La Seconda Guerra di Morea

Quando i turchi ripresero le armi contro la Serenissima Repubblica di San Marco era il finire del 1714 ed a Venezia il doge Giovanni Cornaro s’affrettò agli apprestamenti di navi, munizioni, milizie. Furono spediti ovunque emissari per chiedere aiuto, ma risultò vano ogni tentativo. Dalla parte di Venezia sarebbe stato solo l’Impero di Carlo VI d’Asburgo ed il pontefice con le galere sue e di Malta. Parliamo della Seconda Guerra di Morea.

Alle voci giunte, circa lavori di rafforzamento di piazze turche importanti come quella di Negroponte e l’agitazione del pashà di Bosnia, fece seguito l’udienza dell’8 dicembre 1714 in cui il balio veneziano sentì il visir dichiarare esplicitamente i suoi propositi e concedergli venti giorni di tempo per abbandonare Istanbul. Gli ottomani, utilizzando come pretesto alcune trasgressioni di mercanti veneziani, avevano dichiarato il 9 dicembre 1714 e, riunito in Macedonia un esercito di circa 70.000 uomini. I patti di pace di Carlowitz del 1700 venivano infranti. In allarme, il Senato affidò la carica di capitano generale a Daniele Girolamo Dolfin che ebbe a sua disposizione ventidue navi, due galeazze e parecchie galee e legni minori, ma le forze preponderanti del sultano Ahmed III potevano meglio muoversi con velocità e grande impatto sullo scacchiere molto ampio del Mediterraneo centro-orientale.

Gli ottomani presero l’isola di Fine ed il suo comandante Bernardo Balbi, che l’aveva ceduta, fu punito col carcere, inaugurando una serie di duri provvedimenti contro buona parte dei provveditori. Veniva occupata Egina e poi cinta d’assedio Corinto. Qui la strenua difesa del provveditore Jacopo Minotto fu gloriosa ma non ebbe fortuna. A Creta, allora nota come Candia, furono prese d’assalto la fortezza di Spinalonga, difesa da Francesco Giustiniani, e quella di Sud, difesa da Luigi Magno. Caddero isolate e prive della pur minima prospettiva di  ricevere aiuti. Cadde Nauplia, dove i giannizzeri riuscirono ad entrare aprendo una breccia e vincendo una convinta resistenza veneziana, e cadde Modone, dopo aver rifiutato per cinque volte la resa. Cadde in ultimo la piazza di Malvasia, vedendosi privata dei soccorsi. Agevolmente le truppe del visir Djanum Khodjia dilagarono, nello spazio di un mese conquistarono tutto il regno. Solo dalla Dalmazia arrivavano notizie positive: il provveditore Giorgio Balbi aveva salvato la piazza di Sing. Quando poi Dolfin seppe che gli ottomani si apprestavano all’isola di Santa Maura, scelse di abbandonarla, distruggendone le fortificazioni ed imbarcando solo i civili e le artiglierie. Di fatti la flotta veneziana non aveva mai combattuto e si ritirò nel porto di Corfù, dove il Senato si affrettò a sostituire Dolfin ignominiosamente con Andrea Pisani.

Il 13 aprile del 1716 fu ufficializzata l’alleanza con Vienna, il principe Eugenio di Savoia spinse le sue truppe nell’Ungheria minacciando guerra al turco. Venezia, risoluta a difendere Corfù, accolse i servigi di Johann Matthias von der Schulenburg, feldmaresciallo del Sacro Romano Impero, che con solerzia si avviò a dirigere i lavori di adeguamento della piazza anche in pieno inverno.

La Sublime Porta era ora obbligata dall’alleanza tra Venezia e l’Impero a dividere le sue forze e mandava quelle destinate alla Dalmazia in Ungheria. Ciò frenò il suo incedere generale. Nel mentre, i navigli di Kapudan Pasha Djanum Khodjia manovrarono verso le coste d’Africa, simulando prossimo un attacco a Zante e poi si portarono a Vallona per rifornirsi ed entrare, il 5 luglio, nel canale di Corfù.

Il Pisani lasciò allora il porto di Zante per unirsi ai convogli inviati da Venezia col capitano straordinario Andrea Cornaro. Questi, avendo già ricevuto notizia della presenza della flotta nemica in quelle acque, vi accorse per dar battaglia. Djanum Khodjia aveva lasciato le sue galere ancorate a due miglia dalla città per dedicarsi al trasporto delle truppe da sbarco, ma la comparsa dei veneziani lo costrinse a tornare a bordo. La squadra di Cornaro entrò a piene vele nel canale, si accostò alla Sultana e la cannoneggiò. Il combattimento che ne scaturì durò fino a notte e vide i turchi ritirarsi sotto il cannone di Butrintà. Cornaro ne approfittò per ancorarsi al castello vecchio di Corfù, tuttavia il nemico poté completare il trasporto
dei suoi trentamila uomini nella parte settentrionale dell’isola, per stabilire il suo campo alle saline di Potamò. La guerra si affrettava e le prospettive non erano rosee per i gonfaloni di San Marco: ottomila veneziani, greci, dalmati, corfioti contro trentamila musulmani, uno squilibrio di forze terribile. Assestatosi nelle montagne di Abramo e San Salvatore, Kapudan Pasha provò molti assalti alla piazzaforte e si vide respinto, patendo gravi perdite in vigorose sortita che spinsero lo spinsero a tentare un assalto risolutivo a sorpresa.

Era la notte tra il 18 ed il 19 agosto e i turchi concentrarono i loro attacchi contro il rivellino di difesa al bastione di Santo Antonio. Gli austriaci l’abbandonarono e si rifugiarono nel castello nuovo. I turchi, da lì, si accinsero a scalare gli angoli bassi della fortezza. I provveditori Antonio Loredano e Francesco Moro con lo Schulemburg diedero l’esempio, furono in prima linea nel respingere gli assalitori sotto i colpi del cannone e della moschetteria. Si combatteva con coraggio e venivano scagliati sui nemici sassi e bombe, anche da donne, fanciulli, vecchi e preti. Corfù resistette per sei ore, poi Schulenburg ebbe un colpo di genio, si pose alla testa di ottocento soldati, uscì da una porta segreta ed attaccò alle spalle un’ala dell’esercito turco. Il nemico entrò nel panico e credette d’essere circondato, fino a preferire la ritirata. I turchi furono inseguiti sin nelle loro trincee con grande spargimento di sangue. Nella notte del 21 abbandonarono l’isola lasciandovi cannoni e munizioni, nonostante un tremendo temporale. Era giunta loro la notizia di una terribile sconfitta inferta loro il 5 agosto da Eugenio di Savoia a Petervaradino, con la morte del gran visir Silahdar Damat Ali Pascià. Così ebbero fine i quarantadue giorni di assedio di Corfù e la campagna ottomana del 1716 si chiuse con questa sconfitta.

Nell’estate successiva, Ludovico Flangini, succeduto al Cornaro, portò le operazioni nella parte settentrionale del Mar Egeo, minacciando i Dardanelli. Il 12 giugno, due ore dopo il tramonto, ingaggiò battaglia fuori dallo stretto. Sebbene inferiore in numero, ben figurò combattendo sino a notte, lasciando la vittoria indecisa. All’albeggiare del giorno riprese la
battaglia, stavolta tra Imbro e Stalimene. I turchi puntarono le navi del comandante Marcantonio Diedo che erano state danneggiate nel combattimento precedente, ma il soccorso del Flangini li costrinse ad abbandonare l’impresa. Per i successivi due giorni le due flotte si tennero a vista, al terzo, col vantaggio del vento, i turchi attaccarono i veneziani.
Flangini tenne botta per tre ore ed infine ruppe la linea nemica, fracassò la capitana, affondò tre vascelli ed un burlotto. Purtroppo un colpo lo ferì gravemente, mentre il nemico fuggiva. Ancora morente, diede ordine di inseguirlo e volle farsi portare sul cassero per comandare le manovre, ma spirò tra le braccia dei suoi soldati.

Nel frattempo il Pisani, saputo di quanto stava accadendo, lasciò Corfù. Era forte anche di due navi fiorentine, cinque maltesi, due pontificie e sette portoghesi. Incrociò i turchi al Capo Matapan, anch’essi rinforzati di navi barbaresche. Lo scontro si ebbe il 19 luglio, nelle acque di Cerigo in una battaglia che durò otto ore e costrinse i turchi a ritirarsi. Gli ottomani erano stati ricacciati nei Dardanelli, Corfù era salva, ci si poteva concentrare sulla difesa delle isole ancora in mano veneziana e si ebbe anche la forza per conquistare Prevesa e Vonizza e principiare l’assedio di Larta, abbandonandolo poi per i problemi connessi alla stagione troppo avanzata.

In Dalmazia le cose erano andate anche meglio. Sebastiano Mocenigo aveva sottomesso le provincie di Munstar, Scablat e Goranza, aveva preso il castello d’Imoschi e marciava verso Antivari, mentre Angelo Emo prendeva Ottovo, Zarine e Popovo. Il 1717 aveva sorriso ai veneziani e le perdite inferte ai turchi costrinsero il Sultano a chiedere la pace, nel mentre i veneziani segnavano una nuova vittoria presso Cerigo e ponevano l’assedio a Dulcigno.

Fu allora che giunse la sospensione delle ostilità. I plenipotenziari convocati a Passarowitz siglarono un accordo in base al quale a Venezia restavano tutti i territori conquistati nei Balcani e le isole, ma rinunciavano a quanto perso nella Morea. Corfù restava dunque veneziana eppure una tragedia l’avrebbe inaspettatamente colpita: un fulmine cadde sulla polveriera della fortezza vecchia nella notte del 28 ottobre del 1718 facendo esplodere gran parte degli edifici e uccidendo l’ero della guerra, Andrea Pisani.

 

 

Autore: Angelo D’Ambra

Fonte: Marc-Antoine Laugier, Storia Della Repubblica Di Venezia

historiaregni

Historia Regni è un portale telematico dedicato alla storia, anzitutto quella italiana. Nasce su iniziativa di Angelo D’Ambra, è senza scopo di lucro e si avvale di collaborazioni gratuite. Le foto presenti sono state, in parte, prese da internet e quindi valutate di pubblico dominio. Se gli autori avessero qualcosa in contrario alla pubblicazione, non avranno che da segnalarlo al nostro indirizzo email info@historiaregni.it e si provvederà alla rimozione.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *