Raimondo Lullo

Nato da un’illustre famiglia originaria della Catalogna, Raimondo Lullo abbracciò giovanissimo la vita dell’uomo d’armi seguendo le orme paterne, suo omonimo, che, al servizio di re Jaime I d’Aragona, aveva sottratto agli arabi le isole di Maiorca e Minorca. Lullo padre aveva comperato un pò di terra e, incrementato tale patrimonio con alcune donazioni offerte dal monarca in cambio dei suoi servigi, volle vivere a Maiorca e qui costruire la sua famiglia.

Raimondo figlio, nacque sull’isola. Nella sua adoloscenza non si dedicò affatto a studi approfonditi, sebbene mostrasse un’acuta intelligenza, perché non era un’occupazione consona al rango paterno. Si preoccupò solo di saper perfettamente maneggiare spada e scudo. A corte fece un’ottima carriera, divenne siniscalco e maggiordomo del futuro Jaime II. Contrasse matrimonio ed ebbe tre figli, in una vita dalla condotta sregolare e lussuosa. Come tutta l’aristocrazia militare del suo tempo, visse all’insegna della dissoluzione e della dissipazione delle ricchezze di famiglia. Un profondo cambiamento era però dietro l’angolo e lo portò ad abbandonare la vita mondana e licenziosa.

Si invaghì di una donna di rara bellezza che gli si mostrò sempre indifferente e respinse più volte le sue pretese fino a quando, seccata dal suo insistente corteggiamento, gli disse di pensare a Dio e distogliere lo sguardo da una delle sue imperfette creature. Colpito da quelle parole, Raimondo si gettò ai piedi di un crocifisso e, travolto da una crisi profonda, nel giro di qualche giorno abbracciò una vita ascetica.

Nella Vida de mestre Ramon racconta diversamente queste cose. Dettò al suo biografo – un monaco della Certosa di Vauvert – di averricevuto cinque visioni di Cristo che lo convinsero a cercare il martirio. Ad ogni modo, a trent’anni, intraprese un pellegrinaggio a Santiago de Compostela, lasciando ogni avere, cedendo tutti i suoi beni ai figli e distribuendo parte di essi ai poveri. Si dedicò così esclusivamente alla preghiera ed alla conversione degli infedeli. Con tale proposito affrontò dieci anni di preparazione dedicandosi a quegli studi che aveva disprezzato in giovinezza, volle concentrarsi specialmente sulla lingua araba per poi poter evangelizzare i popoli d’Africa e Asia. Si ritirò quindi in una grotta sul Monte de Randa dove si abbandonò alla meditazione e alla contemplazione, e infine entrò nel monastero cistercense di La Real dove i monaci gli insegnarono latino, grammatica e filosofia. Riuscì così edotto in arabo che stabilì pure una cattedra di lingue orientali nel convento di San Francisco nella città di Palma. All’età di quarantasei anni passò a Parigi, e da lì a Roma, per chiedere al pontefice Nicola IV la creazione di istituire altri centri per l’insegnamento delle lingue orientali al fine di guidare una nuova crociata. Incontrando numerose opposizioni, decise di intraprendere una sua solitaria spedizione e si imbarcò per l’Africa per realizzare il suo sogno misionario.

In Tunisia ebbe una prima grande disputa coi dottori del Corano. Lo arrestarono e lo condannarono a morte, come piantagrane e seduttore del popolo. Se non fosse intervenuto in sua difesa uno degli abitanti più rispettabili di Tunisi sarebbe certamente finito ammazzato. Ebbe salva la vita ma fu espulso dal paese.

Finì quindi nel Regno di Napoli dove, intorno al 1295 insegnò pubblicamente la sua Nuova Introduzione alle scienze e, dopo aver fatto un altro viaggio inutile a Roma per provare ancora ad ottenere una cattedra di lingue orientali, si ritirò in Francia e poi andò in Spagna per negoziare con il re Ferdinando IV una spedizione combinata tra i due paesi per la riconquista di Terra Santa. Intraprese nuovamente la sua missione in Africa, ma fu nuovamente perseguitato. Ansioso di andarsene, si diresse verso Pisa, ma la nave su cui viaggiava affondò e lui fu uno dei pochi sopravvissuti al naufragio, riuscendo a raggiungere la costa italiana.

Ricevette qui delle lettere da Edoardo il re d’Inghilterra e da Roberto re di Scozia che invocavano la sua presenza nei loro stati. Affrontò allora il viaggio che l’avrebbe portato oltre la manica ed incontrò i due sovrani. Raccontò loro della sua idea di una spedizione contro gli infedeli e promise di poter assicurare tutto il denaro necessario per potarla avanti. Ma come avrebbe fatto? Si rinchiuse in una torre di Londra e qui incominciò a dedicarsi a complesse pratiche alchemiche. A quanto si dice riuscì effettivamente a fabbricare una gran quantità di pezzi d’oro puro convertendo migliaia di libbre di mercurio, piombo e stagno. E’ vero? Camden e Dickinson, autori inglesi, affermano che le monete chiamate Rose noble furono il risultato delle misteriose operazioni di alchimia effettuate da Raimondo Lullo.Nel frattempo aveva pure redatto non meno di cinquecento volumi sui più disparati argomenti, grammatica, retorica, morale, politica, diritto canonico, metafisica, musica, matematica, medicina e teologia… Ebbe una fertilità d’ingegno ancora più ammirevole se si considera che trascorse la maggior parte della sua vita predicando, insegnando e viaggiando.

Nel 1312 era a Vienna al consiglio voluto dal re di Francia per scomunicare il defunto Bonifacio VIII ed aprire la caccia ai templari, ma nessuna notizia ci ha raggiunto su come ha votato in ciascuna delle questioni trattate. Si sa per certo che una proposta di Lullo fu accolta ed un’altra respinta. Furon ocreate scuole per insegnare ai missionari la lingua araba, mentre fu respinta l’idea di una nuova crociata. Così Lullo tornò solitario a Tunisi per continuare la sua missione, da lì rimpatriò a Maiorca, dove morì, ma non mancano biografi che scrivono in realtà di un suo martirio a Bugia, in Algeria, linciato da una folla di musulmani che aveva provato a convertire.

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Fonte foto: dalla rete

Bibliografia: S. Muzzi, Per conoscere Raimondo Lullo; M. Pereira, The Alchemical Corpus attributed to Raymond Lull

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