Ferdinando I de’ Medici, Livorno ed il sogno coloniale

Nel 1587, Ferdinando de’ Medici, cardinale ed ora Granduca di Toscana, succeduto al fratello Francesco I morto senza eredi legittimi, iniziò a muoversi in politica interna ed estera con grandi ambizioni. Il figlio di Cosimo I ed Eleonora de Toledo sognava di rilanciare il ruolo internazionale di Firenze.

A Roma, nelle vesti cardinalizie, aveva già dato prova delle sue capacità, fondando Villa Medici e acquisendo fama di mecenate collezionando molte pregevoli opere d’arte; come Granduca le sue abilità ed i suoi interessi sembravano destinate a più grandi successi.

Egli puntò da subito a ricostruire lo stato toscano promuovendone la riforma giudiziaria, burocratica e fiscale, soprattutto si impegnò ad aprire, in tutte le più importanti città europee, sedi bancarie controllate dai Medici.

Sul piano politico si avvicinò a Francia ed Inghilterra per rendere indipendente Firenze dalla Spagna. Appoggiò dunque Enrico di Navarra contro la Lega Cattolica (in tale ottica rientrò anche il suo matrimonio con Cristina di Lorena), e finanziò le guerre contro i turchi dell’Imperatore Rodolfo II d’Asburgo, ma tali servigi non gli procurano vantaggi e si riallineò con la Spagna di Filippo III.

Le sue mire erano molto più alte che un ruolo di comprimario, pensava infatti che la Toscana potesse autonomamente giocare un ruolo significativo nei commerci transoceanici.

Da questo punto di vista, uno degli aspetti centrali del suo governo riguardò Livorno che Ferdinando seppe tramutare in un grande porto internazionale. Sin dai primi anni del suo governo, orientò il grosso dei traffici su quel porto mentre Pisa venne destinata all’esercizio della mercatura con nuove esenzioni, fiere ed un ampio rifacimento delle vie di comunicazione terresti. Un grandioso piano di lavori portò alla realizzazione a Livorno dell’attuale Darsena Vecchia, nei cui lavori furono impiegati cinquemila uomini ininterrottamente per cinque giorni: “In cinque giorni adunque con l’ordine il più perfetto, lavorando sempre di notte e di giorno, veniva la nuova Darsena interamente ultimata, ad onta che dal suo letto avessero dovuto estrarsi più di 800 mila barili d’acqua putrida della palude, e formarsele quindi un bacino capace di contenere più di 60 grosse galere oltre un numero considerabile di altre piccole barche. In fatti Ferdinando nel sesto giorno poteva vedervi entrare e le une e le altre con grandissima festa”. La città fu poi ridisegnata per accogliere nuovi cittadini, con grandi lavori urbanistici e la costruzione di una nuova fortezza affidata a Giovanni de Medici, fratello del Granduca, ed a Bernardo Buontalenti. In fine Ferdinando I de Medici il 13 febbraio del 1591 dichiarata Livorno “porto franco” concedendo ai suoi cittadini: “1. il privilegio di non poter essere molestati per debiti contratti anche con sudditi Toscani in stato estero o con esteri nel Gran-Ducato, sia in mobili, od immobili situati che fossero in Livorno, o nel suo Capitanato; 2. la esenzione da ogni pubblico lavoro di strade, forti, fabbriche ec. come dal pagare tasse, e matricole di tutte le arti; 3. il salvacondotto per i già condannati nel Gran-Ducato o in stati esteri a pene pecuniarie, in fine, o per inosservanza di confino alla Galera, anche con pena della vita, pur che abitassero familiarmente in Livorno, o nel suo Capitanato, eccetto però per eresia, per lesa maestà, per assassinio, e per falsa moneta; 4. la facoltà di poter portare armi offensive e difensive non proibite in tutto il Gran-Ducato, eccetto in Firenze; 5. la sicurezza a favore di tutti i Padroni e scrivani di navi dimoranti nel porto di non poter essere carcerati, o patire esecuzioni per somma minore di scudi 10; 6. e finalmente la concessione in vendita a ciascun marinaro abitante in Liborno con moglie, e famiglia di una casa con pagarne a rate il prezzo, meno il terzo prontamente”. Dopo quattro mesi un nuovo bando apriva la città anche ad ebrei, protestanti di Francia, convertiti del Portogallo, corsi ostili al controllo di Genova, ex-corsari barbareschi e musulmani concedendo loro protezione, libertà religiosa e vantaggi fiscali. Fu così che non pochi ricchi mercanti ebrei vennero a vivere a Livorno (G. Sardi, Annali di Livorno, vol. III). Tali decreti, noti come Leggi Livornine, furono dovuti all’influenza che ebbe a corte l’ebreo di origini veneziane Maggino di Gabriello. Questi convinse il Granduca dell’importanza delle sue intuizioni ed in breve Livorno divenne uno dei porti più ricchi del Mediterraneo (M. D’Angelo, Livorno 1421-1606: da villaggio a città-porto mediterranea).

Sotto Ferdinando I la marina toscana si infoltì con sette galere ben armate ed equipaggiate ed altro naviglio minore, ma il Granduca guardava però più lontano (F. Mineccia, Per una storia della marina granducale toscana in età moderna). Interrogò dotti, navigatori, marinai, sognò dapprima l’Oriente ma quando comprese che era fuori dalla sua portata, chiese a Madrid un’enclave nel Nuovo Mondo. Non la ottenne, in compenso, nel 1604, il Sultano di Fez gli concesse il libero accesso al porto di Larache ed è da qui che la marina toscana prese a navigare nelle acque dell’Oceano Atlantico dedicandosi al contrabbando col Brasile.

Ferdinando I di Toscana si spinse allora a progettare la possibilità di creare una colonia in Sud America: nel settembre del 1608, infatti, armò una galeotta ed una tartana nel nuovo porto di Livorno e ne affidò il comando al capitano Thornton, ex corsaro inglese. La missione concerneva l’esplorazione delle rive del Rio delle Amazzoni e dell’Orinoco per cercare diamanti, oro e fondarvi un avamposto commerciale.

Il Granduca si basava sulle notizie ricevute da Baccio da Filicaia, ingegnere e capitano d’artiglieria fiorentino che, al seguito di Francesco de Sousa, aveva lavorato alla fortificazione di porti e castelli sulle coste brasiliane, nonché esploratore, al seguito Pietro Coelho de Sousa, dei territori tra il Rio Maranhão e il Rio delle Amazzoni. Ma Ferdinando I era anche ricorso ai servigi di Robert Dudley, navigatore e cartografo inglese da tempo in Toscana, autore di una preziosa mappa dell’Amazzonia.

Thornton navigò per quasi un anno, approdando nelle Guiane ed in Brasile, esplorando i territori indicati e poi rientrando nel luglio del 1609. Il capitano era sfuggito ad un tentativo di ammutinamento, abbandonando i traditori nel Nuovo Mondo, mentre altri vennero imprigionati nella nave. Non era riuscito a vendere le mercanzie toscane, cosa che invece fece il fratello Giles Thornton, a guida della tartana che rientrò ad ottobre. Thornton però portava sulla galeotta Santa Lucia ricchezze, materiali da studio, piante, spezie, aborigeni, animali tropicali, e soprattutto possedeva una dettagliata proposta di colonizzare l’aria intorno a Caienna (avrebbe anticipando i francesi di venti anni). Tuttavia, arrivato a Livorno, il 12 luglio 1609, non trovò più Ferdinando, il granduca era morto a febbraio di quell’anno ed il nuovo governo di Cosimo II de’ Medici non pensava ormai più ad un’affermazione di Firenze nei commerci marittimi dell’Oceano Atlantico, preferendo continuare i propri scambi con il Nord Africa ed il Levante. Questo fu l’unico tentativo italiano di creare una colonia nelle Americhe.

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: M. Sanfilippo, Gli Italiani in Brasile

R. Galluzzi, Istoria del Granducato di Toscana sotto il governo della casa Medici, voll. V

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