Vittorio Imbriani

Vittorio Imbriani nacque a Napoli il 27 ottobre del 1840 da Carlotta Poerio e da Paolo Emilio Imbriani. Cognomi noti nella storia del liberalismo napoletano, famiglia importantissime del Risorgimento meridionale: il nonno Giuseppe Poerio, repubblicano nel 1799, ebbe importanti incarichi nel Decennio Francese; lo zio Alessandro Poerio, combatté nel 1820 con i napoletani contro gli Austriaci a Rieti e nel 1848 morì nella difesa di Venezia; l’altro zio, il più noto Carlo Poerio, partecipò ai moti del 1820 ed a quelli del 1848, scontò dieci anni di carcere a Montesarchio e fu poi parlamentare del Regno d’Italia; suo padre Paolo Emilio Imbriani, partecipò ai moti del 1820, a quelli del 1848, fu senatore del Regno d’Italia e sindaco di Napoli.

Vittorio seguì le orme paterne e partì volontario per la Seconda Guerra di Indipendenza, senza potervi combattere per l’improvvisa pace separata tra Francia e Austria. Tornò ad arruolarsi nella Terza, nel 1866, partecipando alla Battaglia di Bezzecca, dove fu catturato e inviato in prigionia in Croazia.

Nel 1860 era a Berlino, dove studiò letteratura e filosofia ed approfondì il pensiero di Hegel convertendosi all’assolutismo monarchico che ne fece, ad unità d’Italia avvenuta, un autorevole esponente della Destra Storica. Fu fervente monarchico, sebbene con un giovanile passato repubblicano. Riconobbe nei Savoia, la dinastia capace di condurre l’Italia all’indipendenza, ciò lo portò ad una severa condanna del mazzinianesimo e del democraticismo persino nelle rivolte del 1848, ma quel che più conta è che, con questo bagaglio filosofico-politico, Vittorio Imbriani fu l’emblema di quell’intellettualità meridionale che si fece portavoce dell’idea di uno stato dalla forte accentuazione centralistica capace di uniformare culturalmente la nazione.

Massone e letterato, fu sostenitore del diritto di secessione dei sudisti statunitensi e della legittimità dello schiavismo, fondò con Bertrando Spaventa e Francesco Fiorentino il “Giornale napoletano di filosofia e lettere” e fu consigliere provinciale nel mandamento di Pomigliano d’Arco. Sempre immerso nella realtà politico-amministrativa locale, espresse un meridionalismo conservatore vicino a Fortunato e Villari, denunciando una deriva morale, prima che istituzionale, della società.

Un percorso ed ideali non dissimili da quelli di un altro garibaldino, Pasquale Turiello, col quale condivise l’opposizione all’abolizione della pena di morte e all’estensione del diritto al voto (G. Acocella, Per una filosofia politica dell’Italia civile).

In una lettera a Giacomo Hamilton Cavalletti del 1879 diceva di se: “io non sono punto un liberale moderato. Sarei piuttosto quel che adesso si tenta di chiamare un conservatore, se in Italia si potesse accettare questa denominazione senza dar luogo ad equivoci. Qui non può esserci un partito che voglia conservare tutto lo Stato così com’è. Desidero conservata l’unità e la dinastia; e credo che né l’una né l’altra possa durare finché si persevererà nel criminoso proposito ed assurdo e dimostrato tale dalla storia in altri paesi, di fondare una monarchia circondata da istituzioni repubblicane. Io, sebbene forse solo in Italia, oso dichiararmi partigiano d’una Monarchia circondata da istituzioni monarchiche”.

Impossibile non riconoscere la sua importanza nel mondo della letteratura del secondo Ottocento italiano con numerose opere di narrativa (R. Franzese e E. Giammattei, a cura di, Studi su Vittorio Imbriani), impossibile tacere pure la sua importanza in ambito etnoantropologico per le sue raccolte di canti pomiglianesi e le loro varianti irpine. Fu sempre convinto che gli idiomi locali costituiscano un arricchimento costante della cultura e dell’identità italiana. Così ne parlava al padre Paolo Emilio: “Lavori faticosi e modesti, che non mi procacceranno né lode né guadagno, che non illustreranno certo il mio nome, ma che sono utili ad alcuni studi, utili alla conoscenza del nostro carattere nazionale e testimonianza di quell’affetto immenso e disinteressato che ho per tutte egualmente queste provincie d’Italia, tra le quali non saprei far differenza ancor che minima fosse” (in Aa. Vv., Accademie & Biblioteche d’Italia 1-4/2011).

Tuttavia l’atteggiamento costantemente polemico verso i suoi contemporanei lo condannò ad una fama postuma. Solo grazie a Croce, infatti, si iniziò la riscoperta della sua opera letteraria.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra
Bibliografia: F. Di Dato, Coscienze Critiche della Destra Meridionale, Vittorio Imbriani e Pasquale Turiello

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