo sguardo: giardini bizzarri si alternano a padiglioni dai tetti ricurvi. Era, in passato, la residenza del principe Chun, nonno di Pu Yi, l’ultimo imperatore della Cina [,] che vi nacque il 7 febbraio 1906.

La visita avviene in compagnia di una donnetta gentile che alterna piccoli sorrisi a lunghe pause tristi. È Li Shuxian, vedova di Pu Yi. Non vive in questo luogo, trasformato in museo, ma in uno squallido anonimo appartamento dalla parte opposta della città, in uno di quei polverosi quartieri popolari che erano il vanto del regime e oggi appaiono di una indecenza assoluta. L’antica residenza del principe Chun è un luogo delizioso, riporta di colpo indietro di un secolo, quando Pechino era una città fiabesca, dove le piccole regge dei principi manciù si alternavano ai quartieri di casette tartare e ai giardini dei templi. Ora, di quella antica Pechino è rimasto ben poco.

Li Shuxian è nativa di Hangzhou e non la può ricordare. Giovane infermiera è venuta a Pechino subito dopo l’arrivo dei comunisti, nel 1949. Tredici anni più tardi il destino l’avrebbe fatta incontrare con un signore attempato, ex galeotto e ex imperatore della Cina. Quell’uomo si chiamava Aisin Gioro Pu Yi, faceva l’ortolano e aveva trascorso un’esistenza da romanzo: quella raccontata da Bertolucci ne “Lultimo Imperatore.

Ha visto quel film? Cosa le è sembrato?

Non sono d’accordo sul ritratto che ne esce di mio marito.

Dove non è daccordo?

Su tanti punti, soprattutto sulla seconda parte. E poi sulla terza che non c’è, e invece sarebbe stata la più interessante.

E quale avrebbe dovuto essere la terza parte?

Quella dall’uscita dal carcere alla morte. Bertolucci la liquida in dieci minuti, senza spiegare “l’uomo nuovo” Pu Yi.

Quello che in realtà ha conosciuto lei.

Appunto. E poi il carattere di mio marito era diverso da come lo ha descritto Bertolucci. Era vivace, spesso allegro, forse un po’ bambinone.

Come conobbe Pu Yi?

Come ai tempi antichi, presentati da due amici. Non sapevo che fosse l’ex imperatore: me ne sono resa conto soltanto al primo incontro, l’ho riconosciuto perché la sua foto, quando nel 1959 uscì dal carcere, fu pubblicata su tutti i giornali. Quando restammo soli in quel parco vicino alla Città Proibita mi sentii gelare. Ebbi paura. Per me era pur sempre l’ex imperatore della Cina.

Cosa accadde tra di voi in quel momento?

Lui capì il mio sgomento, fu molto tenero. Volle informarsi sulla mia vita, sul mio lavoro, mi disse che in carcere a Fushun aveva studiato la medicina tradizionale cinese, era interessato. Era molto ciarliero, aveva 56 anni, io diciannove di meno, ma mi sentii subito bene con lui. Fissammo un altro appuntamento.

Le chiese subito di sposarlo?

Sì. Dopo quel primo incontro (era il primo febbraio del 1962), ve ne fu un altro di lì a qualche giorno. Mi disse che si era innamorato di me, così mi chiese di sposarlo. Gli risposi che avrei preferito riflettere, aspettare un po’ di tempo, ma lui insisté.

Lei non ne era convinta?

Sì, mi piaceva, era molto gentile, un uomo particolarmente fine, aveva dei modi non comuni. Del resto era stato imperatore. Quell’educazione ricevuta nella Città Proibita non era stata cancellata dai quindici anni di carcere, cinque nell’Unione Sovietica e dieci in Manciuria. Così, un po’ perché davvero mi piaceva, un po’ per le sue insistenze, decidemmo la data: il primo maggio.

Oltre al fascino, sarà pur stata attratta da qualcosaltro. In fin dei conti sposava un uomo importante, uno che era stato imperatore…   

Ma no! Sarà anche stato imperatore, ma era poverissimo. Non aveva niente e guadagnava meno di me. Mi aveva meravigliato quella sua insistenza di sposarmi subito, ero sorpresa. Ma poi ho capito perché.

E perché tutta quella insistenza? 

Perché temeva che mi accorgessi che era impotente e forse pensava che se lo avessi scoperto prima del matrimonio non lo avrei sposato.

Quindi l’ha imbrogliata…

Sicuro. Quando l’ho saputo mi sono molto offesa e lui era desolato. Invocò il mio perdono, e glielo diedi un po’ a fatica. Ma da quel momento fu ancora più gentile e amoroso.

Le sarà dispiaciuto di non potere avere un figlio.

Altroché. Ma forse, alla fine, più a lui che a me. O forse più al presidente Mao.

Cosa c’entra il presidente Mao in questa faccenda vostra, assolutamente privata?

Il Partito comunista, il governo, volevano che l’ex imperatore avesse una discendenza. In fin dei conti la sua conversione al comunismo era un successo della politica del presidente Mao. Pu Yi era stato trasformato in cittadino modello, la lunga rieducazione in prigione lo aveva restituito alla società nuova come un uomo rigenerato. Ma era pur sempre l’ex imperatore, il più alto esponente della minoranza etnica dei manciù. Un suo discendente, educato nella società comunista, avrebbe continuato a garantire l’unità nazionale contro future tendenze separatiste dell’ex Manciuria [probabilmente intendeva dire l’ex impero del Mǎnzhōuguó].

Quindi un calcolo unicamente politico?

È vero, ma anche molta sollecitudine per la sua felicità coniugale. Quando il governo seppe della sua anomalia fisica fu sottoposto a cure e visite, ma quello era un problema che risaliva alla sua infanzia nella Città Proibita.

Vuole essere più esplicita, se può?

È risaputo che fu allevato dagli eunuchi di Corte. Fu eletto imperatore all’età di tre anni, e da allora fu nelle mani degli eunuchi. Deve essere accaduto qualcosa in quel tempo. Forse gli eunuchi hanno impedito in qualche modo che la sua sessualità si sviluppasse in modo normale. Non so…

Con lui ne ha più parlato, dopo che se ne è accorta la prima volta?

Mai più. La cosa lo feriva molto, era avvilito. Ci mettemmo una pietra sopra e cominciammo la nostra vita come fratello e sorella. Fummo ugualmente felici.

In quegli anni della vostra vita matrimoniale, quali furono i suoi giorni più lieti?

Direi tutti, finché non fu colpito dal cancro e non fu travolto dalla Rivoluzione culturale. Furono felici soprattutto i primi tre o quattro, quando viaggiammo attraverso la Cina (che non aveva mai visto), quando visitammo insieme la Città Proibita e lui mi mostrava le stanze dove aveva trascorso la sua infanzia, dove riceveva l’insegnamento dei precettori compreso l’inglese [Reginald Fleming] Johnston [1874-1938].

Com’erano le sue giornate?

Viveva semplicemente. Lavorava, prima nell’Orto botanico, poi alla Conferenza consultiva come ricercatore storico. Il presidente Mao ha voluto che fosse eletto, pur non pretendendo che si iscrivesse al Partito comunista. Era molto orgoglioso di essere utile alla sua patria. Scriveva le sue memorie, poesie, epigrammi, coltivava i crisantemi, studiava la storia della sua dinastia.

Finché un giorno scoppiò la Rivoluzione culturale… 

Sì, purtroppo. Capì subito che ne sarebbe stato travolto. Era già malato di cancro e aveva bisogno di cure. Le guardie rosse impedirono più volte il suo ricovero in ospedale, lo criticarono per il suo libro di memorie, gli sequestrarono i soldi guadagnati con quel libro. Vennero in casa e ci ruppero i mobili. Vivemmo un anno di terrore.

Nessuno lo difese? In fin dei conti era un cittadino che aveva espiato le sue “colpe”.

Forse Mao non sapeva come andavano realmente le cose. Ma Ciu Enlai [Zhou Enlai (1898-1976)] fu avvertito da nostri amici, intervenne più volte, finché poté ci aiutò. Poi fu difficile anche per lui, così le condizioni di salute di Pu Yi si aggravarono e morì il 17 ottobre 1967.

Cosa accadde dopo la sua morte?

Era morto uno qualunque. Il suo corpo fu cremato e le sue ceneri deposte in un’urna e sepolte in un cimitero qualsiasi. Per tredici anni nessuno parlò più di Pu Yi, era semplicemente un «controrivoluzionario». Poi, nel 1980, il governo ha disposto una solenne cerimonia postuma e ora le sue ceneri riposano nel cimitero degli eroi di Babaoshan, a ovest di Pechino.

Cosa pensa di ciò che le ha riservato il destino?

È stata una bellissima fiaba. Sono grata al mio destino. Anche se abbiamo vissuto insieme soltanto sei anni, pur nelle avversità e nelle tribolazioni della malattia, sono stati i più belli.

Adriano Màdaro

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Lo scorso anno, chi scrive ha parlato con alcuni studenti universitari cinesi e gli ha chiesto cosa ne pensano di Pu Yi: «La sua dinastia ha fatto molto per farsi odiare dal popolo cinese. Lui stava con il governo del Giappone, che si macchiò di crimini immondi. Non lo considerate un traditore?» «Non useremmo una parola simile verso un uomo dalla vita così difficile.» è stata la risposta, «I giudizi possono dividere le persone…è una parte importante della nostra storia, ed è passato molto tempo». Lo scrivente ha avuto l’impressione che in queste frasi ci fosse del rispetto, ma forse era solo il desiderio di non guardare ad eventi del passato come se fossero accaduti ieri.

 

Autore articolo: Riccardo Pasqualin, insegnante di materie umanistiche, si dedica allo studio della Storia Veneta e del legittimismo. Tra i suoi testi si può ricordare “Il paesaggio rurale storico nel Comune di Candiana” (2020).

 

Bibliografia

 Fonte dell’intervista: Adriano Màdaro, «Fratello» Imperatore. «Pu Yi era impotente, ma io lo amai lo stesso», in «Il Gazzettino», Sabato 18 luglio 1992, p. 5.

– La bibliografia in lingua italiana sulla storia cinese è sconfinata, ma per una vasta visione d’insieme si può consigliare la lettura di Mario Sabattini/Paolo Santangelo, Storia della Cina, Laterza, Bari 2005; AA.VV., Manciù [catalogo della mostra: Manciù. L’ultimo Imperatore, Treviso, Casa dei Carraresi, 29 ottobre 2011-13 maggio 2012], Fondazione Cassamarca, Treviso 2011.

 

 

Riccardo Pasqualin

Riccardo Pasqualin, insegnante di materie umanistiche, si dedica allo studio della Storia Veneta e del legittimismo. Tra i suoi testi si può ricordare “Il paesaggio rurale storico nel Comune di Candiana” (2020).

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