Gli Este di Modena nel Seicento

Il Duca Alfonso III d’Este restò al governo di Modena appena sei mesi, poi prese il saio e divenne Fra Giambattista da Modena, lasciando il ducato al figlio Francesco I d’Este.

In gioventù Alfonso era stato impulsivo, ambizioso, violento. Aveva preso parte alla guerra del padre contro Lucca, era stato amante delle feste e della caccia, del lusso, delle gozzoviglie. Aveva più volte desiderato la morte del genitore per prenderne il posto. Per ragioni politiche aveva sposato la religiosissima Infanta Isabella di Savoia e l’aveva amata sul serio. Da lei ebbe ben quattordici figli e tuttavia non le fu sempre fedele. Fu infatti protagonista di una contesa con il Conte Ercole Popoli, apparentemente per dei feudi che voleva sottrargli, ma in realtà i due si odiavano per la relazione che Alfonso aveva con Vittoria Cybo, moglie del conte. La donna nel dicembre del 1617, scappò di casa e chiese protezione ad Alfonso che gliela fornì. Qualche giorno dopo Ercole Popoli fu ucciso da tre sicari, Francesco Grillenzoni, Lodovico Chiesa e Francesco Milanzi, al comando di Giuseppe Fontanelli.

Il 22 agosto del 1626, Isabella morì partorendo il suo ultimo figlio. Il principe ne restò sconvolto. Soffrì tanto e stentò a riprendersi, anzi, quando due anni dopo giunse a morte anche suo padre, Alfonso entrò in una crisi esistenziale, un dramma che lo condusse ad abdicare e ad entrare in monastero. Alla fine di luglio del 1629 dalla rocca di Sassuolo annunciò la sua abdicazione a favore del figlio Francesco, l’8 settembre indossò il saio dei Cappuccini. Divenne dunque missionario, fu pure nelle Indie e, in occasione della peste del 1630, svolse con coraggio l’opera di conforto ai moribondi. Nell’ottobre 1632 ritornò a Modena, ma le sue prediche, contro i costumi della corte e contro gli ebrei resero la sua presenza fastidiosa. Si ritirò quindi in un convento a Castelnuovo di Garfagnana, dove morì il 24 maggio 1644.

Con Francesco I d’Este si aprì per l’arte modenese un periodo di grande splendore. Appena diciannovenne, Francesco portò in città opere del Guercino, di Gian Lorenzo Bernini, di Diego Velazquez, Salvator Rosa e Justus Sustermans. Il Bernini del duca ci lasciò un busto, il Velazquez un ritratto. Intagliatori, scalpellini, pittori ornarono il Palazzo Ducale e le chiese della città. Bartolomeo Avanzini, uno dei più validi architetti dell’epoca, eresse il Palazzo Ducale, altri s’occuparono della Cittadella, di Villa Pentetorri, della Palazzina dei giardini.

Francesco I d’Este però era anche ambizioso, esuberante ed audace. La figura del duca era caratterizzata da una cascata di riccioli e dallo sguardo autoritario. Colto, raffinato nei modi e nei gusti, fu abile anche sui campi di battaglia.

Durante la Guerra dei Trent’Anni seguì la Spagna esponendo i suoi stati all’invasione franco-piemontese senza ottenere alcun compenso. Per rafforzare l’alleanza con gli Asburgo s’era pure recato a Madrid, nel 1638, ostentando uno sfarzo che l’erario modenese non poteva assolutamente permettersi, ma che impressionò Filippo IV e contribuì certamente alla scelta di conferire al Duca di Modena il Toson d’Oro e la carica di Ammiraglio dei Mari Cantabrico e Atlantico con una pensione di 24.000 scudi. L’unico risultato di qualche rilievo fu l’aiuto diplomatico fornito dagli Spagnoli nella presa di possesso da parte dell’Estense dell’ambitissimo feudo di Correggio, del quale l’Imperatore Ferdinando II aveva esautorato per indegnità l’ultimo signore, Siro da Correggio, dopo una brutta storia di contraffazione di moneta. Si aggiunse anche la berretta cardinalizia di cui nel 1641 fu insignito il fratello minore di Francesco, Rinaldo, uomo abile e ottimo diplomatico che negli anni a venire sarebbe risultato complementare col primo, impulsivo e talvolta azzardato, nella gestione degli affari di Stato e degli interessi di famiglia. Eppure Francesco restò deluso. Le sue ambizioni erano altre, voleva l’appoggio spagnolo per recuperare Ferrara e Comacchio. Mancato il sostegno in questo progettò non esitò a cambiar amicizie, così, per il tramite di suo fratello Rinaldo cominciò a trattare segretamente con la Francia. Mazzarino vide di buon occhio la cosa e offrì al duca il titolo di Generale delle Armi Francesi in Italia. Ci volle poco però a render chiaro che anche la Francia non avrebbe aiutato l’Este a recuperare la vecchia capitale e allora il duca tornò alla Spagna.

Madrid stavolta lo respinse, non poté perdonarlo, non poté accogliere chi aveva guidato personalmente l’attacco a Milano. Francesco tentò altre strade: prese in moglie Lucrezia Barberini, nipote di Papa Innocenzo X, pensando che quello potesse essere il modo giusto per riavere Ferrara. I Barberini però erano filofrancesi e la Spagna reagì occupando Reggio. Francesco riuscì a fuggire e si unì ai francesi che cingevano d’assedio Pavia con Tommaso di Savoia, tuttavia, ferito, morì il 14 ottobre del 1658.

Alfonso IV d’Este all’età di ventun anni sposò Laura Martinozzi, nipote del Cardinale Mazzarino. Il giovane aveva salute cagionevole ed era già afflitto dalla gotta. Ciò non gli impedì di farsi esperto di armi e di affiancare il padre, Francesco I, in battaglia. Alla morte del genitore però restò profondamente scosso, si sentì solo e rinunciò alla carica di Generalissimo delle armate di Francia in Italia. Morì dopo quattro anni e Laura Martinozzi si ritrovò, appena ventenne, ad assumere la reggenza dello stato in nome del figlio Francesco II d’Este, ancora minorenne. La fille de France, avrebbe percorso in pochissimo tempo il cursum honorum che da duchessa l’avrebbe portata ad essere dux mutinae, l’unica duchessa vedova reggente della storia di Modena.

La donna dovette gestire situazioni difficili, trame politiche estremamente delicate. Il Ducato era in condizioni economiche pessime ed era necessaria una riduzione delle spese, degli sfarzi, delle feste. La duchessa combatté il banditismo che taglieggiava i contadini e frenava l’agricoltura, poi combatté i feudatari che non rispettavano il suo ruolo, anzitutto Odoardo Malvasia e Orazio Baschetti che fece ammazzare da sicari. Durante la sua reggenza, Laura Martinozzi, su sollecitazione del pontefice, concluse l’accordo per il matrimonio di sua figlia Maria Beatrice con Giacomo Stuart, futuro re cattolico d’Inghilterra. Nel 1673, accompagnò la ragazza a Londra e assistette al suo matrimonio, ma quando tornò, dopo sei mesi, scoprì che grandi cambiamenti s’erano verificati a Modena.

Suo figlio Francesco, ancora quattordicenne, aveva assunto il potere e teneva le redini del governo affiancato dai cugini. Lei amareggiata abbandonò la città e si ritirò a Roma.

Francesco II aveva assunto la guida del ducato convinto dai cugini. S’era fatto guidare da Luigi, Foresto e Cesare Ignazio, del ramo cadetto degli Este di Scandiano. Cesare Ignazio, di sette anni più grande, esercitò grande influenza su di lui e praticamente lo sostituiva nel ruolo di Duca. Divenuto generale dell’esercito modenese, riuscì a far sposare sua sorella Maria Caterina con Emanuele Filiberto di Savoia e così rese la Francia ostile a Modena. Luigi XIV reagì chiedendone l’allontanamento dalla corte ma Francesco, legatissimo al cugino, respinge ogni pretesa francese. Fu lo stesso Cesare Ignazio ad abbandonare la città, trasferendosi a Faenza per timore d’essere avvelenato.

Eccellente suonatore di violino, grande amante dell’arte, della poesia, della musica, Francesco II d’Este, nel 1686, fondò l’Università di Modena e Reggio, distribuendo l’anno dopo le prime lauree in diritto e medicina. Si sposò tardi, a trentadue anni. Prese in moglie sua cugina Margherita Farnese e non ebbe figli. Fu l’ultimo esponente del ramo primogenito dei Duchi di Modena. La mancanza di un erede portò la corona a Rinaldo d’Este, suo zio.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

 

Bibliografia: E. Nigro, L’arte al tempo di Francesco I d’este; E. Barbolini Ferrari, I Duchi di Modena Capitale

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