Cem, il prigioniero turco di papa Borgia

Mehmed II, il conquistatore di Costantinopoli, morì nel 1482 e lasciò i suoi domini in balia dei due figli, Bajazet IldrimiCem Zizimi, bellicoso il primo, amante delle lettere e delle arti il secondo…

Bajazet calò su Costantinopoli con una schiera di armati dal Mar Nero e si fece acclamare sultano in riva al Bosforo. Cem, preso alla sprovvista e privo di sostenitori, si ritirò in Bursa e si dichiarò Sultano dell’Anatolia proponendo a suo fratello di condividere l’impero con lui. Bajazet, furioso, respinse la proposta. Un duello avrebbe potuto porre fine alla diatriba, ma Bajazet rifiutò anche simile proposta. Cem allora si unì alle schiere del gran caramano di Cilicia e finalmente ottenne il tanto desiderato scontro col fratello usurpatore, in Anatolia. Cem aveva rifiutato l’ultima proposta degli emissari di suo fratello, l’idea di vivere fuori dall’Impero con una sontuosa pensione annua lo offendeva. Voleva giustizia, voleva ciò che gli spettava. Tuttavia quel dispiegamento di armigeri sfaldò le truppe di Cilicia e gli impose la fuga, con la sua famiglia, in Egitto.

Il 27 maggio 1482, armato un secondo esercito, Cem riprese l’offensiva ancora in Anatolia, espugnò Konya ma fu presto costretto a ritirarsi ad Angora. L’esercito di Bajazet aveva già occupato i passi migliori, aveva eretto i suoi trinceramenti, costruito le sue fortificazioni. Dovette tornare a fuggire, stavolta nelle montagne del Taro, per consegnarsi ai cavalieri di Rodi.

“Zizimi re dice salute al re Bajazet, suo crudelissimo fratello. Perchè ho mandato quello che era giusto ed onesto, tu, d’ognu umana e divina ragione violatore, della maomettana legge dispregiatore, costringendo il fratello a ricorrere al nome cristiano, e a quelli particolarmente, ch’essendo della roce segnati all’inclita famiglia nostra nemici sempre stati sono, di tanto peccato sei colpevole, poichè io per salvare la vita contro voglia mia vado”. Così scrisse al fratello dalla tolda di un vascello dei cavalieri di Rodi. I cristiani tennero in grande onore quel prezioso prigioniero. Così Cem entrò a Rodi il 24 luglio del 1482, salutato da regali, onori e musiche. La città festante, ricoperta di drappi d’oro e seta, cosprsa di profumi e fiori, sembrò celebrare una vittoria. In effetti i cavalieri capirono che bastava la sola minaccia di sbarcare sulle coste ottomane con un buon esercito a sostenere Cem per mettere in crisi l’unità dell’impero ed il potere di Bajazet.

Giacomo Bosio che raccolse le memorie di quel prigioniero disse: “Era Zizimi allora d’età di vent’otto anni, di grande statura e molto robusto. Presentava il volto di lui una certa ferocia e alterezza, mischiata con benignità in modo che non era spiacevole. Era gli molto corpulento e grasso, ma in modo però che la grassezza punto non l’impediva, sì che agilmente montar a cavallo, correre e saltare non potesse… Era molto collerico, e tosto con fiero ravolgimento d’occhi e con acuta voce l’ira e la collera sua scopriva… Era la voce e il parlar suo grave, temperato e modesto, ma raro. Ed anchorché esole e fuggitivo fosse, mostrava nondimento e sosteneva nell’aspetto e in ogni azione sua una grandezza e maest reale, non altrimento che se in pacifico possesso del paterno impero e in qualsivoglia prospero e felice stato si trovasse. Era tanto inquieto e instabile, che impossibil era che lungamente e in un luogo fermare si potesse. Mentre egli stava in casa andava d’appartamento in appartamento considerando tutte le particolarità ch’ivi si trovavano, dilettandosi di dormire oggi in una camera e domani in un altra, facendo ancora acconciare il letto sopra alla terrazza e sopra il coperto della casa; quivi molte volte nelle state dormendo, piacendogli molto di sentire l’aria fresca”.

Da RodiCem partì per la Francia il 31 agosto e fu prigioniero nel castello di Rochechinard, sotto la cura degli Ospitalieri dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, poi in quello di Bourganeuf, in una torre appositamente eretta per lui. In Francia forse visse un amore con Filippina Elena di Sassenage. Sono solo pettegolezzi, quello che è certo è che la Sublime Porta pagò un tributo di 40.000 fiorini l’anno a Parigi affinché il pericoloso Cem fosse tenuto sotto stretta sorveglianza. Sette anni dopo la sua prigionia si spostò in Italia, ceduto in cambio della porpora da Pierre D’Aubusson alle bramose mani di Innocenzo VIII. Sbarcò ad Ostia il 10 marzo del 1489, tre giorni dopo entrò a Roma e qui fu messo in una nuova prigione d’oro, riverito e sorvegliato. Non si convertì nè si inginocchiò mai davanti al pontefice, come la corte romana avrebbe desiderato, neppure davanti allo spregiudicato Alessandro VI che, mentre le artiglieria di Francia venivano puntate su Castel Sant’Angelo, scaltramente pattuiva la sua consegna a Carlo VIII come prezzo per la salvezza.

Cem tornò in mano francesi il 28 gennaio del 1495 con una solenne cerimonia nella Chiesa di San Marco, lo stesso giorno in cui l’esercito francese lasciò l’Urbe. Carlo VIII si sarebbe seduto sul trono aragonese di Napoli, a Castel Capuano, con gli occhi ingenuamente puntati sull’antica Bisanzio per rivendicare i diritti degli ultimi Paleologi. Zizimi – si ripeteva da solo – era la chiave che gli avrebbe spalancato le porte d’Oriente. Intato però un emissario ottomano bussò alle stanze di Cesare Borgia… Il Valentino fu sbalordito da ciò che gli fu detto. Duecentomila ducati d’oro vennero a lui offerti dal Sultano Bajazet affinchè suo fratello Cem, rivale al trono, fosse tolto di mezzo, ucciso.

Carlo VIII ora a Napoli fu raggiunto da una lettera. Era il 25 febbraio del 1485. La missiva era inviata da Capua, dove Cem era stato trasferito. “Zizimi, il fratello del gran Turco, el quale à avuto male circa otto dì, è morto”. Probabilmente spirò per una polmonite, alcuni resoconti invece attribuiscono la sua morte al veleno di Cesare Borgia.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Fonte foto: dalla rete

Bibliografia: E. Lazzareschi, Un prigioniero turco

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