L’incredibile viaggio dei tre S73

Una coraggiosa idea era venuta ai tenenti Max Peroli e Giulio Cazzaniga sul finire di marzo del 1941. Fermi nel campo di Addis Abeba, ormai in procinto di cadere nelle mani degli inglesi, chiesero al Duca d’Aosta di utilizzare tutti i vecchi e malridotti aerei a disposizione per rimettere in efficienza tre velivoli S73 e tentare di raggiungere l’Italia con a bordo il maggior numero di aviatori possibile in modo da sottrarli alla prigionia. Il Duca diede il suo assenso e così il temerario progetto prese il via.
Quarantadue aviatori con documenti civili salirono a bordo di tre vecchi velivoli, un I-Novi, un I-Arco e un I-Vado. Partirono da Addis Abeba alle 16.15 del 3 aprile del 1941.

La loro idea iniziale era quella di far tappa a Sifani poi a Gedda, nell’Arabia Saudita neutrale. Il viaggio fu però irto di avventurosi imprevisti.

Un violento temporale e le cattive condizioni degli strumenti di bordo fecero sì che nessuno degli aerei raggiungesse Sifani. Si persero nel deserto e restarono a lungo isolati. Solo grazie alla bravura dei piloti, il 9 aprile, si ritrovarono tutti a Gedda. Qui però le disavventure non finirono, anzi… Furono presi prigionieri dalle autorità locali, pressate da quelle inglesi, e rinchiusi in un vecchio harem.

Gli italiani fecero presente che gli aeroplani erano comuni aerei da trasporto civili e che il personale a bordo non era militare ma dipendeva da una società privata, tuttavia il rappresentante inglese che affiancava il governatore di Gedda fece valere la sua voce minacciando ritorsioni qualora gli italiani fossero stati rimessi in libertà.

A Gedda però c’era anche il console Luigi Sillitti che dopo quindici giorni, in occasione della visita del Principe Faysal, ministro agli esteri dell’Arabia Saudita, riuscì a ottenere la libertà per gli italiani che intanto erano stati colti da febbre malarica.

Dopo essersi curati, i nostri rimisero in sesto gli aerei e partirono per Bengasi, da poco riconquistata. Volarono due aerei, mentre il terzo restò a terra poiché un ciclone di sabbia gli portò via gli alettoni.

Il 12 maggio atterrarono a Bengasi, il 13 furono raggiunti anche dal terzo aereo, l’I-Vado, poi finalmente i tre S73 si posarono sul campo dell’Urbe, a Roma. Le loro peripezie erano finite.

Era stata una grande impresa. Gli aviatori percorsero 6270 chilometri su territori in gran parte in mano nemiche. Per nulla stanchi, né demotivati, si rimisero tutti immediatamente a disposizione del Comando Aeronautico per tornare a combattere.

Max Peroli, per questa azione fu decorato di Medaglia d’Oro al Valore Aeronautico e promosso al grado di capitano. Successivamente, compì ben cinque voli dall’Italia fino a Gondar per rifornire le nostre truppe. Dopo l’armistizio, scelse di continuare a combattere con la Repubblica Sociale e lo fece fino a quando Mussolini lo nominò presidente dell’Ala Littoria.

 

 

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Fonte foto: dalla rete

Bibliografia: F. Pagliaro, Aviatori Italiani 1940-1945

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