Sistemi monetari preunitari: i tarì arabo-normanni

Guardiamo da vicino i tarì arabo-normanni. Con rozza sintesi si può dire che per tutto il Medioevo la monetazione islamica è stata caratterizzata dall’assenza di immagini, sostituite da una serie di iscrizioni cufiche più o meno elaborate, a seconda dello spazio materialmente disponibile sul tondello.

Sempre con rozza sintesi si può dire che queste iscrizioni erano di quattro tipi:

1 – la professione di fede, Shahādah

2 – l’anno e il luogo di coniazione del pezzo

3 – il nome dell’autorità emittente

4 – un versetto del Corano

 

Unita la Sicilia alla Dār al-Islām, tra il 213 ed il 290 dell’Hijra, 828/902 secondo il calendario gregoriano, anche qui si diffusero monete con legende cufiche.

Tuttavia, a differenza di quanto accaduto in altre terre tornate ad essere Dār al-harb, nell’isola sopravvissero per circa centocinquanta anni non solo l’uso della lingua araba nelle legende ma, addirittura, la consuetudine dell’assenza di immagini e, in qualche caso, della Shahādah.

Un buon esempio di ciò sono i tarì fatti coniare da Ruggero I nella sua Zecca di Madīnat Balarm.

Questi infatti, al rovescio presentano al centro la professione di fede circondata dall’indicazione di anno e luogo di battitura, mentre al diritto sono caratterizzati da una grande “T” circondata dalla scritta: “Bi amr Rugiar qomes siqillya” ovvero “Per ordine di Ruggero Conte di Sicilia”.

Sul significato della “T” i numismatici non concordano, c’è chi vi legge l’iniziale di “Tancredi”, nome del padre del Conte Ruggero, c’è chi vi vede l’iniziale di “Trinacria”, antico nome greco della Sicilia, c’è infine chi identifica l’iniziale di “Tarì”. Verosimilmente non lo sapremo mai, ma allo scrivente piace pensare che quella “T” rappresenti una croce stilizzata, quindi un simbolo “criptocristiano” non immediatamente evidente e, per questo, accettabile anche dai sudditi islamici del Conte.

Il primo, vistoso, cambiamento avvenne solo nel 1130, anno dell’incoronazione di Ruggero II a re di Sicilia.

I Tarì successivi a quella data, pur mantenendo le scritte cufiche indicanti zecca, data e protocollo del sovrano, sono caratterizzati dall’assenza di legende islamiche mentre la “T” si è trasformata in una croce greca che inquarta la scritta, in caratteri latini, ICXCNIKA. Le prime quattro lettere – “ICXC “ – sono un cristogramma che sta per “ΙΗϹΟΥϹ ΧΡΙϹΤΟϹ”, “Gesù Cristo”, mentre “NIKA” è parola greca che significa “Vince”. Le otto lettere si sciolgono quindi in “Gesù Cristo Vince”.

Lo schema fu confermato dal figlio, Guglielmo I, con una piccola, ma significativa, modifica. Pur mantenendo l’indicazione dell’anno dall’Egira, i tarì fatti battere dal nuovo sovrano riportano i mesi secondo il calendario cristiano.

Paul Balog, nel suo contributo intitolato “La monetazione della Sicilia Araba e le sue imitazioni nell’Italia meridionale”, fa notare come le iscrizioni cufiche sui tarì fatti coniare dopo la morte di Tancredi divengono via via più grossolane, tanto che nelle monete battute da Federico II dopo la sua incoronazione ad Imperatore dei Romani queste scompaiono sostituite da una semplice decorazione a motivi geometrici. L’autore spiega che ciò era la conseguenza del progressivo distacco della cultura siciliana da quella araba, distacco che portava all’assenza di incisori in grado di scrivere in cufico.

Lo scrivente accetta questa tesi, ma vuole comunque proporre una sua ipotesi alternativa. Ancora ad inizio XIII secolo, il Val di Mazara era abitato a maggioranza da musulmani, organizzati in una sorta di territorio semiautonomo, amministrato da maggiorenti locali. Uno di questi, Muhammad Ibn ῾Abbād, qāḍī di Jato, approfittando dell’assenza di Federico II si autoproclamò amīr al-muslimīn e per alcuni anni governò la parte islamica dell’isola in modo indipendente. Durante questo periodo l’emiro fece battere moneta d’argento, ma non con iscrizioni cufiche bensì in naskhī. La scomparsa del cufico dai tarì federiciani potrebbe quindi essere spiegata non come causa dall’ormai avanzata deislamizzazione dell’isola, ma come conseguenza dell’abbandono da parte dei siculo-arabi, fenomeno all’epoca in atto anche in Egitto e Siria, del cufico come stile di scrittura.

 

 

 

 

Autore articolo: Enrico Pizzo, classe ’74, residente sui Colli Euganei. Appassionato di storia veneta e storia dei sistemi monetari preunitari.

 

Bibliografia: Carlo Ottavio Castiglioni, “Monete Cufiche dell’I.R. Museo di Milano”; Luigi Dell’erba, “La monetazione Normanna nell’Italia meridionale e nella Sicilia”; Paul Balog, “La monetazione della Sicilia Araba e le sue imitazioni nell’Italia meridionale”

Enrico Pizzo

Enrico Pizzo, classe ’74, residente sui Colli Euganei. Appassionato di storia veneta e storia dei sistemi monetari preunitari.

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