Sistemi monetari preunitari: cenni di monetazione milanese

Secondo il Corpus Nummorum Italicorum, la Zecca di Milano è stata aperta da Gallieno, quindi tra il 260 ed il 268 e.v., ed è rimasta attiva fino al 476. Inattiva con i goti ed i longobardi, è poi stata riattivata con Desiderio, che vi ha fatto coniare dei Tremissi. Carlo Magno ne conservò le strutture produttive, utilizzandole per la produzione di Tremissi d’oro prima e Denari d’argento poi. Per quasi 400 anni i Denari d’argento, sempre più piccoli e di lega peggiore, hanno rappresentato l’unico prodotto della zecca. Si deve aspettare la fine del XII secolo per un qualcosa di più interessante. Infatti, tra il 1190 ed il 1197, l’opificio milanese coniò Soldi e Doppi Soldi imperiali.
È necessario spendere qualche parola al riguardo. Si tratta sicuramente di due monete diverse perché, per quanto irregolari, il peso dei Doppi Soldi è approssimativamente due volte quello dei Soldi e perchè, iconograficamente quasi identiche ai Soldi, i Doppi Soldi presentano al rovescio non la croce semplice ma una croce da cui partono due cunei.

Il peso di questi pezzi è irregolare, ma sembra pensato prendendo come riferimento il Grosso Veneziano, e questo indicherebbe che sono stati battuti dopo il 1194. Né il CNI né gli Gnecchi danno indicazioni sul titolo di questi pezzi, il Martini lo indica in 958/1000, non specificando però da dove ha ricavato l’informazione, senza concordare comunque con l’identificazione in Soldi e Doppi Soldi, che definisce Quarti di Soldo, i più leggeri, e Mezzi Soldi i più pesanti.
Per quanto ci riguarda il confronto tra il fino, ipotetico, di un Denaro milanese del Barbarossa e quello, sempre ipotetico, della moneta più pesante, è, pressappoco, 1:10 per cui ci azzardiamo a proporre una identificazione in Soldi e Mezzi Soldi.

Indipendentemente da ciò, vero è che, secondo il CNI, questo esperimento non fu ripetuto nè con Ottone IV nè con Federico II. Soltanto dopo il 1250, cioè nel periodo fino al 1310 definito “Prima Repubblica”, il Comune di Milano ordinò la coniazione di una nuova moneta grossa d’argento. Caratterizzata al diritto dalla croce circondata dalla scritta “MEDIOLANU” ed al rovescio da Sant’Ambrogio, mitrato, nimbato, seduto, benedicente e circondato dalle lettere “SCS” e “AMBR”, questa moneta era emessa in ottimo argento, titolo 968/1000 e tariffata ad 1 Soldo e 1/2 di Lira Imperiale. Non disponiamo di un dato certo relativo al peso: gli esemplari descritti dal CNI oscillano da un minimo di 2,8 fino ad un massimo di 3 grammi.

Nello stesso periodo la zecca batteva anche dei Soldi al titolo di 900/1000, iconograficamente molto simili agli Ambrosini ma si distinguevano, oltre che per il peso, perché al rovescio il santo era circondato dalla scritta “S • AMB” e “ROSIV”. Anche in questo caso non disponiamo di dati relativi al peso. Sul CNI esso varia da un minimo di 1,7 ad un massimo di 2,1 grammi, valori tutto sommato compatibili con quello derivante da un calcolo teorico.

Sia il Soldo e Mezzo che il Soldo semplice non presentavano riferimenti ad un autorità superiore. Per vedere di nuovo il nome dell’imperatore, Enrico VII di Lussemburgo, si deve aspettare la Signoria di Matteo I Visconti. Questo, dopo il 1310, forse come ringraziamento per essere stato riconfermato come Signore di Milano, ordinò alla zecca la coniazione del Grosso da 2 Soldi.

La moneta, che presentava al diritto nel bordo la legenda circolare “S • GERVASI S • PROTASI” ed all’interno i santi Gervasio e Protasio in piedi con la scritta “HNRIC IPAT” in verticale tra loro ed al rovescio Sant’Ambrogio seduto, mitrato, nimbato e benedicente circondato dalla scritta “S • AMBROSI MEDIOLANVM”, era battuta in argento al titolo di 964/1000.
Mancano dati sicuri relativo al peso. Gli esemplari descritti dal CNI oscillano tra un minimo di 4,1 ad un massimo di 4,2 grammi, comunque indicativamente circa due volte il peso del Grosso veneziano con un cambio ipotetico di 3:8 tra Lira Milanese e Lira Veneta.

Era battuto anche il Soldo che, iconograficamente identico al Grosso, si distingueva solo per il peso pari alla metà di quello del fratello maggiore. Il Grosso restò la moneta di riferimento della Signoria, poi Ducato, di Milano per almeno altri centosessanta anni, pur in presenza di continui cambi di peso, fino e tariffa. Si sono avute, infatti, le seguenti emissioni:

  • Azzone Visconti ( 1329 – 1339 )

Argento, al titolo di, circa, 910/1000 e pesante tra i 2,8 ed i 2,9 g, tariffata a 2 Soldi, o 1/10 di Lira. Nummo molto interessante per tre motivi:

1 – Non ci sono più riferimenti all’autorità Imperiale, il dominio dei Visconti su Milano non è più in discussione…
2 – È il primo in cui compare, sia pure in Latino, il cognome “Visconti”
3 – È il primo in cui fa la sua comparsa il “Biscione”

  • Luchino e Giovanni Visconti ( 1339 – 1349 )

Grosso iconograficamente identico, salvo la sostituzione del nome di Azzone con quelli di Luchino e Giovanni, forse leggermente più leggero.

  • Giovanni Visconti ( 1349 – 1354 )

Argento, al titolo di, circa, 905/1000 e pesante circa 2,7 g.
In letteratura non ho trovato nessuna indicazione relativa alla tariffa per cui potevano essere spesi, ipotizzo, sulla base del confronto con quelli battuti da Azzone prima e da Bernabò poi, che anche questi fossero tariffati 2 Soldi.

  • Galeazzo II e Bernabò Visconti ( 1354 – 1378 )

Argento, al titolo di 906/1000 e pesante 2,6 g, tariffata a 2 Soldi. Si tratta del primo nummo Meneghino di cui in letteratura si conservano i dati ponderali. Le disposizioni Viscontee stabilivano che un Marco di pasta d’argento destinato alla coniazione doveva avere un fino pari a 10 Denari e 21 grani, la fusione andava quindi preparata con 7 Once e 144 Grani di metallo prezioso e 432 Grani di Rame. Infine da 17 Marchi di pasta cosi preparata si dovevano ricavare Grossi per un valore totale di 153 Lire e 12 Soldi.

  • Gian Galeazzo Visconti ( 1385 – 1402 )

Il suo governo è interessante per due motivi:

1 – Trasformazione della Signoria di Milano in Ducato
2 – Emissione dopo il 1395, di una moneta di argento di titolo dignitoso

Infatti tra il 1378 ed il 1395 la Zecca Meneghina ha battuto solo pezzi in basso argento, oltre a denari in Biglione.
Però rispetto al Grosso coniato fino a 20 anni prima dagli zii il nummo del Conte di Virtù è peggiore nel titolo, solo 7 Denari e 22 Grani, 660/1000, contro 10 Denari e 21 Grani, nella tariffa, 1 Soldo e 1/2 invece che 2, e nel peso, 1/96 di Marco Milanese, 2,448 g, al posto di 17/1536.

  • Giovanni Maria Visconti ( 1402-1412 )

Grosso che mantiene il peso di quello paterno, circa 2,45 g, ma ad un fino peggiore, 6 Denari e 6 Grani circa 521/1000, ad una tariffa più alta, 2 Soldi invece che 1 e 1/2.

 

Solo con il regno di Filippo Maria Visconti ( 1412-1447 ) la zecca meneghina superò la “barriera del due” producendo un Grosso da 3 Soldi, coniato in argento al peso di circa 3,5 g moderni ed al titolo di circa 620/1000. Pezzi simili, ma tariffati a 4 Soldi, furono prodotti anche durante il regno del genero di Filippo, Francesco Sforza.

Dopo il 1472, forse come risposta all’emissione della Lira Tron, il Duca di Milano Galeazzo Maria Sforza ordinò la coniazione del Testone, un pezzo in ottimo argento, fino di 962/1000, di peso pari a 1/24 di Marco Milanese, circa 9,79 g moderni.

La moneta, tariffata a 20 Soldi, presentava al diritto il busto del duca, rivolto verso destra, circondato dalla scritta “GALEAZ • M • SF • VICECO • DVX • MLI • QIT” ed al rovescio un cimiero coronato e sormontato da un drago alato che stringe tra le fauci un fanciullo con al di sotto lo scudo con la biscia. Il tutto circondato dalla scritta “PP • AMGLE • Q • CO • AC • IANVE • D”.
Testoni identici in peso, titolo e tariffa furono emessi anche dai successori Giovanni Galeazzo, Ludovico Maria, Luigi XII, Francesco I e Francesco II Sforza. Morto quest’ultimo, il 24 ottobre 1535, non essendoci eredi legittimi, il Ducato, in quanto feudo imperiale, rientrò nella disponibilità dell’imperatore Carlo V che scelse di non infeudarlo, ma di governarlo direttamente.

Numismaticamente parlando questi primi anni spagnoli sono caratterizzati dall’introduzione di un nuovo pezzo di enormi dimensioni, el Ducatones de cien Sueldos, del peso di 1/7 di Marco Milanese e di fino pari a 11/12.
El Rey de España Carlos Primero aveva ordinato alla zecca meneghina “de labrar” anche Medios y Cuartos Ducatones.
Particolare interessante, sebbene i Ducatoni materialmente giunti fino a noi sono tutti ad un peso, più o meno regolare, di 1/7 di Marco Milanese. L’Heiss, nel Tomo Tercero del suo “Monedas Hispano-Cristianas”, scrive che il “pesos que deberian tener” sarebbe dovuto essere di 2/13.
Il 16 gennaio 1556, con una cerimonia privata e quasi segreta, Carlo V concesse la corona al figlio Filippo, già duca di Milano dal 1540, ed uno dei suoi primi atti come “REX HISPANIARVM” fu quello di modificare il Ducatones de cien Sueldos:
concretamente il peso fu ridotto a 10/73 di Marco Milanese, circa 32,19 g moderni, ed il fino fu aumentato a 958/1000, valori che, curiosamente, ricordano lo Scudo Veneziano di trent’anni dopo. Le emissioni, identiche in peso fino e sottomultipli, continuarono anche con Filippo III e Filippo IV.

Filippo III legò il suo nome all’introduzione di una nuova moneta d’ottimo argento che dal nome del sovrano fu chiamata Filippo. Battuta in argento a titolo di 948/1000, leggermente peggiore del Ducatone, e pesante 273/2304 di Marco Milanese, per il nummo era era prevista la coniazione di Medios, Cuartos y Octavos.
Il Filippo, che dopo il 1665 rappresentò l’unica moneta milanese in argento di grandi dimensioni, continuò ad essere coniato fino al 1778, regno di Maria Teresa, sempre con gli stessi peso, fino e sottomultipli, variando solo, oltre al nome del sovrano, nella tariffa per cui poteva essere speso.

Il 1778 è l’anno in cui Maria Teresa modificò la monetazione milanese introducendo lo Scudo, un pezzo in argento a titolo 896/1000 e pesante 227/2304 di Marco Milanese.
Lo Scudo, coniato in quantitativi eccellenti (tra il 1778 ed il 1786 circa 7,6 milioni di Scudi e 3 milioni di Mezzi Scudi), non fu più emesso dopo il 1789, forse a causa della difficile situazione politica europea, per poi sparire con la creazione della Repubblica Transpadana. Nel 1796, infatti, le armate napoleoniche portarono a Milano le loro novità rivoluzionarie, tra cui i Franchi d’argento.

 

 

Si trascrivono in chiusura gli importi rinvenuti per cui Testoni, Ducatoni, Filippi e Scudi potevano essere spesi.

Testone

1472 – 1 Lira
1500 – 1 Lira 2 Soldi e 9 Denari
1515 – 1 Lira e 5 Soldi
1522 – 1 Lira e 10 Soldi

Ducatones de cien Sueldos

1535 – 5 Lire

Ducatone

1556 – 5 Lire e 12 Soldi
1598 – 5 Lire e 15 Soldi
1721 – 6 Lire, 1 Soldo e 4 Denari.

Filippo

1598 – 5 Lire
1621 – 5 Lire e 6 Soldi
1665 – 6 Lire e 10 Soldi
1675 – 7 Lire
1700 – 7 Lire
1716 – 7 Lire e 6 Soldi
1740 – 7 Lire e 10 Soldi

Scudo

1778 – 6 Lire

Per tutte multipli e sottomultipli in proporzione

 

 

Nota metrologica

Unità di misura del peso delle monete milanesi era il Marco omonimo, 234,9973 g, suddiviso in 8 Once da 24 Denari, ognuno da 24 Grani di 24 Granotti. Per indicare il fino dei metalli preziosi si usava sempre il Marco milanese, suddiviso però in 24 Carati da 24 Particole per l’oro ed in 12 Denari da 24 Grani per l’argento.

 

 

 

 

 

 

 

Autore articolo: Enrico Pizzo, classe ’74, residente sui Colli Euganei. Appassionato di storia veneta e storia dei sistemi monetari preunitari.

Bibliografia: CNI – Volume V Lombardia (Milano); Francesco ed Ercole Gnecchi – Le monete di Milano; Giovanni Mulazzani – Dizionario delle monete Milanesi; Heiss – ” Monedas Hispano-Cristianas – Tomo Tercero”

Enrico Pizzo

Enrico Pizzo, classe ’74, residente sui Colli Euganei. Appassionato di storia veneta e storia dei sistemi monetari preunitari.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *