I viaggi letterari di Dante Alighieri

Di recente si è istituita una giornata dedicata a Dante Alighieri, il DanteDì, il 25 marzo, nella ricorrenza dell’inizio del suo viaggio verso l’oltretomba. Ciò offre lo spunto per una più ampia riflessione letteraria. Il Sommo poeta è stato un punto di riferimento imprescindibile per tutti i poeti a venire, ma chi fu per lui fonte d’ispirazione? E dove si ritrovano le relative citazioni? Circoscriviamo la nostra disamina all’Inferno.

Fra le esperienze extra-terrestri antecedenti a Dante troviamo sicuramente il libro dell’Apocalisse di Giovanni, quello per inciso che termina la Bibbia. In esso si trova un pesante riferimento alla corruzione della Chiesa, cosa che Dante ripeterà come denuncia nella cerchia dei simoniaci. Giovanni scrive “uno dei sette angeli che avevano le sette coppe venne a dirmi: ‘Vieni, ti farò vedere il giudizio che spetta alla grande prostituta che siede su molte acque. I re della terra hanno fornicato con lei e gli abitanti della terra si sono ubriacati con il vino della sua prostituzione’ (Apocalisse 17:9). Alighieri lo segue e così descrive la Chiesa, ormai distolta dal suo obiettivo principe e collusa col potere temporale: “Di voi pastor s’accorse, il Vangelista/ quando colei che siede sopra l’acque/ puttaneggiar coi Regni fu vista”.

Da Virgilio, sua guida, Dante mutuò la figura di Caronte e del fiume da lui calcato, l’Acheronte, come si trova nel Canto III della Commedia. In effetti l’opera letteraria di Virgilio è un’altra sua fonte di ispirazione.

Il libro VI dell’ Eneide recita così: “Di qui è la via che porta alle onde del tartareo Acheronte. / Qui la corrente torbida ribolle di fango in vasta voragine e vomita tutta la sabbia in Cocito. / Un orribile traghettatore custodisce queste acque ed i fiumi, / Caronte di terribile squalore, a cui sta nel mento molta canizie incolta, gli occhi di fiamma fissano, dalle spalle pende uno sporco mantello con nodo. / Egli spinge la barca col palo e la governa con le vele e col battello ferrigno trasporta i corpi. / Anche se vecchio, ma il dio ha una cruda e verde vecchiaia” (Eneide, 6:295/296). Dante gli fa eco con questi celeberrimi versi: ” ‘Le cose ti fier conte
quando noi fermerem li nostri passi / su la trista riviera d’Acheronte’. / Allor con li occhi vergognosi e bassi, / temendo no ’l mio dir li fosse grave, / infino al fiume del parlar mi trassi. / Ed ecco verso noi venir per nave / un vecchio, bianco per antico pelo, / gridando: “Guai a voi, anime prave! / Non isperate mai veder lo cielo: / i’ vegno per menarvi a l’altra riva / ne le tenebre etterne, in caldo e ’n gelo. / E tu che se’ costì, anima viva, / pàrtiti da cotesti che son morti”. / Ma poi che vide ch’io non mi partiva, / disse: “Per altra via, per altri porti / verrai a piaggia, non qui, per passare: / più lieve legno convien che ti porti”. / E ’l duca lui: “Caron, non ti crucciare: / vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole, e più non dimandare”. / Quinci fuor quete le lanose gote / al nocchier de la livida palude, / che ’ntorno a li occhi avea di fiamme rote”. Le descrizioni sono pressoché identiche, a testimonianza del debito di riconoscenza che il Poeta nutre nei confronti del suo Duca.

Un ragionamento finale lo merita Severino Boezio, autore del De consolatione Philosophiae. Senatore romano e filosofo neoplatonico, capostipite della corrente scolastica, nacque nel 480 e morì, giustiziato dopo alcuni anni di carcerazione a Pavia, sospettato di cospirazione da Teodorico, nel 525. Negli anni precedenti la sua esecuzione compose in una cella questa complessa opera filosofica per prosa e versi, che rappresentò un vero e proprio punto di riferimento per l’intero pensiero di epoca medievale. Nel libro III, Boezio scrive un ammonimento al lettore. Per lui, volgere lo sguardo ai beni terreni fa perdere il giusto obiettivo, il regno dei cieli, appannaggio dell’Inferno: “Questa favola voi, / Che nel superno lume/ Cercate alzarvi, sguarda; / Chè chi da reo costume / Vinto rivolge i suoi / Occhi alla terra, e le vil cose guarda, / Tutto quel che risguarda / Di bello e buon lassuso / Perde, come quaggiuso / Torce la vista; e vede / L’inferno: onde al suo ben giammai non riede”.

Poi nel libro IV, poi, ci permette la conoscenza di tre celebri figure dell’Inferno dantesco: “Cinque e cinque anni guerreggiando Atride, / La moglie tolta a Menelao suo frate / Vendicò, presa e disolata Troja. / Questi, per muover già le greche armate, / Compra i venti col sangue in Aulíde; / E padre vuol che la sua figlia muoja. / Ulisse il saggio con estrema noja / Pianse la morte de’ compagni cari, / Che Polifemo con brama empia e rea / Nel largo ventre divorati avea; / Ma ben tornò gli amari / Pianti a Ulisse in riso, e ’n giuoco il duolo, / Privo dell’occhio, ch’egli aveva, solo. / Ercole ancor dure fatiche fêro / Conto e famoso al mondo: egli i superbi / Centauri domò; l’altere spoglie / Tolse al leon, che in disusati acerbi / Modi il bosco neméo struggeva fero; / Ei con quell’arco, che sì dritto coglie, / Diede alle sozze Arpíe l’ultime doglie; / Egli al dragon, che desto gli guardava, / Colla stanca più grave, ove ei s’avvolse, / La mazza, i pomi d’oro a forza tolse; / E Cerber, che abbajava / Con tre bocche all’entrar, che non passasse, / Con tre catene dell’inferno trasse. / Egli il feroce inuman Dïomede / A’ suoi cavalli stessi in cibo pose”. In ordine di apparizione abbiamo Ulisse e più oltre Diomede, che Dante colloca nel Canto XXVI, ottava bolgia, nei consiglieri fraudolenti, rappresentati come un fuoco con due fiamme: “Là dentro si martira / Ulisse e Diomede, e così insieme / A la vendetta vanno come a l’ira / E dentro da la lor fiamma si geme / L’agguato del caval al che fe’ la porta / Onde uscì de’ Romani il gentil seme”.

E quindi chiudiamo questo breve saggio con Cerbero, cane infernale, che Dante descrive così nel Canto VI, cerchio III, fra i golosi: “Cerbero, fiera crudele e diversa / Con tre gole caninamente latra / Sovra la gente che quivi è sommersa […] / Quando li scorse Cerbero il gran vermo / La bocca aperse e mostro ci le sanne / Non avea membro che tenesse fermo”.

 

 

 

 

 

 

 

Autore articolo: Davide Barella
Davide Barella, insegnante, si occupa di teatro sociale (scuole, carceri, disabilità) e di promozione della lettura e della letteratura per ragazzi. E’ autore di saggi e articoli sui Ventimiglia, sui cavalieri corsari e su Emilio Salgari.

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