Storia del Cristianesimo: l’Antico Testamento come libro di storia

L’Antico Testamento è un insieme di libri che, in massima parte, hanno la pretesa di essere libri di storia, libri di storia ebraica, ma non si tratta di storiografia in senso stretto, si tratta invece della storia della relazione tra Dio ed Israele. Ciò è valido anche per i libri propriamente profetici e per i Salmi, ma probabilmente non può dirsi per i libri sapienziali. Così testi giuridici o liturgici sono stati inseriti nella narrazione dell’esodo e, sebbene questo non sia un elemento costante, è riconosciuto da studiosi come Robinson, che sostenne che l’Antico Testamento “è formalmente un libro di storia nel quale sono stati incorporati altri generi letterari”, e Bultman, che scrisse che “la storia costituisce il tema principale della letteratura dell’Antico Testamento”.

Un aspetto quasi moderno assume la narrazione storica nella successione al trono davidico in 2 Samuele 9-20, ma i compilatori vanno oltre la cronaca che elenca i semplici fatti in quanto tali, partono dalla situazione presente, ne ricercano le cause nel passato, elencano gli avvenimenti e le figure rilevanti in funzione di tale spiegazione (a tal riguardo il Faraone non ha nome, i patriarchi non sono associati ad alcun nome che permetta di stabilire un qualche sincronismo tra loro e fatti a loro contemporanei…).

Tutto ciò spiega anche perché l’Antico Testamento è avaro delle proposizioni dottrinali che invece caratterizzano la tradizione occidentale, soprattutto medioevale. La fede d’Israele non è interessata a definizioni, ma alla storia intesa come azione dell’esperienza religiosa. Dio non è dato da definizioni, ma dalle sue azioni: “Io sono Jahvé, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dall’Egitto, dalla condizione di schiavitù” (Esodo, 20,1). Dio quindi si rivela al popolo ebraico non in dogmi ma agendo nella sua storia.

Sorge poi il problema del rapporto tra mito e storia nei testi dell’Antico Testamento. Ebbene anche in questo caso la storia in qualche modo prevale: antichi motivi mitici vengono ripresi ed inseriti in un chiaro contesto storico perdendo i tratti salienti del proprio carattere. Per esempio, il mito delle nozze tra gli dei nel mondo ebraico compare come matrimonio tra Jahvé ed Israele, tema caro ai profeti Osea, Geremia ed Ezechiele. Ancora, il mito dei Titani che cercano di scalare il cielo torna nelle vicende della Torre di Babilonia (Isaia 14). Anche il mito della lotta contro il caos primordiale compare in Isaia 51,8 con il caos divenuto immagine dei nemici di Dio, ovvero l’Egitto e Babilonia. Più evidente ancora è tutto ciò nel tentativo di integrare, in Genesi 6, 1-4, il mito dei giganti nella storia divina. Tutto ciò non significa che il mito è stato superato o eliminato, ma solo rielaborato in un contesto ancora una volta storico.

In questo campo Israele è molto più avanti sia dei popoli dell’Oriente, sia di quelli dell’Occidente, ha il senso del reale, del tempo e dello spazio, lì dove le religiosità greca ed egiziaca non l’hanno. A riprova di ciò sussistono chiare fonti di supporto storiografico: le narrazioni dei patriarchi sarebbero rimaste sospese nel limbo delle congetture se non si fossero rinvenuti testi a Mari e Nuzi con precisi riscontri.

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: J. Alberto Soggin, Introduzione all’Antico Testamento

 

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