Umberto I nel ricordo di Urbano Rattazzi

Urbano Rattazzi, Ministro della Real Casa, così ricordò re Umberto I nel decimo anniversario della morte sulle pagine della Rivista di Roma.

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Invitato a parlare del compianto Sovrano, ho vinto l’emozione che ognora mi turba, quante volte il mio pensiero riconoscente e devoto ricorre alla sacra memoria del Re Umberto; ho su. perato l’esitanza, che mi viene dal riconoscere le forze mie inadeguate a trattare convenientemente di così elevato argomento, ed ho obbedito alla cortese richiesta.

La sincerità della mia parola mi farà perdonare la modestia della forma, che a me non parrebbe mai abbastanza nobile e alta per ricordare il migliore dei Re, del quale, sinchè avrò vita, il caro ricordo rimarrà impresso nel mio cuore con sentimenti incancellabili di riconoscenza e di ossequente devozione. Italia tutta ha reso omaggio alla bontà del compianto Re, e la pubblica coscienza lo ricorda ognora coi nomi di Re buono, benefico e coraggioso. L’affetto ispirò all’Augusta Vedova, che meglio di tutti lo conobbe, e più di tutti per l’altezza dell’ingegno e la nobiltà dell’animo potè comprenderlo, le memorabili parole che ognuno di noi ricorda con emozione: Era buono e leale; nessuno più di lui amò il suo popolo; volle il bene di tutti, non fece e non desiderò mai il male ad alcuno l I ventidue anni del Regno di Umberto I furono una manifestazione costante, continua di questa bontà, di questo desiderio del pubblico bene. Egli diede sempre l’esempio della riverenza e dell’affetto alla memoria di coloro, che più fortemente cooperarono alla redenzione d’Italia. Dell’Augusto suo Genitore, che in ogni atto della sua vita pubblica e privata dimostrò venerare, disse nel primo discorso pronunciato innanzi al Parlamento: Io non ambisco che meritare questa lode: « Egli fu degno del Padre… » – Di Cavour e di Mazzini volle che sorgessero monumenti in Roma; a Giuseppe Garibaldi, sino all’ultimo giorno di vita di questo eroe, conservò deferente amicizia, e si recò col Principe di Napoli ad onorarne la tomba in Caprera; ed infine rese pure omaggio ad Aurelio Saffi, rimpiangendone sinceramente la morte… Non vi fu veterano delle patrie battaglie che, scorto dal Re, non ricevesse un segno di onore, l’espressione aperta, efficace di gratitudine. È stato generoso sempre e verso tutti. Modesto sino alla parsimonia per sè, non curante, anzi rifuggente da ogni agio e mollezza, facendosi un dovere di conservare abitudini sobrie e militari, pur avendo gusto squisito di eleganza e di arte per il decoro della sua casa, che considerava la casa della Nazione, era poi largo senza limiti, quante volte si presentava occasione di soccorrere ad una calamità pubblica, o ad una sven. tura privata. Più di una volta sulla pupilla dei grandi occhi suoi leali apparve, nè seppe reprimere Egli, così fiero, una lagrima di commozione per aver potuto giovare ad un infelice, per essere riuscito a lenire un dolore. « Questo », Egli diceva, « è il solo vero conforto alle infinite amarezze della Corona! » Del coraggio suo spinto sino all’eroismo, diede le notissime prove nella battaglia di Custoza del 1866, a Verona quando l’Adige ruppe gli argini e invase la città, a Busca, a Casamicciola, a Napoli nel 1884, quando il colera vi faceva strage. Ma non si è intieramente giusti verso la Memoria di Re Umberto, quando il giudizio pubblico si ferma a ricordarne con affettuoso encomio le eminenti doti di cuore. Io confido, che la storia imparziale, giudicando il valore suo dai pensieri manifestati e dagli atti compiuti dal Governo sotto l’impulso spontaneo e diretto di Lui, renderà anche onore all’ingegno, al lavoro indefesso del compianto Sovrano, che pure lasciò orma profonda del suo Regno nella vita del paese. – Se il Re Vittorio Emanuele II ebbe a superare difficoltà e pericoli epici per giungere a fare l’Italia una, indipendente e libera, non minori cimenti e ostacoli ha sostenuto il Re Umberto per rendere più salda l’Unità italiana, che passioni di partito all’interno e cupide gelosie all’estero hanno lungo tempo minato. Nessun Italiano più di Lui e più nobilmente di Lui amò la patria, che voleva grande, onorata, ci vile e più forte nella sua Roma intangibile. Egli soleva dire, doversi mirare al conseguimento di così sublime intento con l’innalzamento morale e intellettuale e col miglioramento economico delle classi lavoratrici, ma inoltre con la conservazione e il rinvigorimento dell’Esercito e della Marina, custodi dell’indipendenza e dell’onore nazionale. E a questo duplice scopo svolse l’incessante opera sua attraverso a sacrifici, a fatiche e a dolori, che non sa nè può immaginare, chi non ha avuto l’onore di esserne stato all’immediata dipendenza. Comprese e senti profondamente la questione sociale; e pur essendo ossequente alle norme costituzionali sino allo scrupolo, più di una volta richiese dai ministri la presentazione di leggi per riforme liberali, economiche e sociali, intese a favorire chi soffre, e chi lavora. Appena lasciata Napoli, nel 1884, dopo il colèra, non diede tregua al Governo, sinchè non fu presentata e approvata da legge di risanamento, da lui personalmente ispirata con intendimenti igienici e morali. Nel settembre del 1888, in Romagna, essendo ancora sotto l’impressione di una di quelle entusiastiche dimostrazioni, che rivelavano tutto lo slancio di quel popolo generoso e forte, il Re Umberto rivolse al Presidente del Consiglio di allora il seguente telegramma: Fu sempre mio convincimento, che la libertà debba essere la base immutabile della nostra vita nazionale. Ma queste popolazioni, che oggi si raccolgono intorno a me con grande affetto, mi dicono qualcosa di più, che la gratitudine per il libero reggimento, nel quale vivono. Esse mi esprimono il disagio economico, in cui si dibattono, e invocano l’esame di alcuni problemi, dei quali chieggono la soluzione al mio Governo. Fin d’ora comprendo le difficoltà, che si oppongono alla soddisfazione di parecchi di questi desideri. Ella vorrà però studiarli d’accordo coi suoi colleghi, e riferir. mene. Mettiamoci all’opera con amore e col fermo proposito di riuscire, e riusciremo.

E nel 1889 affermava innanzi al Parlamento: Nel bene degli umili ho riposto la gloria del mio regno, onde esca, col consenso di tutti, la maggior forza d’Italia. A questo fermo suo volere, alla costante sua insistenza e vigilanza, è dovuto specialmente se venne stabilito nella nostra legislazione il diritto al soccorso per gli inabili al lavoro; se fu votata la legge per gli infortuni; se furono dati provvedimenti per combattere la pellagra, abolita l’imposta governativa sulle farine e quella del macinato; esonerati dalla tassa di ricchezza mobile i salari degli operai, e istituita la cassa di previdenza per la vecchiaia. Tanto era sempre presente al nobile animo suo il pensiero della classe operaia, che ricorrendo il 25° anniversario del suo matrimonio con la benamata Regina Margherita, non volle, fra il clamore delle feste, dare miglior prova della sua soddisfazione di quei giorni, che istituendo un’opera pia per soccorso agli orfani degli operai deceduti per infortunio sul lavoro. E questa istituzione, tuttora esistente, beneficamente operante, si intitola dai nomi gloriosi di Umberto e di Margherita di Savoia. Nè minori pensieri e cure consacrò all’Esercito e alla Marina, di cui i cuori battevano all’unisono col suo. Nell’Esercito e nell’Armata navale Egli ravvisava la più salda rappresentanza dell’unità della patria, e tutto ciò, che potesse in qualsiasi modo riferirsi a quest’arca santa, vibrava nell’animo di Lui, più che cosa sua personale. Durante il suo regno furono costruite nei cantieri nazionali le migliori navi del mondo, per cui la nostra Marina ebbe per un periodo, disgraziatamente breve, il primato per la qualità delle navi. Difese e sostenne sempre l’integrità dell’Esercito, e quando le difficoltà delle finanze dello Stato fecero sorgere la proposta di riduzione di almeno due corpi di armata, Egli, che pur rifuggiva da frequenti cambiamenti di ministeri, affrontò senza dubitare due crisi ministeriali a breve scadenza l’una dall’altra. E uguale resistenza oppose, allorchè nei giorni seguiti a una triste ma onorata giornata campale, combattuta dai valorosi nostri soldati in lontane regioni, gli fu ripresentato uguale disegno, rispondendo essere Egli pronto a sacrificare sè stesso, anzicché lasciare compiere atto, che diminuisse la compagine, e per giunta, in quel momento offendesse l’amor proprio del suo Esercito. In tutte le questioni di politica interna ed estera senti così alto per il bene e l’onore d’Italia, che se i propositi suoi fossero stati eseguiti senza le gare e le crisi, che hanno frequentemente turbato la vita parlamentare, il paese nostro sarebbe molto più avanti nella via del progresso sociale e nella considerazione delle altre nazioni. Ebbene, questo Sovrano, che fu così nobilmente buono e cavalleresco, che a niuno nocque, a molti giovò, che amò la Patria più di sè stesso e della sua famiglia, doveva, dopo due vani attentati, finire i suoi giorni per mano assassina! Nella tragica, fulminea sua morte gli fu almeno risparmiato il dolore di sapere, che l’infame regicida era italiano! Certamente nuocciono alla mente e al cuore del popolo coloro, che con insegnamenti, discorsi ed esempi, lo incitano a sentimenti di odio di di classe, e travisando il vero, tolgono o tentano di togliere dall’anima delle popolazioni ogni ideale di patria, di religione e di famiglia, quasichè il solo miglioramento economico debba essere ragione e scopo dell’umana esistenza! Ma noi non saremmo imparziali, se a qualsiasi dei partiti, anche dei più estremi, attribuissimo la diretta responsabilità di questo, che con ragione fu detto il più grande delitto del secolo XIX. Pur troppo in ogni tempo, in ogni luogo e con qualsiasi forma di governo sono sorte manifestazioni della degenerazione di uomini, che rifuggenti o rifiutati dalle società civili, vivono in turpi consorzi, incitandosi gli uni gli altri a delitti, che nelle alcooliche loro menti assurgono all’onore di clamorosi atti politici. Costoro, nella malvagia loro ignoranza, mirano a chi più sta in alto, non solo nell’intento di sfogare le loro aberrazioni d’odio, ma ancora nella speranza di intimorire popoli e governi, ch’essi vorrebbero far scendere al loro stato di abbrutimento e alla dissoluzione di ogni civile società. I cupi sogni di questi degenerati, qualunque sia il loro nome e la loro setta, non si avvereranno mai, ed anzi i loro delitti produrranno ef fetti contrari a tali intenti. Mai, quanto nei giorni che seguirono il tristissimo 29 luglio 19oo, l’Italia si senti e si palesò stretta da vincoli di amore e di devozione alla Casa di Savoja, cui deve la sua unità e la sua indipendenza, e una corrente irresistibile di patriottismo scosse l’Italia tutta dalle Alpi all’estrema punta della Sicilia, col rimpianto dell’amato Re Umberto e con lo spontaneo, entusiastico giuramento di fedeltà al Re Vittorio Emanuele III. Ed oggi, nel rendere onore alla sacra memoria di Re Umberto, rivolgiamo un pensiero riverente all’Augusta sua Vedova e al Re Vittorio Emanuele III. A S. M. la Regina Madre di cui il virtuosissimo, fulgido nome è indissolubilmente unito a quello dell’Augusto suo consorte in ogni opera nobile e pietosa e nell’amore del popolo italiano, giunga l’eco della parte, che ognora prendiamo all’incancellabile suo dolore, e dell’ossequio costante all’Augusta Sua Persona. Al Re Vittorio Emanuele III mandiamo l’espressione della nostra devozione sincera e leale, che non verrà mai meno, nella prospera come nell’avversa fortuna, fidenti in Lui, auspice e mallevadore della unità della Patria, in Lui che con l’Augusta sua Consorte è esempio di ogni virtù pubblica e privata.

Se noi Italiani, ponendo in tacere le grette gare di partito, unendoci tutti nell’amore efficace per la cara nostra terra, ci adopreremo concordi al solo intento di rendere l’Italia prospera all’inl’interno, rispettata all’estero, avremo reso l’omaggio più sincero che si possa tributare alla sacra memoria del Re Umberto col compimento del più caro e costante dei suoi voti!

Ecco, on.mo amico, quello che senza indiscrezione potevo esprimere pubblicamente riguardo al compianto ed amatissimo Re Umberto.

Ella mi abbia con sentimenti amichevoli e cordiale considerazione

dev.mo aff.mo Urbano Rattazzi

 

 

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