Bilancio del regno di Luigi XIV

Lo storico Martin Philippson in Il secolo di Luigi XIV traccia un bilancio del regno del Re Sole, valuta i risultati del suo governo e le conseguenze del suo agire.

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Il secolo del “gran re” fu considerato dai posteri come il periodo più splendido della Francia, ma dai contemporanei fu tenuto, almeno in sul finire, come un’epoca di miseria e di oppressione dolorosa. Non c’era più lo splendore delle gloriose vittorie e delle conquiste inaspettate: non c’era più la magnificenza abbagliante delle colossali costruzioni e delle feste costose: era sparita la gloria delle opere poetiche destinate ad immortalare. Alla ebbrezza era succeduta la prosa. Per nessun rispetto Luigi XIV aveva raggiunto gl’intenti suoi. La signoria dell’Europa, cui aveva mirato e che avea esercitato per un pezzo con molta durezza e con molta ingiustizia, eragli poi finalmente scappata dalle mani. Vide battuti i suoi numerosi eserciti, vide umiliati i suoi orgogliosi marescialli, e vide guasta e rotta la gran corazza di fortezze di che avea cinto il paese. Ci perdé la corona di paesi di cui s’era proposto di ricingere la Francia: cioè a dire: il Belgio meridionale, la Lorena, la Savoia, i paesi alpini, e la Spagna settentrionale sino all’Ebro. Più volte gl’inimici erano apparsi sul suolo di Francia, e a Luigi toccò di vedere come le dinastie che, congiuntesi a lui, avean fatta propria la causa sua, appunto per questo precipitassero dal trono: e questa fu la sorte degli Stuart d’Inghilterra, dei Gonzaga di Mantova e dei Pico della Mirandola. Mancò poco che ai Wittelsbach di Baviera e di Colonia non toccasse la stessa sorte. Non Luigi dettava più la legge ai suoi nemici, ma questi a lui. Contro al voler suo s’erano stabiliti gli Hannoveresi in Inghilterra e gli Asburgo in Italia. E contro il voler suo del pari la Svezia, alleata sempre della Francia, era caduta dalla sua posizione, subentrando ad essa la Russia, alleata dell’Austria. Cosicché la Francia non era più l’unica grande potenza, non più lo stato che decidesse di tutto in Europa, ma altri stati, diversi per razza e per istituzioni, sorgono o risorgono accanto o di fronte a lei…

Egli sollevò contro di sé tutti i ceti e tutte le classi della società, che, malcontente com’erano, agognavano una mutazione nello stato delle cose. Parlando sempre di sé, della sua gloria e dei meriti suoi, riportando a sé egli rese invisa la monarchia, e fece che questa apparisse come una rovina per tutti a vantaggio di uno solo. Non c’era più una classe privilegiata, contro della quale ei potesse rivolgere l’odio del popolo, e dietro della quale la monarchia si potesse nascondere come dietro a sicuro riparo: ché anzi lei sola, che avea esclusivamente il potere nelle mani, apparve colpevole di ogni miseria e d’ogni iattura…

Ciononostante Luigi XIV ebbe doti non piccole d’ingegno e di carattere, si elevò di molto sui principi del suo tempo, e meritò per molti rispetti il nome di grande, che i contemporanei gli attribuirono negli anni del suo potere massimo. Innanzi tutto va in lui lodata la superba fermezza del carattere, ché in tutte le vicende della politica e della guerra seguì sempre gli stessi disegni e vedute… A questa fermezza, a questa dignità così ben conservata nella propria persona e in nome della Francia, non mancò il meritato compenso. Perché a tali qualità è da attribuire che Luigi conservasse le conquiste di Richelieu e di Mazzarino, cioè l’Alsazia, la Franca Contea e la Fiandra francese: provincie che in parte almeno si fusero indissolubilmente con la nazionalità francese…

Né Luigi XIV un regnante inoperoso, che lasciasse gli affari dello stato in mano ai ministri e ai capitani. Egli aveva troppo pieno l’animo della persuasione del suo valore e portava troppo vivo interesse allo stato e alla grandezza sua, perché non dovesse prender parte attiva e decisiva nelle cose dell’amministrazione e dell’alta politica. Né gli si deve addirittura negare ogni merito per rispetto al gran moto suscitato in Francia sotto al suo governo, perché quello procedette appunto dal suo spirito e ne reca l’impronta. Egli fu il vero creatore di quell’esercito francese, che per un secolo e mezzo formò e difese la gloria della Francia in tutti i campi di battaglia dell’Europa intera. Risale anche al suo regno l’origine della marina di guerra della Francia… Infine Luigi – e fu questa proprio l’opera sua personale – condusse a compimento la macchina amministrativa di Richelieu, tanto ingegnosa e tanto efficace per effetto della sua centralizzazione. Creò i diversi ministeri, con l’autorità assoluta da esercitarsi sugl’inferiori e in piena dipendenza dal monarca…

Questo medesimo re trovò modo di far marciare secondo il volere suo gli scrittori e i poeti di Francia, come se fossero un reggimento… Con questi mezzi appunto immortalò l’influenza sua e il predominio della Francia sull’Europa. i suoi eserciti furon battuti, la sua amministrazione divenne inefficace per la incapacità propria e per l’odio del popolo che le si levò contro, le sue finanze rovinarono: ma le usanze raffinate e l’eleganza che introdusse nei suoi palazzi, il largo sviluppo della scienza che egli promosse, la splendida produzione letteraria che s’andò sviluppando per la protezione sua e della corte – tutte queste cose insieme fecero della Francia il centro, e di Parigi la capitale dell’Europa.

 

 

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