Giovanna d’Aragona duchessa d’Amalfi

E’ ancora Matteo Bandello, questo domenicano così prolifico nel raccontare storie terrene spesso piccanti, che dopo la storia della contessa di Challant ci racconta un’altra tragedia del primo Cinquecento italiano, ambientata questa volta nel reame di Napoli, che da poco aveva perso la propria indipendenza per finire sotto il tallone spagnolo. E fu tragedia questa, quella di Giovanna d’Aragona, duchessa di Amalfi, che pochi decenni dopo ispirò due tra i più grandi drammaturghi dell’età moderna, John Webster e Lope de Vega.

Giovanna apparteneva anch’essa a quella dinastia aragonese che regnò a Napoli tra il 1458 e il 1501, e a cui appartennero alcune principesse che si distinsero per le vite gaudenti e sollazzevoli tali da guadagnarsi dei posti nei manoscritti Corona e degli interessanti articoli in questo stesso nostro gruppo. Epperò Giovanna non apparteneva a quella categoria. Nata a Napoli intorno al 1477, era nipote del re Ferdinando I, figlia del figlio illegittimo di lui Enrico d’Aragona, marchese di Gerace in Calabria e di Polissena Centelles dei marchesi di Crotone. Ebbe una sorella, Caterina, di cui quasi nulla si sa se non che sposò un Orsini di Nola, e due fratelli maggiori, Luigi e Carlo. Appena bambina perse il padre, morto avvelenato nel 1478; nulla si sa poi della sua infanzia se non che nel 1497 sposò un grande del regno, Alfonso Todeschini Piccolomini, II duca d’Amalfi. E poco pure si sa della sua vita da duchessa consorte, se non che in capo a un anno, incinta, il 28 ottobre 1498 rimase vedova. Il figlio postumo nacque quattro mesi dopo, ebbe lo stesso nome del padre, fu dalla nascita il III duca di Amalfi e sarebbe stato destinato a continuare la dinastia.

Ciò che successe in seguito può solo essere immaginato, perché fonti propriamente storiche in materia non ne esistono e i dettagli maggiori arrivano dalla XXVI novella del Bandello. Giovanna, descritta come oltremodo virtuosa, si dedicò alla crescita del piccolo Alfonso e all’amministrazione del feudo di Amalfi, che il marito aveva lasciato in stato disastroso. Apparentemente avrebbe pensato di risposarsi ma non trovò nessuno adatto del proprio rango. Tuttavia il caso volle che assumesse al proprio servizio, quale maggiordomo della casa, un giovane e prestante nobiluomo di piccola nobiltà, iscritto nel seggio di Nido, Antonio Beccadelli detto “di Bologna” di famiglia di lontana origine bolognese e nipote del celebre umanista Antonio Beccadelli detto il Panormita (1394-1471). Questo Antonio junior era stato al servizio dell’ultimo re napoletano, lo sfortunato Federico, ed è descritto come “gentiluomo molto galante e virtuoso”, “gentilissimo cavalcatore”, “di buone lettere non mezzanamente ornato e col liuto in mano cantava soavemente”. In più doveva essere di soli due/tre anni più vecchio di Giovanna, di bell’aspetto e di notevole prestanza fisica. In breve tra la duchessa, di sangue reale, e il maggiordomo, nobile si ma troppo poco, nacque una relazione che in alcuni anni (siamo nella prima decade del ‘500) fu allietata dalla nascita di due figli. Ma qui iniziarono i guai, dei quali si inizia ad avere cronaca.

Dei due fratelli maggiori di Giovanna, Luigi, il primogenito, era stato marchese di Gerace ma poi aveva preso i voti lasciando il feudo al fratello Carlo. Era stato creato Cardinale di Santa Romana Chiesa da papa Alessandro VI e in seguito era diventato uno dei più ascoltati consiglieri del grande Giulio II. Lo scandalo dettato dalla sorella legata ad un uomo socialmente così inferiore necessitava che i due fratelli vi mettessero rimedio. Pare che Giovanna, nuovamente incinta, e Antonio, abbiano segretamente coronato la loro unione con il matrimonio, ma quando le voci sulla vicenda trapelarono e divennero consistenti, temendo per la propria vita, decisero di fuggire, col piano forse di rifugiarsi alla lunga sulle sponde orientali dell’Adriatico, al sicuro tra le mura della libera Repubblica di Ragusa.

Giovanna, incinta per la terza volta, lasciò Amalfi in pompa magna, lasciando sotto buona cura il giovane duchino Alfonso, diretta in pellegrinaggio verso il santuario di Loreto con il pretesto di dover sciogliere un voto. La notizia della sua partenza fu registrata da un cronista il 17 novembre 1510. Antonio l’aveva preceduta con i due figlioletti in Ancona, ove avrebbero dovuto incontrarsi, sposarsi e quindi probabilmente imbarcarsi. In Ancona tuttavia Giovanna e Antonio non si imbarcarono, o non poterono imbarcarsi; la duchessa rese pubblico il matrimonio, sciolse la maggioranza dei servitori dal giuramento di fedeltà e visse alcuni mesi con il marito, mesi allietati dalla nascita del terzo figlio. Ma ora i due fratelli di Giovanna si erano decisi per punire i due coniugi, rei di aver infangato l’onore della casa d’Aragona. Sguinzagliarono sicari, con l’istruzione malcelata di portare indietro la duchessa e di ucciderne il marito. Giovanna e Antonio fuggirono prima a Siena, ove però gli fu rifiutata l’ospitalità da parte del cardinal Petrucci, istigato da Luigi, poi tentarono di raggiungere Venezia. A Forlì tuttavia furono raggiunti dai sicari. Antonio riuscì a fuggire a Milano con il figlio più grande mentre la duchessa, con gli altri due, fu tratta prigioniera dai fratelli a Napoli.

Il destino di Giovanna d’Aragona si compì probabilmente nel 1511; con i due piccoli figli fu imprigionata dai fratelli nella torre dello Ziro in Amalfi e quivi, secondo il Bandello, “come poi chiaramente si seppe, furono in quel torrione miseramente morti”.

Antonio a Milano si mise a servizio prima del condottiero Silvio Savelli, poi del marchese di Bitonto Francesco Acquaviva e infine di un Visconti. Tentò di intavolare trattative con i cognati per rappacificarsi ma inutilmente. I sicari dei due fratelli lo raggiunsero a Milano, o secondo altri a Padova, e finì ucciso in un agguato dal capitano Daniele da Bozzolo. Incerta è la sorte del figlio, secondo alcuni ucciso con il padre, secondo altri sopravvissuto.

L’onore degli Aragona era salvo.

La tragica storia di Giovanna e Antonio ispirò uno dei capolavori del teatro elisabettiano, The Tragedy of the Dutchesse of Malfy, di John Webster (1614) e una celebre opera spagnola del Siglo de Oro, El mayordomo de la Duquesa de Amalfi, di Lope de Vega (1618). Non restano ritratti conosciuti dell’infelice duchessa.

 

 

 

Autore articolo: Valerio Lucchinetti

Bibliografia: Bandello, Matteo; Novella XXVI, Il signor Antonio Bologna sposa la duchessa di Malfi e tutti dui sono ammazzati, disponibile sul Web; De Negri, Felicita; DI BOLOGNA, Antonio, in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.39, 1991; Morellini, Domenico; Giovanna d’Aragona duchessa d’Amalfi: spigolature storiche e letterarie a proposito di una novella di Matteo Bandello, Cesena, 1906

historiaregni

Historia Regni è un portale telematico dedicato alla storia, anzitutto quella italiana. Nasce su iniziativa di Angelo D’Ambra, è senza scopo di lucro e si avvale di collaborazioni gratuite. Le foto presenti sono state, in parte, prese da internet e quindi valutate di pubblico dominio. Se gli autori avessero qualcosa in contrario alla pubblicazione, non avranno che da segnalarlo al nostro indirizzo email info@historiaregni.it e si provvederà alla rimozione.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *