L’eroe criminale. Giustizia politica e comunicazione nel XVIII secolo

Con l’Eroe criminale Pasquale Palmieri, professore di Storia Moderna alla Federico II di Napoli, ci regala un affresco della città partenopea alla metà del XVIII secolo carico di significati.

Il caso emblematico del «seppellito vivo», un fatto di cronaca giudiziaria del 1757 che vedeva imputato il frate agostiniano Leopoldo di San Pasquale condannato per eresia, frode e scandali sessuali da un tribunale ecclesiastico e che si trascinerà negli anni successivi, diventa qui il pretesto per raccontare l’impatto fondamentale degli strumenti mediatici sull’opinione pubblica del periodo.

Quella descritta da Palmieri è una Napoli caratterizzata da una società civile estremamente vivace. Il regno aveva un ruolo chiave negli equilibri politici e religiosi nell’ambito di un’area molto vasta che andava dalla penisola iberica, a quella anatolica passando per le coste africane. E questa vicenda si inquadra in un contesto se non proprio di scontro aperto tra lo Stato e la Chiesa, certamente condizionato dalla volontà della monarchia di limitare le prerogative ecclesiastiche rafforzando l’assolutismo della dinastia regnante.

Questo affare giudiziario, catalizzando l’attenzione di una larga parte della città, venne dunque utilizzato per lo sviluppo di vere e proprie strategie comunicative politico istituzionali che sarebbero andate a coinvolgere direttamente aspetti economici e culturali allo scopo di ridimensionare il ruolo delle istituzioni ecclesiastiche cittadine.

In tutto questo la comunicazione, nelle sue varie forme, acquisiva un ruolo centrale per mettere in correlazione diretta la volontà delle élite e il magmatico popolo napoletano.

È dunque il ruolo dei mezzi di comunicazione nella società dell’epoca a formare il cuore di questo studio, evidenziando come questi ultimi nelle varie tipologie che andavano dalla stampa, ai manoscritti, alle immagini, ai gesti, e all’oralità, concedendo sempre più familiarità e confidenza al corpo sociale in relazione agli eventi politici, sociali e giuridici che attraversavano la città, obbligava ora le classi dominanti a fare i conti anche con le emozioni del popolo.

Nella dialettica del rapporto tra la realtà sociale e le sue rappresentazioni, ed in particolare sulle costruzioni mediatiche legate ai personaggi criminali, Palmieri fa dialogare passato e presente restituendoci un’immagine piuttosto nitida dell’impatto della cronaca criminale sulla società e della sua funzione mediatica.

Un vivace mercato editoriale ed un dinamico mondo intellettuale che poteva fregiarsi di riformatori di caratura internazionale, sembrarono cogliere la palla al balzo rilanciando da un lato una serie di produzioni giuridico-letterarie che coinvolsero sempre più la città nelle dinamiche giudiziarie, dall’altro una serie di riforme politico-sociali volte ad intaccare i privilegi ecclesiastici.

Finalmente la monarchia cominciava a prendere sul serio l’opinione pubblica.

Dunque il caso del «sepolto vivo» non ebbe risvolti unicamente legati alla riforma della giustizia, e Palmieri ci mostra inoltre come espedienti retorici tipici della letteratura di genere d’avventura, picaresca, finirono per condizionare la narrazione degli eventi di cronaca proprio allo scopo di facilitarne amplificazione ed assimilazione in una platea di pubblico sempre più vasta, per fargli acquisire una vera e propria valenza sociale. E in tal senso per comprendere al meglio il meccanismo che spingeva all’epoca gli operatori del settore a promuovere come informazioni cronachistiche quelle che in realtà erano storie ricalcate su canoni narrativi della letteratura, spacciati per “fatti realmente accaduti”, basterebbe riflettere sull’appeal che hanno ancora oggi le storie narrate attraverso le nuove forme della comunicazione, ed in particolare il cinema o la televisione, quando presentano la dicitura “tratto da una storia vera”, a testimoniare il fatto che si tratta di uno strumento ancora valido.

Così, le narrazioni della cronaca giudiziaria rese fruibili ai più attraverso questi nuovi strumenti mediatici aprivano di fatto al pubblico le aule dei tribunali, sino ad allora appannaggio degli addetti ai lavori, e fornivano inoltre un input utile a convogliare l’opinione pubblica nella vita sociale e politica della città.

Insomma Palmieri ci parla di un’epoca che si avviava a grandi passi verso un punto di non ritorno, verso la Rivoluzione che cambierà per sempre le sorti dell’Europa e del mondo, anticipata però, come testimonia questa ricerca, da una altrettanto determinante rivoluzione della comunicazione che schiudeva le porte della cosa pubblica alle masse e concedeva un peso specifico alla loro opinione.

Un ruolo che il sistema massmediale dopotutto mantiene ancora oggi a seguito di quella che si può considerare  una nuova rivoluzione mediatica che ha convogliato ancora l’opinione pubblica nell’agone politico attraverso le emozioni espresse ora con i tweet, con i post, e con i like nel contesto di un mondo sempre più interconnesso e social, in cui le élite preferiscono andare su internet piuttosto che in parlamento proprio per avere un rapporto diretto con le masse stesse, rilevando l’importanza del mezzo, proprio come nella seconda metà del Settecento la classe dirigente borbonica coglieva le potenzialità del controllo della opinione pubblica stimolata alla partecipazione attraverso la mediaticità dell’epoca: “Se il processo aveva attivato gli impulsi partecipativi della popolazione, il potere borbonico era riuscito ad incanalare quegli stessi impulsi in una direzione omogenea, per conferire loro un peso politico e per affermarsi come garante dell’unità del paese”.

Siamo probabilmente agli albori di quello sviluppo mediatico e delle dinamiche del controllo dello stesso che con il passare dei secoli hanno dato un ruolo sempre più determinante all’opinione pubblica nella politica. Una condizione che a prescindere dai nuovi strumenti oggi a disposizione si salda dunque con la funzione che la mediaticità, nelle sue varie forme, ha sempre avuto, quella cioè di mettere in correlazione in qualche modo le élite con le masse.

Questo agevole volume presenta inoltre un solido impianto bibliografico, che testimonia l’accuratezza della ricerca, e la capacità di indagare a fondo il tema trattato.

Palmieri concede al lettore non solo uno strumento per comprendere le dinamiche di connessione tra lo sviluppo degli strumenti mediatici nella seconda metà del ‘700 a Napoli e il ruolo sempre più importante delle masse nella politica, ma anche un importante spunto di riflessione su quello che stiamo vivendo oggi.

 

 

 

Autore articolo e foto: Giuseppe De Simone, laureato in Scienze Politiche indirizzo storico, presso la Sapienza – Università di Roma, con una tesi in Storia Militare su “L’esercito francese e la Guerra d’Algeria”, è studioso di storia del Mezzogiorno d’Italia.

Bibliografia: Pasquale Palmieri, L’eroe criminale – Giustizia, politica e comunicazione nel XVIII secolo, il Mulino, Bologna, 2022.

Giuseppe De Simone

Giuseppe De Simone, laureato in Scienze Politiche indirizzo storico, presso la Sapienza – Università di Roma, con una tesi in Storia Militare su “L’esercito francese e la Guerra d’Algeria”, è studioso di storia del Mezzogiorno d’Italia.

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