Caravaggio a Napoli

Caravaggio lascia Roma divisa in due, caravaggeschi ed anticaravaggeschi quasi si combattono, si ostacolano vicendevolmente, si lanciano accuse. Da un lato i suoi potenti protettori che continuano a procurargli commissioni, dall’altro l’ambiente accademico e buona parte degli alti prelati che lo boicotta. La “Madonna della Serpe”, dipinta per San Pietro, è rifiutata esattamente come la “Morte della Vergine”, realizzata per i frati di Santa Maria della Scala. Le ragioni profonde di questi contrasti vanno ricercate nel superamento che Caravaggio opera dei canoni tradizionali. Egli propone un nuovo comporre che apre la via al realismo moderno. L’ambiente nel quale si muove non è però tutto entusiasta della sua arte. C’è già Napoli al suo orizzonte.

Dopo l’uccisione del Tomassoni il 29 maggio del 1606, per lui inizia una fuga senza soste, sempre con la speranza di poter tornare a Roma. Col suo peregrinare, nel gennaio del 1607, è nel Regno di Napoli dove passa qualche tempo nei feudi di Marzio Colonna. Qui dipinge la “Cena in Emmaus” di Brera nel quale in molti ravvisano un ricordo delle amate osterie napoletane, lì dove Caravaggio si immerge in vivaci e turbolente avventure.

In quella Napoli spagnola che per lui è un nuovo bagno entro una realtà quotidiana anche più ricca di contrasti di quella romana, Michelangelo Merisi sa di poter star bene, di poter trovare una sua dimensione. E’ in questa città di popolo, colorata, violenta e irruenta, stravolta dall’intreccio tra il fastoso mondo ecclesiastico e principesco e quello stanco e lacero dei diseredati, che l’artista potè ritrovare la sua anima.  Napoli lo accoglie come un maestro, lo esalta, lo coccola e piovono ordinazioni su ordinazioni, tuttavia Caravaggio lascia la città con la speranza di ottenere a Malta un’onorificenza che gli offrisse maggiori possibilità di perdono da parte di Roma.

Non fu così. Tornato a Napoli nel 1609, Caravaggio realizza la “Flagellazione di Cristo” per San Domenico Maggiore, la “Resurrezione di Cristo” per Sant’Anna dei Lombardi, poi le “Sette Opere della Misericordia” per la Chiesa della Misericordia destinata a riassumere il carattere vivace della Napoli del Seicento attraverso un montaggio di immagini che è ingegnoso e drammatico.

Lascia senza parole per la sua magnificenza la prima tela, “Flagellazione di Cristo”, esposta nel Museo di Capodimonte. Fu ordinata per adornare la cappella di famiglia dei De Franchis nella monumentale Basilica di San Domenico Maggiore e fu pagata al Merisi oltre 290 ducati, cifra straordinaria per l’epoca. Il quadro levidenzia una scrupolosa ricerca artistica di punti di luce che illuminano appieno solo il corpo del Cristo mentre tutto il resto è nell’ombra.

Si respira la fatica della vita, il dramma, la realtà viva di dolore di Napoli e di Roma che l’artista aveva vissuto a pieno. Dall’ambiente di Sisto V e dagli artigli di Paolo Borghese e del suo mecenate Matteo del Monte, dopo i digiuni e la povertà presso Lorenzo Siciliano, monsignor Inzalata e l’Ospedale dei poveri, dalle avventure in osterie e affittacamere con una Menicuccia donna di quartiere, Caravaggio aveva conosciuto il tormento e la sofferenza. Napoli era la città più congeniale al suo temperamento?

 

L’artista portò a termine la tela di “Nostra Signora della Misericordia” che vibra di luci e ombre come quelle d’un vicolo partenopeo corrotto da umana sofferenza e fratellanza. C’è una popolana che allatta il vecchio all’inferriata della prigione, un morto che vien portato via, un gentiluomo che sfodera la spada per spartire il suo mantello con un mendicante, c’è l’oste e l’albergatore, forse quello tedesco che teneva la taverna del Cerriglio, che danno da bere all’assetata che si serve della mascella d’un asino. Dello stesso periodo è la “Madonna del Rosario” che, rifiutata da qualche chiesa fu comprata dai Domenicani di Anversa per intercessione di Rubens ed è oggi a Vienna assieme al “Davide”.

Questo quadro gli fu commissionato da Luigi Carafa, figlio del duca Antonio Carafa di Mondragone e di Giovanna Colonna, sorella del cardinale Ascanio, per la cappella di famiglia dedicata alla vergine che aveva protetto le armate a Lepanto, battaglia combattuta anche dal padre di Luigi. La pala non venne mai collocata nella cappella e, venduto, finì nelle Fiandre e poi in Austria. Ha il volto d’un oscugnizzo quel Davide con la testa di Golia che vien fuori da ombre corrusche.

 

A Napoli il nostro Caravaggio dipinge ancora l’Annunciazione di Nancy, la Salomé con la testa del Battista donata al Gran Maestro Alof de Wignacourt che l’aveva aiutato a fuggire da Malta, la “Negazione di Pietro”, il giovane nudo del San Giovanni Battista ed infine la sua ultima opera: il Martirio di Sant’Orsola, esposto a Palazzo Zevallos Stigliano in Via Toledo.

Questo suo soggiorno napoletano è anche ricordato per il misterioso agguato di cui fu vittima all’uscita della Taverna del Cerriglio, celebre locanda sita in Via Sedile di Porto. La taverna era il centro del mondo letterario ed artistico, frequentata da pittori e poeti. Caravaggio, ebbro di vino, fu percosso con calci e pugni e restò a terra sanguinante, mentre i suoi aggressori si dileguarono nella notte. Sulla loro identità resta ancora fitto il mistero. Erano forse sicari della famiglia Tomassoni? Fatto sta che sul volto di Caravaggio restò, incancellabile, un taglio di coltello, mentre giunsero a Roma false notizie che annunciavano la morte del pittore.

 

 

 

 

Autore: Angelo D’Ambra

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