Napoleone a Sant’Elena

Lazzaro Papi nei suoi Comentarii della Rivoluzione francese così ricostruì la vita di Napoleone a Sant’Elena.

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Accompagnarono Napoleone nel suo esilio, con consentimento del governo inglese, il generale Bertrand con sua moglie e figli, il conte e la contessa di Montholon, il conte di Las Cases, il generale Gourgand, il chirurgo O’Meara irlandese, nove servitori e tre serve, e dopo una lunga e noiosa navigazione approdarono a Sant’Elena il 16 di ottobre di quest’anno (1815). Gl’Inglesi, per ordine del loro governo, non diedero a Napoleone, tanto su la nave, quanto a Sant’Elena, altro titolo che quello di generale, benchè nel resto il trattassero con molto riguardo. Ma i pochi Francesi, che presero la generosa risoluzione di tenergli compagnia nella sua disavventura, continuarono a serbare con lui il medesimo stile, usando gli stessi titoli e riverendolo nientemeno che quando egli era sul trono. Del resto, egli stesso, risoluto di voler rappresentare la parte d’Imperatore a Sant’Elena come in Parigi, esigea le medesime cerimonie e formalità già usate nella corte delle Tuilerie ; il che se a smisurata superbia od a buon consiglio si dovesse attribuire, lascierò che da altri sia giudicato; poichè sembra certo che la speranza di fuggire ancora da quell’isola, come già dall’Elba, e di ritornare qual era, non lo abbandonasse giammai, e che a ciò fosse sempre rivolto ogni suo pensiero. Amaramente poi in sè medesimo si rodea, nè celava il suo cruccio, perchè gl’Inglesi non vollero mai consentirgli il titolo vano d’Imperatore, nè egli comprese mai quanto, invece di quella fanciullesca izza ch’ei ne prendea, sarebbegli stato dicevole e dignitoso un nobile e magnanimo disprezzo pel cambiamento di sua fortuna. Tre commissarii, uno russo, il conte di Balmaine, uno austriaco, il barone Sturmer, ed uno francese, il marchese di Montchenn, furono mandati a Sant’Elena per sopravvedere la buona e sicura custodia del prigioniero. Grandemente dolse a Napoleone che l’Imperatore d’Austria suo suocero avesse trascurato quest’occasione di dargli qualche nuova di Maria Luisa e del figlio. Quei principi, che quand’ei li spaventava, il chiamavano fratello, sembra che sdegnassero, or ch’egli era caduto, il rammentarsi di lui, nè volessero punto riconoscere quel rischio, a cui erano stati esposti, s’egli non avesse troncato il corso della francese rivoluzione. Sopra quello scoglio lontano dall’Africa quattrocento leghe, seicento dall’America e quasi milleottocento dall’Europa, egli era con gran sollecitudine e severità in vigilato, e la forza ora sotto metteasi colui che era solito dire, tutto al mondo essere la forza. Quindi senza molta modestia ei comparava sè stesso al Prometeo della favola incatenato e con fitto sul Caucaso per avere osato rapire e portare agli uomini il fuoco celeste. Coloro, ai quali n’era commessa la guardia, pareano imaginare ch’egli avesse a mettere le ali, tanto era il timore che sapesse trovare qualche via di fuggirsene, come già dall’Elba. Egli non potea oltre certi confini guardati da sentinelle percorrere l’isola, fuorchè in compagnia d’un ufficiale e d’un soldato, che nol doveano mai perdere di vista.

Quindi il ministero britannico non fuggì l’accusa che non già per assicurare laquiete dei popoli, ma per isfogo d’odio e di vendetta soggettasse il prigioniero a tanta strettezza; e quindi gli amici ed ammiratori di questo caricarono d’ogni sorta d’ingiurie il suo custode, ch’era il cavaliere Hudson Lowe, governatore di Sant’Elena, tacciandolo di soverchia asprezza e di barbarie, e facendo contro di lui uno schiamazzo incredibile. Ove però si consideri l’accortezza e l’audacia, che Napoleone avea dimostrata in saper ritrovare non pensati ripieghi, le grandi somme di danaro che stavano in suo potere, i molti partigiani ch’egli avea, operosi ed intolleranti di loro sorte, i suoi più stretti parenti ricchi ed assai potenti tuttavia per arrecargli in qualche modo ajuto, forse non apparirà di soverchio se vera quella vigilanza. Del resto, il mantenimento di lui a Sant’Elena costava non meno di dodicimila ghinee all’anno. Questo dispendio però non durò molto; poichè Napoleone, macerato dalla tristezza e dal dispetto, che per ripugnanza alle restrizioni impostegli lo indusse ad una maniera di vita molto sedentaria dopo averne menato una cotanto attiva ed infaticabile, inasprito dalle sue sventure, crucciato da tante rimembranze di grandezza e di fortuna, infiacchito dal clima ed attaccato da una lenta infiammazione di fegato, o, secondo altri, da una scirrosa affezione nello stomaco, cessò di vivere ai 5 maggio 1821, non compiuti ancora i cinquantadue anni.

Tale fu il fine di quest’uomo veramente straordinario, che quasi tutti i troni dell’Eurrpa avea avuti a sua posta: di quest’uomo, a cui più principi anche sovrmi aveano ambito e chiesto di servire come paggi d’onore od aiutanti di campo; di cui tutti i monarchi europei (tranne il re d’Inghilterra) avevano cercato l’amicizia e temuto lo sdegno; di quest’uomo, che invece di farsi fondatore di libertà, la quale egli aveva finto d’amare per innalzarsi, non solamente se ne fece oppressore, ma insegnò ancora nuovi modi d’aggiogare e vessare i popoli; di quest’uomo finalmente, che avrebbe potuto rendere all’umanità i più grandi e durevoli benefizii, e le fece i più grandi mali; il cui nome trapasserà nei lontani secoli con quello dei più illustri capitani e dei più famosi conquistatori, ma non già con quello degli uomini veramente grandi, cioè dei benefattori dell’umano genere od almeno della patria loro.

 

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