Il pilota Vincenzo Ferri a difesa dei cieli italiani

Con la storia del pilota Vincenzo Ferri, vorrei dare un contributo significativo su come, nel corso della seconda guerra mondiale, pochi coraggiosi aviatori si alzavano in volo per la difesa di Napoli contro formazioni di bombardieri americani che seminavano lutto e terrore sui cittadini inermi.

Morire l’ultimo giorno di guerra. Questo fu il destino del sottotenente di complemento Ferri. Perse la vita il giorno prima della proclamazione dell’Armistizio in un vano attacco contro una formazione di bombardieri statunitensi che dall’indomani non sarebbero più stati considerati nemici.

Diversi testimoni oculari hanno riferito la notizia del suo abbattimento e, uno di questi, Giuseppe Scandone, annotò con precisione quanto accadde nella sua Montella. Il prof. Scandone era ragazzo all’epoca, studiava lingue a Napoli, poi fece da interprete per le truppe anglo-francesi che transitarono per il paese di Montella provenienti da Salerno e diretti a Napoli. In quei giorni Scandone si divertiva con gli amici ad osservare i duelli ad alta quota con le scie di condensa, tra i caccia dell’asse e i bombardieri americani. Egli avvistò Ferri ed assistette al suo tragico tentativo di atterrare sull’altopiano di Verteglia – che sarà lungo qualche chilometro, largo almeno uno, e d’estate si presenta pieno di prati mentre d’inverno si allaga, a volte si ghiaccia per il freddo. Così commentò la fine del pilota: “Successivamente, poco più tardi, furono trasportati in un sacco a dorso di mulo e deposti nella Collegiata i resti del tenente pilota Ferri il cui velivolo, un Macchi 202, era andato a schiantarsi, dopo un atterraggio non riuscito, presso la sorgente di Sant’Anna, nella pianura delle Acque Nere. Fu constatato che l’eroico pilota era stato colpito alla schiena da un proiettile di mitragliatrice di un aereo della squadriglia di ‘fortezze volanti’ in missione di guerra su Napoli. Ma la nostra euforia per aver appreso della fine della guerra (come noi credevamo) aveva fatto passare in secondo luogo il recupero del corpo dello sfortunato aviatore”.

Andiamo ai fatti.

La mattina del 7 settembre l’unità composta da 7 apparecchi si alzò in volo al comando del tenente salernitano Orfeo Mazzitelli, asso della Regia Aeronautica, per cercare di intercettare una formazione di circa 100 bombardieri B-17 che rientrava alla base dopo aver colpito le installazioni aeroportuali di Foggia.

La sproporzione fra le forze era evidente. Ogni B-17 poteva disporre di 13 mitragliere da 12,7. Inoltre, essi volavano in formazione serrata per presentare un vero e proprio muro di fuoco ai caccia che avessero tentato di attaccarli. Da parte loro i Macchi della Regia Aeronautica disponevano di 2 sole mitragliere da 12,7 e, in alcuni casi, anche di 2 da 7,7 mm.

Cosa accadde lo possiamo apprendere dalla commossa lettera che il tenente Mazzitelli scrisse da Salerno alla sorella di Vincenzo il 30 aprile 1945 e che poniamo alla chiusra di questo racconto: “Gentile Signorina, in questo momento ho ricevuto la sua raccomandata e con infinito dolore espleterò questo increscioso compito. Il suo Enzo era nella mia squadriglia e partimmo insieme uno degli ultimi giorni di guerra nel settembre del 1943, per una missione di guerra. Conoscendo il suo ardente impeto disposi che si fosse immediatamente messo dietro di me che funzionavo da capo pattuglia, e dietro di lui seguiva un anziano pilota, con il preciso compito di non abbandonarlo mai qualora si fosse allontanato dalla nostra formazione. Queste precauzioni furono da me prese perché il caro Enzo era ai suoi primi combattimenti. Un primo scontro con gli aerei nemici lo abbiamo avuto sulle montagne calabresi, e condusse l’attacco con calma ritornandomi dietro appena uscito dalla mischia; successivamente dopo altri ripetuti attacchi, mentre s’inseguivano gli aerei sulla rotta di ritorno, il suo aereo rimase colpito probabilmente al motore, in quanto da una quota di circa 3000 metri iniziò una planata lenta, per cui fu chiaro che egli cercava un atterraggio di fortuna per portare in salvo l’aereo, disdegnando la sicura salvezza per mezzo del paracadute. Si era sulle montagne di Acerno, nei pressi di Salerno, egli scelse un campetto in mezzo ai monti onde poter depositare il suo aereo. Tentò due volte l’atterraggio ma l’angustità del campo, circondato da pareti montagnose, gli resero la manovra infinitamente ardua. Ad un certo punto s’è visto l’aereo toccare velocemente la terra per poi fermarsi sulla parete della montagna che limitava l’angusto campo. Non è stato possibile vedere altro tranne l’accorrere di alcuni pastori che si trovavano in quei pressi. Nessuno può dire che cosa se ne sia fatto di Enzo in quanto non fu possibile effettuare delle ricerche a causa del precipitare degli eventi per cui fummo bloccati in Aeroporto senza poterne uscire. Non escludo, nonostante il brusco atterraggio, che Enzo si sia potuto salvare, però il fatto che fino ad oggi non si sia fatto più vivo, lascia perplessi tutti quelli che non hanno cessato di amarlo, né mai dimenticato”.

 

Autore Articolo: Antonio Lombardo

Fonti bibliografiche:

Mostra Documentaria di estratti di storia inedita allestita a Tarquinia (VT) in occasione del 70° Anniversario in memoria del Tenente Pilota Vincenzo Ferri Tenente Pilota Vincenzo Ferri
Aerei nella Storia, agosto-settembre 2013

 

 

Antonio Lombardo è ingegnere meccanico, ufficiale di complemento artiglieria e consulente TAR Campania e Prefettura Caserta.

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