La fine dell’Impero Spagnolo

Le sorti dell’Impero Austro-Ungarico sono note agli appassionati di storia italiani perchè strettamente connesse agli eventi della Prima Guerra Mondiale. Meno noti sono i fatti che portarono alla fine di un altro impero cui le vicende dell’Italia furono particolarmente legate: l’Impero Spagnolo.

La Guerra ispano-americana

Il 10 dicembre del 1898, a Parigi, Spagna e Stati Uniti si ritrovarono seduti ad un tavolo per firmare il trattato che segnò la prima tappa della fine di un impero che affondava le sue radici nel Quattrocento, nell’espansionismo della Castiglia, nella Reconquista e nelle scoperte di Cristoforo Colombo.

La Spagna rinunciò quel giorno a Cuba in favore degli Stati Uniti e, in cambio di 20 milioni di dollari, perse pure l’arcipelago delle Filippine, Porto Rico e Guam. Era l’esito della Guerra ispano-americana dichiarata nell’aprile di quell’anno e le cui attività belliche erano terminate il 12 agosto.

Fino al 1898 la Spagna aveva mantenuto queste preziose isole, oltre 3000 in totale, il cui controllo era da sempre molto complesso perchè la pirateria esercitava un’egemonia totale in quelle acque e il suo sradicamento comportava serie difficoltà.
Però ora Madrid viveva la profonda instabilità seguita alla fine del regno di Isabella II e la reggenza di Maria Cristina d’Asburgo-Lorena, madre del piccolo Alfonso XIII, risultava assai debole politicamente.
La Spagna appariva quindi indifesa davanti a certe mire espansionistiche, parliamo anzitutto di quelle degli Stati Uniti che già con i presidenti John Quincy Adams, James Polk, James Buchanan e Ulisses Grant avevano provato a comprare Cuba. Tale possesso per gli spagnoli non era solo una questione di prestigio perchè Cuba rappresentava una delle più ricche colonie e serbava una grande rilevanza strategica nei Caraibi.
Cuba, dal suo canto, aveva però sviluppato un forte sentimento nazionale (già espresso in due guerre di indipendenza) e gli Stati Uniti seppero approfittarne. Con la scusa di difendere gli interessi dei residenti americani sull’isola, inviarono a L’Avana, una nave da guerra, il Maine, violando deliberatamente gli accordi diplomatici. In risposta il governo spagnolo inviò l’incrociatore Vizcaya nel porto di New York. Misteriosamente, il Maine saltò in aria e, sebbene la Spagna si professasse estranea ai fatti, la stampa americana si lanciò in una serie di accuse che funsero da presupposto per lo scoppio del conflitto. La risposta militare statunitense, sin dalle prime mosse, non si limitò allo scenario cubano ma puntò a distruggere la marina spagnola nelle Filippine, riunita nella Baia di Manila, nel porto di Cavite.

La marina americana era equipaggiata con navi e armamenti moderni e non ebbe difficoltà nei due fondamentali scontri: nella Battaglia navale di Cavite, dove finirono distrutti due incrociatori, il Castilla e il Reina Cristina, e tre cannoniere, e nella Battaglia navale di Santiago de Cuba, dove gli spagnoli persero i tre incrociatori Almirante Oquendo, Vizcaya e Infanta Maria Teresa, mentre un quarto, il Cristóbal Colón, fu autoaffondato.

Paradossalmente la guerra che avviava la fine dell’Impero Spagnolo ne segnava l’inizio di un altro, quello americano perchè dietro la definizione di “protettorato” si nascondeva il totale controllo statunitense dei territori oggetto del trattato. Così, ratificato senza i rappresentanti di Cuba, Filippine, Porto Rico e Guam, l’accordo causò grande malcontento e determinò, l’anno seguente, lo scoppio della Guerra filippino-americana.

Le conseguenze economiche per la Spagna furono meno pesanti di quanto si pensasse perchè grandi quantità di capitali detenute dagli spagnoli di Cuba rientrarono nella madrepatria. Si stima che il flusso di capitali raggiunse il 25% del prodotto interno lordo, certamente ricchezza che lanciò i settori siderurgico, chimico, finanziario, meccanico, tessile, navale ed energetico. Pochi anni dopo il trattato, Spagna e Stati Uniti riallacciarono, oltretutto, relazioni commerciali strettissime. Le vere conseguenze si registrarono, invece, sul piano politico interno con l’indebolimento della monarchia, avviandola ai disastri del Novecento.

Le colonie d’Africa

Restavano dunque alla Spagna alcuni territori d’Africa. Forse è forzato definirli residui del grande Impero spagnolo: in larga parte, infatti, essi maturarono nell’Ottocento. Parliamo delle aree geografiche organizzate nel Protettorato Spagnolo del Marocco, costituito dalle zone del Rif e di Capo Juby, del territorio di Ifni, del Sahara Occidentale e della Guinea Equatoriale.

La Guinea, parziale eredità portoghese acquisita coi Trattati di Sant’Idelfonso del 1777 e quello del Pardo del 1778, ampliata nel corso dell’Ottocento, seguì una via pacifica verso la decolonizzazione. Questi territori tennero, con Franco, lo status di Province spagnole d’Oltremare con una ampia autonomia, grazie alla quale i nazionalisti guineani riuscirono ad ottenere l’indipendenza, nel 1968, senza gravi problemi sebbene avviandosi in un processo di decolonizzazione controverso.

Per il Marocco le cose andarono diversamente. Nato con gli accorti di spartizione del Sultanato del Marocco tra francesi e spagnoli nel 1912, il Protettorato si accrebbe, sotto la dittatura franchista, di Tangeri, ma proprio con Franco ne venne proclamata l’indipendenza, come conseguenza di quella ottenuta dal territorio marocchino del protettorato francese.
Nell’area di Ifni, invece, nel 1958 si accese un violento scontro che si estese al Sahara e che causò 198 morti, 574 feriti e 80 dispersi tra i soldati spagnoli e un numero imprecisato di perdite tra i partigiani marocchini. Nella Guerra di Ifni la principale vittoria per la Spagna si ottenne nell’assedio che i marocchini fallirono della città di Sidi Ifni: gli assedianti sottovalutarono le difese cittadine, nonchè l’apporto fornito dalla marina spagnola. La principale vittoria marocchia si ebbe invece nella Battaglia di Edchera quando due compagnie della XIII Bandera de la Legion, in missione di ricognizione, furono sbaragliate dal fuoco nemico. In quella circostanza, gli spagnoli si ritirarono solamente per l’enorme numero di vittime che lasciarono sul terreno. Nel 1968 fu concesso finalmente a questo territorio di riunirsi al Marocco indipendente.

A differenza della perdita di Cuba e delle Filippine, qualificata nella storiografia spagnola come “Desastre del 98”, la perdita delle colonie d’Africa non fu vissuta come grave colpo dalla Spagna e si inserisce nel più ampio processo di decolonizzazione conosciuto nella seconda metà del Novecento.

Las Plazas de soberanía

L’esistenza dell’Impero Spagnolo trova eco in alcuni piccoli possedimenti nel Maghreb, vere e proprie regioni di Spagna nel continente africano. Parliamo delle città autonome di Ceuta e Melilla, delle isole di Alhucemas e Zaffarane e del Peñón de Vélez de la Gomera. Sono queste le cinque “plazas de soberanía” che la Spagna non ha mai abbandonato perchè non furono mai parte dell’identità territoriale del protettorato marocchino.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

 

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