La bolla papale Sublimis Deus

La bolla papale Sublimis Deus, emanata il 2 giugno del 1537, affermò per gli indios il diritto alla libertà e l’idea che la fede dovesse essere diffusa con soli mezzi pacifici evitando ogni tipo di crudeltà.

Alessandro Farnese, salito al soglio pontificio col nome di Paolo III, si mostrò anche in questo un tipico uomo del rinascimento italiano. Incline alla vita mondana e, con lo stesso spirito, ostile all’ascetismo ed al rigore del protestantesimo, mostrò sensibilità ed acume sulla questione degli abusi degli encomenderos.

Costoro avevano ridotto i nativi d’America in schiavitù, avevano preso a trattarli come animali privi di ragione, addirittura, col supporti di parte del clero e di alcuni francescani, avevano loro negato l’anima ed i sacramenti. Anzi, proprio queste idee teologiche erano state la base giuridica della legalizzazione della schiavitù e dell’efferata crudeltà nei riguardi degli indios. Contro questi abominevoli soprusi si posero alcuni frati domenicani, Pedro de Cordoba, Antonio di Montesinos e poi Bartolomeo de Las Casas. Furono loro i primi a segnalare al Papa quello che stava accadendo nel Nuovo Mondo. I domenicani mostrarono grande coraggio nell’affrontare conquistadores e encomenderos in quelle terre dove spadroneggiava il più forte.

Fra Bernardino di Minaya, in particolare, si recò a Roma per riferire al pontefice del cattivo trattamento cui erano sottoposti gli indios. Alla loro testimonianza si aggiunse una lettera del Vescovo di Tlaxcala, Fra Giugliano di Garces. Al pontefice furono pure presentate le osservazioni di Carlo V, anch’egli perplesso davanti a quelle violenze. Alla corte romana i consiglieri del papa, tra cui il Cardinale Carafa, studiarono i documenti e, sull’insieme di tali analisi, Paolo III promulgò la suddetta bolla che recita:

“A tutti i fedeli cristiani che leggeranno questa lettera salute e benedizione apostolica. Il Dio sublime tanto amò la razza umana che creò l’uomo in maniera tale che non solamente potesse partecipare del bene di cui godono le altre creature, ma fosse anche dotato della capacità di arrivare a raggiungere il bene supremo invisibile ed inaccessibile e di contemplarlo faccia a faccia; e per quanto l’uomo, in accordo con la testimonianza delle Sacre Scritture, sia stato creato per godere della felicità della vita eterna che nessuno può conseguire se non attraverso la fede in Nostro Signore Gesù Cristo, è necessario che possieda le doti naturali e la capacità per ricevere questa fede; e chiunque di tali doti sia provvisto deve essere capace di ricevere la stessa fede.

Né è credibile che esista alcuno con così poco intendimento da desiderare la fede e tuttavia essere privo delle facoltà necessarie per ottenerla. Dunque Gesù Cristo, che è la verità stessa che non ha mai errato né può errare, disse ai predicatori della fede da lui prescelti per quel compito: ‘Andate ed insegnate a tutte le genti’. A tutti, disse, senza eccezione, posto che tutti sono capaci di essere istruiti nella fede; la qual cosa vedendo il nemico del genere umano, che si oppone sempre alle buone opere per portare gli uomini alla distruzione, provando invidia verso il genere umano, inventò un metodo fino ad allora inaudito per impedire che la parola divina di salvezza fosse predicata alle genti per la loro salvezza e incitò alcuni dei suoi accoliti, che per compiacerlo si trovarono ad affermare che gli indios occidentali e meridionali ed altre genti di cui abbiamo recente conoscenza, con il pretesto che ignorano la fede cattolica, debbono essere sottoposti alla nostra obbedienza come se fossero animali e li ridussero in servitù, obbligandoli con tante sofferenze come quelle che si usano con le bestie.

Noi che, sebbene indegni, esercitiamo sulla terra le veci di Nostro Signore e che con tutte le forze cerchiamo di portare all’ovile del suo gregge quanti ci sono stati affidati e che sono fuori dal riparo affidato alla nostra cura, consideriamo tuttavia che gli stessi indios, in quanto uomini veri quali sono, non solo sono capaci di ricevere la fede cristiana, ma, come ci hanno informato, anelano sommamente la stessa; e, desiderando di rimediare a questi mali con metodi opportuni, facendo ricorso all’autorità apostolica determiniamo e dichiariamo con la presente lettera che detti indios e tutte le genti che in futuro giungeranno alla conoscenza dei cristiani, anche se vivono al di fuori della fede cristiana, possono usare in modo libero e lecito della propria libertà e del dominio delle proprie proprietà; che non devono essere ridotti in servitù e che tutto quello che si è fatto e detto in senso contrario è senza valore; [allo stesso modo dichiariamo] che i detti indios ed altre genti debbono essere invitati ad abbracciare la fede in Cristo a mezzo della predicazione della parola di Dio e con l’esempio di una vita edificante, senza che alcunché possa essere di ostacolo.

Data in Roma, l’anno 1537, anno III del nostro pontificato”.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

 

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