La Congiura dei Sanvitale: la confessione di Alfonso Sanvitale

Nel 1612 il popolo di Parma assistete ad un tremendo spettacolo, la decapitazione di un gruppo di nobili che avevano tramato per ammazzare il Duca Ranuccio Farnese. Aveva così termine la Congiura dei Sanvitale. Quella che segue è la confessione estorta, sotto tortura, ad Alfonso Sanvitale. Era il 22 settembre del 1611.

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Constitutus iterum etc. comes Alphunsus de Sto. Vitali etc.
Int. Se sia risoluto di dire meglio la verità che non ha fatto sin ora sopra il trattato fatto tra lui et il Marchese Gianfrancesco Sanvitale di Sala di ammazzare il Sig. Duca insieme anche con altri complici.
R. Sì che sono risoluto di dire la verità qualeè, come dirò da basso Et diete che dica liberamente.
R. Da Carnevale p. passato alcuni di di quel principio di Carnevale etc. mi venne a trovare il Signor Marchese Giov. Francesco suddetto chiamato il Marchesino di Sala il quale dolevasi con meco di S. A. e diceva che bisognava che tutte le teste fossero come la sua, che vi saprebbe ben rimediare dicendomi a volte: nè ance tu se se sei soddisfatto, et poi andava cosi intramettendo altri discorsi. Io m’inmagino che lui facesse cosi per scoprire che mente fosse la mia, et io risposi: Che volete fare Sig. Marchese; bisognerà contentarsi di quello che si ha et si punte avere. Stelle così un poco et mi disse che mi voleva dire un negozio di grandissima importanza, ma che però volevo parola da Cavallero. lo giurai di non dir niente; et di poi aver le promesse et giurato ‘di non dir niente, mi scoperse Haver intenzione di voler che unitamente amazassimo il Sig. Duca nel giorno del battesimo del Sig. Principe, e fare una bella botta et ammazare anche detto Sig. Principe echi di essi si potesse: a che io promessi di non attendere perché le peggiori saranno le nostre oltre di non essere causa legittima da fare tale deliberatione. Nendimeno come avendogli io dato la parola et ance con giuramento che io non gli mancherei in ciò che si estendesse il mio potere, mi risoggiunse che non mancheranno nè ajuti nè favori ne a lui ne a me: che lui haveva principi parenti et altri principi adherenti, come servitù col Gran Duca, et parentela con il principe della Mirandola: quali l’ajuteranno e lui et me quanto lui in ogni occasione, attesochè questo non è fatto per tradimento, e che si possano chiamare traditori, ma ben vendicatori ; et io gli risposi che sarei stato pronto in sua compagnia a fare detto effetto et correre la sua fortuna.
Io dissi poi al detto Sig. Marchese. Ditemi un poco da istanza di chi particolarmente vi movcte. Lui mi rispose: non state a cercare altro: tuttavia dopo mi disse, ad istanza del Sig. Duca di Mantova. [0 gli dissi che non voleva mai trattare con altri che con esso Marchese, e che se lui diceva che non gli mancavano homini, io però non ne avevo, e che bisognava che provvedesse: et lui mi rispose che gli bastava aver me per incaparato fermamente et sicuramente; che del resto non ne dubitassi, et fu finito il ragionamento col detto Sig. Marchese.
Da circa otto o dieci giorni avanti che io cadessi prigione mi vennero a cercare a casa mia qui in Parma ove era sequestrato, due vestiti da capuccini, uno dei quali haveva una lettera credenzale del Marchese Giulio Cesare da Madrignano che è Servitore del Signor Duca di Mantova et suo molto favorito, scritta da Mantova, nella qual lettera mi baciava la mano rimettendosi a quello di più che mi dicesse l’esihitore d’esse, al quale domandai chi fosse: egli mi disse che aveva ordine di non dire altro eta bocca mi disse: Signore, il Sig. Marchese Giulio Cesare ha laudata e landa la risolutione fatta da V. S. in compagnia di qualche altro cavaliere suo parente etc., e perché la dubita i di homini, per ciò in nome di detto Sig. Marchese gli faccio offerta d’una quantità di 25 e trenta uomini li quali; quando che sarà mandato l’avviso del sicuro di adoperarsi, basterà avisare tanto in tempo che si passino mandare di due di avanti nel castello di V. S. a starvi secretamente o una notte o quello che facesse bisogno; et intanto mandar de notte le arme sopra un carro coperto di strame o fieno et suoi vestiti, che poi li homeni sarieno venuti in altro abito dentro a casa di V. S. dove poi sarà trattato del modo di adoperarli, e per risposta gli restituì a quel tale vestito da capuccino la lettera del Sig. Marchese Giulio Cesare stracciata, perché l’istesso me disse che per risposta io stracciassi la lettera et che gliela rimandassi, e gli mandassi a dire a bocca quello che risolvevo di fare lo strazzai la lettera e dissi aquallo istesso che haciasse la mano al Sig. Marchese e che accettavo l’offerta et avrei avisato in tempo.
Int. Quante volte il marchese Gian-Francesco Sanvitale abbia trattato di questo fatto.
R. Una volta sola (e più sotto):
Detto Marchese mi disse che la causa era perché S. A. gli voleva levare il loco di Colorno che era suo tanto tempo fa, e che gli aveva cosi buona ragione, e che molte volte già ne aveva parlato con tanta sommissione, e che oggi gli dava una buona parola, dimani un altra; ma che ogni giorno vedeva peggio e fatti contrarj.

 

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