La Sanfelice di Dumas, la Rivoluzione Napoletana tra storia e romanzo

Nel dicembre del 1863 i lettori del popolare quotidiano francese La Presse cominciarono a seguire una storia ambientata a Napoli, pubblicata in appendice al loro giornale. La stessa storia agli italiani verrà proposta sulle pagine de L’Indipendente, a partire dal maggio dell’anno seguente. Mese dopo mese, attraverso la coinvolgente penna di colui che possiamo definire, senza tema di smentita, il maggiore romanziere di tutti i tempi, Alexandre Dumas padre, i lettori verranno accompagnati tra le tortuose vicende della Rivoluzione napoletana del 1799.

Quando arriva a Napoli, a seguito delle camicie rosse, nel settembre del 1860, Alexandre Dumas è già una celebrità. Per tre anni, dal 1861 al 1864 resterà in città in qualità di Direttore degli Scavi e dei musei su nomina dello stesso Garibaldi.

È così che nacque, all’ombra del Vesuvio, un intenso e controverso rapporto tra il vulcanico scrittore francese e la magmatica città partenopea. Dumas è un intellettuale raffinato, che resta affascinato dal mistero napoletano, e da quella cultura della quale riesce a percepire tutta la forza vitale frammista ad un profondo senso di drammaticità. Non era la prima volta che intingeva la sua penna nel golfo. Vi si era recato già in visita nel 1835 e l’aveva raccontata in un volume, Il Corricolo, edito tra il 1841 e il 1843, provando già a decifrare attraverso una serie di racconti, quel coacervo di passioni che la contraddistinguevano.

La Napoli di quegli anni è però complessa, difficile da vivere e da descrivere, appena trascinata dagli eventi del Risorgimento in una nuova epoca, con una borghesia cittadina guardinga e sospettosa che osserva con non molto favore questo eccentrico intellettuale straniero che si aggira per i vicoli, e che dal suo studio di Palazzo Chiatamone, sembra voler indagare l’anima della città.

La cronaca affrontata nella direzione del quotidiano L’Indipendente che dirige in prima persona, lo porta a raccontare questa particolare fase di passaggio, ma la sua innata curiosità lo conduce ad indagare i recessi più profondi di questi intensi mutamenti che stanno stravolgendo Napoli. C’è un particolare momento della storia che attira inesorabilmente la sua attenzione, ed è quell’istante quasi sospeso nel tempo, che rappresenta la Rivoluzione napoletana. Pochi mesi in cui il fior fiore della società cittadina, condizionato dai testi degli illuministi, Genovesi, Filangieri, Galanti, Pagano e affascinato dall’ ’89 francese, mise in piedi un virtuoso esperimento repubblicano, prima di essere sanguinosamente spazzato via dalla reazione borbonica.

Per indagare questa storia Dumas, non solo cerca le testimonianze dei suoi protagonisti nelle strade di Napoli, tra le voci del popolo, attraverso i testimoni oculari ancora in vita, ma si tuffa con piglio deciso tra i polverosi archivi cittadini, in mezzo a quei volumi che racchiudevano la storia documentale di quegli eventi scampati da un lato alla furia iconoclasta della prima reazione e dall’altro al tentativo di nasconderne i crimini compiuto negli anni successivi.

Ne nascono tre opere di grandissimo pregio sia sotto il profilo letterario che sotto quello storico. La prima è una monumentale storia dei Borbone di Napoli, edita nel 1862 che racchiude un’approfondita serie di studi con molto materiale inedito, e tra le atre cose, i carteggi che i sovrani borbonici intrattenevano col cardinale Ruffo.

Quella che però rimane l’opera forse più ambiziosa e più affascinante è il romanzo che Dumas dedica a quegli eventi.

La Sanfelice, ha tutte le caratteristiche tipiche del romanzo storico di Dumas, un intreccio appassionante, una serie di eventi narrati con una fluidità magistrale, intrighi, passioni. I personaggi vengono da un lato tratteggiati sui contorni derivati dagli studi sui documenti originali, dall’altro letteralmente estratti dal cilindro della fervida immaginazione dell’autore che se ne serve per rappresentare al meglio le aspirazioni e i sogni dei repubblicani di contro alla ferocia, e le bieche mire della restaurazione borbonica. Malgrado l’autore si dichiari apertamente vicino agli ideali repubblicani, non si tratta di un volume tendenziosamente manicheo, alcuni personaggi del campo borbonico vengono infatti rappresentati con sfumature tutt’altro che negative. Emblematica in questo senso è la figura del cardinale Ruffo che emerge in qualità di campione della reazione, ammantato di quel machiavellico temperamento che lo avvicina molto alla figura del Richelieu, la Sfinge rossa, cara al Dumas. È un Ruffo statista che pur utilizzando senza remore tutti gli strumenti a disposizione per raggiungere il suo obiettivo, compreso quello di scatenare la plebe contro le élite cittadine ree di aver appoggiato la Repubblica, a più riprese tenta di irreggimentare e mettere un freno alla sanguinaria espressione della restaurazione rappresentata da un popolo assetato di sangue e dalle bande di briganti che compongono parte dell’esercito della santa fede, pronte a compiere le peggiori nefandezze.

Se da un lato le figure dei due protagonisti, tra cui l’eroina che dà il titolo al libro, sono espressione di una vera e propria operazione di mitopoiesi, intere sezioni del romanzo non sono altro che la trasposizione fedele degli eventi frutto degli studi del Dumas. È lui stesso a spiegare questa specifica operazione, quando chiarisce perché la figura di Luisa Sanfelice nel suo romanzo è distante in buona parte da quella storica: nel creare «i due personaggi principali del mio libro – spiega Dumas – ho voluto che si riconoscesse Luisa Molina ma come si riconoscevano nell’antichità le dee che apparivano ai mortali, cioè, attraverso una nube». Quella che prende forma tra le righe di questo romanzo è dunque la figura idealizzata di Luisa Sanfelice. Eppure spesso e volentieri l’autore durante l’incedere della narrazione avvisa il lettore che in quel particolare momento dismetterà i panni del romanziere e indosserà quelli dello storico di modo che non si abbia alcun dubbio sul fatto che quanto seguirà è frutto delle sue ricerche più che della sua fantasia. Così possiamo distinguere l’opera quasi in due diversi libri: da un lato la storia d’amore di Luisa e Salvato, cioè il romanzo della Rivoluzione, dall’altro capitoli interi che rappresentano invece la storia della Rivoluzione. E sono le pagine che più ci colpiscono quelle in cui Dumas racconta le basse passioni di Nelson, la sua meschina vendetta nei confronti dell’ammiraglio Caracciolo, sicuramente tra le pagine più riuscite di questo romanzo con il racconto cadenzato della tragedia vissuta dal coraggioso principe napoletano, e con l’abbietto comportamento dell’inglese che lo farà giustiziare sulla stessa nave al comando della quale il Caracciolo lo aveva umiliato. Attraverso i documenti originali ed in particolare grazie ai carteggi, Dumas ricostruisce meticolosamente anche le figure dei sovrani borbonici, l’algida e spietata Maria Carolina, trascinata in torbide cupidigie con la sua favorita, quell’avida arrampicatrice sociale, Emma Lyon che a sua volta irretisce, proprio su indicazione della sovrana, un Nelson ruvido ed arrogante. Al di fuori del cerchio magico della regina, complessa emerge anche la figura di re Ferdinando, un uomo di scarsa cultura, concentrato principalmente sulla sua passione venatoria più di quanto lo sia nell’amministrazione del regno, che pure Dumas dipinge come certamente meschino, ma capace di schernire se stesso e il mondo della corte che lo circonda con una lucidità pari a quella di uno scaltro contadino. Perfettamente in grado di riconoscere i propri limiti e quelli del suo regno, Ferdinando, per un misto di indolenza e villania, preferisce nascondersi dietro al sarcasmo e abdicare alla propria autonomia di giudizio per lasciarsi guidare dalla moglie in scelte che si riveleranno drammaticamente determinanti.

Dumas in certi momenti piega senz’altro la cronaca alle esigenze narrative, ma solo fintanto che questo è utile a particolareggiare alcuni personaggi. Così la ferocia di Mammone, pure testimoniata da numerose cronache dell’epoca, è introdotta dal brutale eccidio dei fratelli Filomarino, che pur essendo un episodio di linciaggio già di per sé atroce, viene rivisitato dall’autore per accrescerne la drammatizzazione.

Con gli espedienti narrativi che integrano la cronaca storica ed aumentano il pathos, il geniale scrittore francese riesce ad esempio a trasmettere al lettore, come pochi prima e dopo di lui, quel vero e proprio sacro terrore che il sottoproletariato urbano napoletano incuteva nella borghesia cittadina, un elemento capace di caratterizzare in maniera determinante tutta la storia della città, dalla prima età moderna fino ai giorni nostri, e che in quegli anni raggiungerà il culmine proprio con la repressione della Repubblica napoletana.

Dunque se il lettore proverà a cercare la figura storica di Luisa Sanfelice in queste pagine ne troverà solo un simulacro, una rappresentazione idealizzata, tratteggiata attraverso le nebbie del passato, ma lo stesso lettore tra le righe di questo romanzo potrà rievocare senz’altro, tramite altri personaggi ed eventi, lo spirito di quel particolare momento storico, seppure reso a tinte decisamente accese, forse troppo, come ci teneva a precisare don Benedetto Croce, che pure aveva apprezzato molto il lavoro di ricerca sul campo dello scrittore francese. Elogiata «la forma del racconto facile e vivace» del Dumas, Croce che non faceva mistero di preferire una narrazione degli eventi piuttosto a scala di grigi rispetto al bianco e nero, sanzionava quei « personaggi, tutto d’un pezzo, tutto virtù, tutto eroismo, tutto ferocia, tutto astuzia, [che] parlano e operano con la coscienza continua della parte che debbono rappresentare».

Al Croce idealmente sembrava rispondere Dumas già quando affermava in risposta alle proteste della figlia della Sanfelice, Emanuela, che gli aveva indirizzato una lettera per lamentare proprio le incongruenze del personaggio letterario rispetto alla realtà, dopo aver messo alla porta lo scrittore da lei recatosi alla ricerca di informazioni su Luisa, tra l’altro con una durissima frase sprezzante nei confronti della sua stessa madre: «[…] Ho voluto per un sentimento di pura delicatezza, idealizzare i due personaggi principali  del mio libro. […] volevo fare di Luisa una creatura a parte che riunisse in sé tutte le perfezioni, e volevo gettare su di lei dei raggi poetici, conservando l’aureola vaporosa della passione e della lealtà e della disgrazia. Nel tempo futuro […] quando qualche viaggiatore domanderà “chi era la Sanfelice?”, al posto di indirizzarsi come ho fatto io a qualcuno della vostra famiglia che mi risponderebbe, come mi è stato risposto da voi, signora, “non mi parlate di questa donna, me ne vergogno”, allora si aprirà il mio libro e per fortuna la storia sarà dimenticata e sarà il mio romanzo la storia».

Non contento dei diversi volumi della Storia dei Borbone di Napoli e delle milleottocento pagine de La Sanfelice, Dumas successivamente farà pubblicare un altro romanzo, meno corale del precedente e molto più intimo, che raccontava gli eventi della rivoluzione attraverso lo sguardo della protégé di Maria Carolina, Emma Hamilton, Le Confessioni di una favorita (1865). Ma La Sanfelice rimane il vero e proprio monumento che Dumas ha eretto a Napoli e alla sua Rivoluzione, come lui stesso volle chiosare, nell’ultima pagina dell’opera: «Oggi, 25 febbraio 1865, alle sei di sera, ho terminato questo racconto, iniziato il 24 luglio 1863, giorno del mio compleanno. Per quasi diciotto mesi ho faticosamente e coscienziosamente innalzato questo monumento alla gloria del patriottismo napoletano e alla vergogna della tirannide borbonica. Mi auguro che esso, imparziale come la giustizia, sia anche durevole come il bronzo».

 

 

 

 

 

 

 

Autore articolo: Giuseppe De Simone, laureato in Scienze Politiche indirizzo storico, presso la Sapienza – Università di Roma, con una tesi in Storia Militare su “L’esercito francese e la Guerra d’Algeria”, è studioso di storia del Mezzogiorno d’Italia.

Giuseppe De Simone

Giuseppe De Simone, laureato in Scienze Politiche indirizzo storico, presso la Sapienza – Università di Roma, con una tesi in Storia Militare su “L’esercito francese e la Guerra d’Algeria”, è studioso di storia del Mezzogiorno d’Italia.

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