Sentenza di morte di Giuseppe Ricci, Modena 1832

La Giuseppe Ricci, Guardia Nobile d’Onore, fu ingiustamente accusato di avere ordito un complotto contro il Duca di Modena Francesco IV e fucilato il 19 luglio del 1832. Quella che segue è la sua sentenza di morte (F. A. Gualtiero, Gli ultimi rivolgimenti italiani).

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IN NOME DI S. A. R. FRANCESCO IV, DUCA DI MODENA, REGGIO, MIRANDOLA, MASSA E CARRARA EC.

 

SENTENZA. La Commissione Militare instituita con venerato chirografo sovrano 5 luglio 1832, composta Dei Signori Mellini Gaetano, maggiore comandante il Corpo dei Reali Dragoni, e cavaliere della Corona di Ferro. Ponziani Luigi, brigadiere della Guardia Nobile di S.A.R. col rango di capitano. Benvenuti Ferdinando, tenente nel Reale Battaglione Estense di Linea. Rustichelli Giovanni, sottotenente nel Reale Battaglione degli Urbani di Modena. Ferrari Carlo, sergente nell’Artiglieria. Taffurelli Pietro, caporale dei Trabanti. Ferri Luigi, sotto-caporale nel Corpo Reale dei Pionnieri. Scardovi Luigi, comune nel Real Battaglione Estense di Linea. Bonazzi Dottor Carlo, Giudice istruttore e f. f. di Fiscale; Si è riunita nella sua Residenza in Cittadella per giudicare li detenuti: Ricci Giuseppe del vivente cavaliere Carlo, nativo di Modena ed ivi domiciliato, possidente, d’anni 36, ammogliato con figli, ex Guardia d’onore di S. A. R. Montanari Venerio del fu Antonio, nativo di Sorbara, abitante in Modena, di anni 37, ammogliato, falegname di professione. Tosi Giacomo del defunto Angelo, nativo di Novi, e da molti anni dimorante in Modena, d’anni 58, ammogliato, sartore di condizione. Piva Domenico del fu Luigi, di Saliceta S. Giuliano, abitante in Bastiglia, quale conduttore di mulini, d’anni 34, ed ammogliato con figli. Guicciardini Giovanni del fu Giuseppe, nato e domiciliato in Bastiglia, d’anni 27, ammogliato con figli, e possidente. Gasparini Carlo di Alfonso, nato e domiciliato in Bastiglia, d’anni 23, tintore, fabbro-ferrajo di condizione, ed ammogliato. Borghi Giuseppe del fu Antonio, nativo e domiciliato in Bastiglia, d’anni 46, ammogliato con figli, possidente e chirurgo ed ex-agente comunale di detto luogo. Costituiti rei Perchè una sera di un giorno della prima intiera settimana del mese di marzo dell’anno corrente, in segreta adunanza tenutasi dal Ricci nel di lui casino situato nel territorio di Bastiglia, e precisamente lungo il canale Naviglio, colli Montanari, Tosi, Piva, Guicciardi, Gasparini, Borghi, e con altri due individui che sonosi resi ora profughi, avevano macchinato di trucidare con arma da fuoco o coltello in asta, e col sussidio di numerosa banda armata di cospiratori, e mediante assassinio, S. A. R. Francesco IV augusto regnante di questi Domini Estensi, in certo determinato giorno del suindicato mese di marzo in questa città, ad opera dei prenominati Piva, Gasperini e Tosi; e nel medesimo tempo gli anzidetti Montanari, Guicciardi, ed uno dei detti assenti dovevano arrestare, come in ostaggio, l’augusta persona della reale sua consorte al fine di ottenere più facilmente il disarmamento della pubblica forza, e così impossessarsi dello Stato. Per l’esecuzione del quale atroce misfatto, ordito in odio della sovranità di S. A. R., erasi affidato al Borghi ed al Gasparini il carico di portare nell’antecedente giorno le armi micidiali, ed il promesso vistoso premio di duecento luigi d’oro alli Montanari e Tosi, e mentre l’altro dei detti latitanti aveva assunto l’impegno di distribuire nello stesso giorno le altre armi consimili e premio ai sunnominati Piva, Guicciardi, e ad uno dei predetti fuggiaschi. Del qual barbaro ed esecrando progetto, alla di cui consumazione dovevasi il Ricci trovare presente, ne era egli stato il promotore e capo. Perlochè tutti i suddetti inquisiti sonosi resi contabili del delitto di lesa maestà in primo grado. Esaminati gli atti del processo stato costrutto sulle speciali traccie somministrate alla curia dal Ministero del Buon Governo: lette le conclusioni del f. f. di Fiscale dottore Carlo Bonazzi: lette le difese rilasciate in atti dal signore avvocato Bettoli difensore officioso delli Montanari e Tosi, e dal signor avvocato Giuseppe Gerez, difensore pure officioso delli Ricci, Piva, Guicciardi, Gasparini e Borghi: Previo il giuramento preso sul Santo Vangelo, alla forma ec., da ciascheduno degl’individui componenti la suddetta Commissione: Ritenuto che Montanari e Tosi sono confessi del delitto loro contestato, e che la confessione dei medesimi fu bastantemente verificata dagli atti: – Ritenuto che a comune carico delli Ricci, Piva, Guicciardi, Gasparini e Borghi negativi, stanno l’incolpazioni dei predetti correi Montanari e Tosi, confessi in capo proprio e giurati quoad alias, giusta il disposto del sovrano Codice al S 2, Tit. IX. Lib. 4: – Ritenuto che chiara, costante e circostanziata rilevasi la incolpazione dei ridetti Montanari e Tosi, tale e che non tende per qualsiasi motivo o causa d’interesse a versare il proprio reato sopra alcuno dei prenominati inquisiti negativi: – Ritenuto che per siffatte conformi deposizioni degli stessi Montanari e Tosi resta stabilito che il Ricci era stato il promotore e capo dell’assassinio nella sacra persona di S. A. R. ordito nel proprio casino, e che in lui emergeva tanto più grave una tale criminosa macchinazione, in quanto che vi concorreva la sua nobile qualità di Guardia d’onore della medesima venerata S. A. R.: – Ritenuto che ad aggravare maggiormente il Ricci, oltre le suddette deposizioni dei due correi, e ad indurre il pieno legale convincimento di sua reità, si uniscono altre emergenze processuali, da cui si hanno ancora non lievi riscontri esser egli stato uno dei principali cooperatori della ribellione scoppiata in questi Estensi domini nel febbrajo 1831: – Ritenuto che sebbene il Piva, Guicciardi, Gasparini e Borghi rimangono urgentemente indiziati del delitto contestato, per cui non si fa luogo alla pena ordinaria; pure nel fissarne una straordinaria conviene prendere una diversa graduazione, avuto riguardo anche alla parte ed all’assunto che ciascheduno si era preso per l’esecuzione dell’esecrando attentato, ed alla qualità delle persone: – Ritenuto che Piva, Tosi e Gasparini si erano impegnati dell’eseguimento del colpo micidiale, e che lo stesso Piva ed il Guicciardi coadiuvarono direttamente per la ribellione predetta, essendone di ciò indiziato eziandio il Gasparini: – Ritenuto che sebbene il Borghi all’epoca della concertata suespressa macchinazione fosse rivestito della carica d’Agente Comunale, pure egli è certo che non aveva nè ha antecedenti pregiudizi politici e criminali; Visti li SS 1. 2. 3. 4 e 7. Tit. II, Lib. V del Codice, in relazione al S 51, Lib. l, Tit. I del Codice stesso: Ha condannato e condanna li Ricci Giuseppe, Montanari Venerio e Giacomo Tosi alla pena di Morte, da eseguirsi mediante la Forca, e all’altra della Confiscazione dei loro beni di qualunque specie e natura; e li Piva Domenico, Guicciardi Giovanni e Gasparini Carlo alla pena della galera in vita, e Giuseppe Borghi a simile pena per anni quindici, e tutti poi in solido delle spese. Dichiara inoltre, che resta aperto il processo contro gli stessi Piva, Guicciardi e Borghi per l’interesse della legge in qualunque caso e tempo si presentino degl’indizi per procedere ulteriormente a termini della legge medesima. (Proferita come sopra questo giorno 11 luglio 1832.) (Seguono le firme.)

 

Vista da Noi la sentenza proferita nel giorno 11 luglio 1832 dalla Commissione Militare da Noi appositamente nominata per giudicare – 1° Il cav. Giuseppe Ricci come accusato capo e promotore di congiura al fine di far togliere a Noi la vita, di assicurarsi della persona della Nostra amatissima consorte l’arciduchessa Maria Beatrice, onde paralizzare con ciò l’opposizione militare, e il tutto per impossessarsi dello Stato: indi 2° per giudicare i suoi complici di si nefando delitto, cioè Venerio Montanari, Giacomo Tosi, Giovanni Guicciardi, Domenico Piva, Carlo Gasparini e Giuseppe Borghi, tutti arrestati e detenuti; – Visto da Noi tutto il transunto e le risultanze del processo, non che viste le conclusioni finali, approviamo la detta Sentenza della Commissione Militare, colle variazioni di cui in appresso. Nè ci fa ostacolo alcuno la circostanza unica dal difensore del Ricci addotta, d’essere uno dei testimoni che deposero contro di lui, stato altra volta in galera per tutt’altro delitto; mentre in questo caso esso non aveva nè astio nè passione alcuna contro il Ricci, non conoscendolo nemmeno prima di questa circostanza; nè lo mosse a palesare il fatto alcuna promessa, nè cagione di guadagno a vantaggio proprio, mentre anzi con ciò veniva ad accusar sè stesso; e la sua circostanziata deposizione è pienamente concorde con quella dell’altro testimonio senza eccezione, e perciò resta ammenicolata la prova del delitto in genere da tanti indizi gravissimi, e da vari testimoni di fatti parziali, che lo aggravano. Essere poi Noi possiamo tranquillissimi in coscienza nella sussistenza del fatto, mentre Dio permise che il Ricci, dopo di essersi tenuto nella negativa in tutto nell’esame, poco dopo chiamò il Giudice per fare a Noi proporre, che se gli si fosse commutata la pena da lui meritata in esiglio perpetuo, e se avessimo fatto grazia agli altri detenuti quali complici del fatto di cui esso era accusato, siccome unicamente da lui stati compromessi, egli avrebbe rivelato cose importantissime riguardo a questa congiura, e riguardo anche a quella del febbraio 1831; al che fu da Noi risposto che ne sapevamo abbastanza e che non volevamo venire in alcun modo a patti con lui, ma lasciare il suo libero corso alla giustizia. Con ciò però il Ricci extragiudicialmente venne a confessarsi reo di fellonia e capo di complotto, cosa che in giudizio costantemente negò. – Considerando adunque l’enormità del delitto; le conseguenze funestissime che ne sarebbero probabilmente derivate se avesse potuto eseguirsi; la qualità della persona del cavaliere Giuseppe Ricci d’ ufficiale e di Guardia nobile del sovrano, di cui era ancora insignito quando ne meditò il tradimento, mentre era stretto da particolare giuramento di fedeltà; non solo reo convinto a termini della sentenza di quell’enorme attentato delitto, ma capo ancora e seduttore, indirettamente ed extragiudicialmente confesso: da tutto ciò ne segue che per dovere di sovrano, per quella imparzialità che deve distinguere chi ama la giustizia, per la esemplarità della pena troppo necessaria in tal genere di misfatto, troviamo del nostro stretto obbligo di lasciar il libero corso in questo caso alla giustizia, confermando la pena di morte inflitta al cavaliere Giuseppe Ricci dalla Commissione Militare, commutando soltanto quella della Forca in quella della Fucilazione per un riguardo unicamente alla di lui famiglia, di cui esso per sè stesso sarebbe immeritevole; e parimente vogliamo che non abbia luogo la confisca de’ suoi beni, della quale soltanto si risentirebbe la infelice sua famiglia, la quale, siccome aliena e non consapevole de’ suoi misfatti, merita il possibile riguardo. La circostanza poi di essere stato il Ricci costantemente negativo in giudizio, senza mai voler dare alcun lume alla giustizia, fuorchè venendo a patti, mentre altronde era convinto, e fuori di giudizio confesso, ciò mostra una permanente malizia e niun pentimento, ragione per cui lungi dal meritare riguardo di grazia, deve essere trattato a rigore delle vigenti leggi.

All’incontro, li Venerio Montanari e Giacomo Tosi, per essere stati limpidamente confessi senza previo patto, nè promessa, nè speranza, ma dicendo d’aver abbastanza commesso reità, voler ora dire tutta la verità con candidezza, mostrarono con ciò un pentimento; e non essendo essi stati capi di congiura, ma sedotti, ed avendo colla loro confessione fatto conoscere e cader in mano della giustizia il capo nel quale più d’ogni altro cader doveva l’esemplarità della pe na; commutiamo ad ambedue loro per grazia la pena di morte in quella di galera in vita, lasciando il suo effetto, e confermando la sentenza, quanto agli altri correi negativi, quale fu pronunziata, meno soltanto la confisca de’beni per quelli che hanno famiglia.

 

Modena, 17 luglio 1832.

FRANCESCO

 

 

 

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