I Palombari di Viareggio

Il 22 giugni del 1932 un annuncio finì su tutti i giornali: l’oro dell’Egypt era recuperato, i palombari di Viareggio avevano portato a termine l’impresa.

Tutto era iniziato nel 1929. Il piroscafo Artiglio della Società Ricuperi Marittimi di Genova raggiunse il Mare di Brest su incarico dei Lloyd’s di Londra alla ricerca del transatlantico Egypt, battente bandiera inglese, che trasportava un prezioso e consistente carico di monete e lingotti d’oro, destinato alle banche dell’India. A seguito dei vari clamorosi fallimenti di altre importanti società di recuperi inglesi e olandesi, i Lloyd’s si erano rivolti ad una società italiana. Il 29 agosto del 1930, l’Artiglio del viareggino Alberto Gianni individuò il relitto ad una profondità di circa 130 metri ed avviò le operazioni in un clima internazionale di grandi clamori. La buona stagione sta per salutarli, ma i palombari sfidarono il maltempo, le nebbie i pericoli di scontri in quella che era la rotta più battuta dalle navi inglesi. Alberto Bargellini e Aristide Franceschi fecero saltare le sovrastrutture e il primo ponte, praticarono un cratere nel secondo e iniziarono a sbarazzarsi dei rottami per staccare il terzo e poi passare al quarto, ma il 26 settembre il maltempo li obbligò a fermarsi ed a rinviarne il recupero alla primavera successiva.

Rientrato in Italia, l’Artiglio venne però inviato nel nord ovest della Francia per effettuare il recupero della nave americana Florence che, carica di un ingente quantitativo di esplosivi, era affondata nel 1917 nel canale di Saint Nazaire ostruendone il passaggio. La Florence, con le sue 9.000 tonnellate, era adibita al trasporto di munizioni da New York durante la Grande Guerra. Nel suo ultimo viaggio avrebbe dovuto far esplodere il carico nel porto francese ed invece saltò in aria con tutti i suoi uomini a ridosso dell’Isola di Houat. I palombari viareggini cominciarono le fasi di demolizione della Florence supponendo che l’esplosivo, immerso da più di 13 anni, non fosse reattivo ed invece, a seguito dell’azione di una carica demolitrice, il carico bellico che la nave conteneva esplose. L’Artiglio fu distrutto e trascinato sul fondo in un tragico incidente che costò la vita a i palombari Alberto Gianni, Aristide Franceschi e Alberto Bargellini. I soccorsi pescarono vivi solo i palombari Giulio Sartini, Amedeo Raffaelli e Vailante Cortopassi.

La Società Ricuperi Marittimi però doveva assolutamente rispettare il contratto con gli inglesi e recuperare il tesoro dell’Egypt. Si armò allora una seconda nave, rinominandola Artiglio II e si arruolarono altri palombari di Viareggio, Mario Raffaelli, allievo di Gianni, Giovanni Lenci e Fortunato Sodini che affiancarono Cortopassi e Raffaelli. I palombari tornarono ad immergersi nel Mare di Brest, lo fecero al suono continuo di una sirena che dall’Artiglio puntava ad evitare collisioni in quelle acque nebbiose. Durante i lavori, i palombari, coperti da una corazza semirigida e collegati alla superficie da un filo telefonico applicato ai tubi per la respirazione, squarciarono pezzo dopo pezzo le strutture della nave. Si lavorò con turni ininterrotti, di giorno e di notte, furono esplosi 5.000 chili di tritolo, vennero asportate 500 tonnellate di lamiere e, dopo sei mesi di lavoro, tutto il tesoro dell’Egypt, in gran parte costituito da monete, barre e lingotti d’oro nonché numerose barre d’argento,tornò in superfice.

Il recupero fu un fatto di grande prestigio per l’Italia,avvenne ad una profondità per l’epoca ritenuta impossibile da raggiungere dai palombari, contro i pareri dei tecnici, tutto questo anche grazie all’uso avanguardistico dello scafandro a pressione atmosferica e della torretta butoscopica.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: F. Quilici, Relitti e tesori

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