L’omicidio del Viceré di Sardegna
Nella seconda metà del Seicento le crescenti difficoltà finanziarie della Corona, causate dagli enormi costi delle guerre, avevano comportato anche nel Regno di Sardegna una enorme pressione economica e fiscale e vistose restrizioni delle mercedes, delle pensioni e degli uffici concessi alle élites locali ed un taglio radicale di quelle consuete licenze d’esportazione di grano esenti da tasse che consentivano un provvidenziale riequilibrio dei bilanci delle case nobiliari. In Sardegna si viveva oltretutto un periodo segnato da una violenta pestilenza che decimò la popolazione e distrusse l’agricoltura. In questo clima si fecero più vigorosi i reclami della nobiltà locale, riunita in parlamento a Sassari dal Viceré Francisco Fernández de Castro Andrade, Conte di Lemos, che guidava lo Stamento Militare, uno dei tre bracci del parlamento sardo. Il viceré ottenne il donativo richiesto ma dovette acconsentire alle richieste dei nobili capeggiati da Agostino di Castelvì, Marchese di Laconi, e cedere ai sardi l’assegnazione della metà degli uffici civili e pure i governatorati di Cagliari e Sassari.
Tutto ciò a Filippo IV non poteva piacere e così fu chiaro col nuovo viceré Manuel de los Cobos, Marchese di Camarassa: bisognava ristabilire la tranquillità, tornare al passato, ripristinare le antiche tradizioni dell’isola, frenare le rivalità locali e assicurare stabilità sociale e politica. Il nuovo Parlamento, convocato per restaurare il vecchio andamento delle cose, registrò però la forte opposizione del Marchese di Laconi che invece pretendeva ancor più potere per la nobiltà locale. Ad essa infatti restavano precluse la carica di Viceré, di Reggente di Cancelleria, di Arcivescovo di Cagliari… Il Marchese di Camarassa respinse le richieste del nobile sardo e volle inviare in Spagna un suo uomo di fiducia che riferisse quanto accaduto alla corte. Il Marchese di Laconi l’anticipò recandosi di persona a Madrid.
Il Viceré, intanto, sciolse il Parlamento e, al posto del Castelvì nello Stamento Militare, nominò Artaldo Alagon, Marchese di Villasor, figlio di Blasco Alagon che aveva capeggiato i nobili sostenitori della Corona. Come ci si poteva immaginare, invece di calmarsi, la situazione peggiorò. Il Marchese di Laconi, tornato in Sardegna senza aver ottenuto nulla ed esautorato pure dal ruolo che ricopriva prima del viaggio, prese a screditare pubblicamente le autorità spagnole forse per capeggiare una rivolta. Sicuramente divenne un personaggio scomodo e nella notte del 20 giugno del 1668, fu assassinato, crivellato di archibugiate e colpi di pugnale.
Quando la notizia si diffuse, una folla inferocita riempì le strade di Cagliari ritenendo responsabile del misfatto proprio il Viceré. L’assassinio fu presentato dai Castelvì come una sorta di martirio, fu strumentalizzato per dar voce alle rivendicazioni delle élites locali. Fu imbastito un primo processo per ordine della Real Udienza mentre si diffondevano voci di congiura per eliminare il Marchese di Camarassa. I d’Alagon avvisarono il Viceré che in molti lo reputavano responsabile dell’assassinio e si sarebbero vendicati, ma egli, per confermare la sua innocenza, non fuggì, né si curò di prendere provvedimenti. La rabbia divenne intrigo e, un mese dopo l’assassinio del Marchese di Laconi, fu ucciso anche il Viceré. Era il 21 luglio del 1668 e la sua carrozza, mentre rientrava a casa con la famiglia dalla Festa del Carmine, fu colpita da una serie di schioppettate presso la casa del Marchese di Villacido, della fazione dei Castelvì. La carrozza percorse in fretta le strade ed altri colpi di moschetto colpirono la scorta vicereale.
La morte del Viceré fu interpretata in Spagna come una vera e propria ribellione contro la Corona, il probabile inizio di una rivolta generalizzata, e si comandò al Principe di Piombino, di far sbarcare alcune truppe mentre altre ne giungevano da Napoli e Sicilia. In quella situazione di crisi, il potere fu immediatamente assunto dal Governatore di Cagliari, Bernardino Matías de Cervelló, la famiglia del Marchese di Camarassa fu protetta e scortata con delle galee a Barcellona. Intanto da Madrid, per recuperare il pieno controllo dell’isola, fu inviato un nuovo viceré, il napoletano Francesco Tuttavilla, Duca di San Germano, esperto uomo d’armi, reduce dalla Guerra del Portogallo, e abile uomo politico, ex Viceré di Navarra.
Il Duca di San Germano giunse a Cagliari con tre galee spagnole e sei genovesi, fu ricevuto da una salve d’artiglieria e scese con una compagnia di fanteria spagnola che lo accompagnò sino alla sua nuova dimora, presenziando e proteggendo la sua persona. Fu subito da lui istituito un processo, con indagini, interrogatori, relazioni. Alcuni nobili fuggirono in Gallura, altri progettarono di raggiungere la Francia ma furono fermati sulle coste settentrionali della Sardegna e riportati in città. In tutto si individuarono settanta persone che avevano legami con la congiura, molti di essi furono esiliati. Comunque dal processo emerse che l’assassinio del Marchese di Laconi ebbe in realtà delle ragioni sentimentali.
La Marchesa di Laconi, Francesca Zatrillas, moglie del defunto, aveva un amante, Silvestro Aymeric, cadetto del Conti di Villamar, e furono loro a ordire l’omicidio di Agostino di Castelvì e a farne ricadere la responsabilità sul Viceré. I due avvalorarono la storia scappando insieme a Nizza, dove si sposarono mentre il Duca di San Germano condannava l’intera famiglia Castelvì, colpevole di tradimento e lesa maestà. Gli accusati furono condannati a morte in contumacia, in quanto scappati o datisi alla macchia, protetti dai banditi. I Savoia non vollero consegnare i due amanti alla Sardegna, tuttavia Silvestro Aymeric fece un passo falso.
Insieme ad altri due colpevoli, Francesco Cao e Fracesco Portugues, con un inganno, fu attirato in Sardegna, a Vignola, da Giacomo Alivesi. I tre qui si ritrovarono accolti dagli uomini del Viceré che li trucidarono nel sonno. Le loro teste, riempite di sale, vennero infisse su picche ed esposte davanti ai prigionieri, che camminarono fino a Cagliari per ben 12 giorni, passando di paese in paese. Il 15 anche Jacopo Artaldo di Castelvì, Marchese di Cea, cugino del defunto Marchese di Laconi, venne catturato e decapitato. A crudele monito affinché quanto avvenuto non potesse più accadere il Duca di San Germano ordinò di esporre le teste sulle torri di San Pancrazio e dell’Elefante, qui rimasero ben 17 anni. Il traditore Alivesi ebbe in cambio i feudi di Siligo e Banci confiscati al Marchese di Cea. La Marchesa di Laconi, Francesca Zatrillas, non si mosse da Nizza.
Autore articolo: Angelo D’Ambra
Bibliografia: J. Revilla Canora, El asesinato del virrey marques de Camarassa y el pregon general del duque de San German