Le origini del Comune di Milano

La memoria del Regnum Italiae voluto da Carlo Magno animò le ambizioni di un piccolo signore piemontese, Arduino d’Ivrea. Questi, sostenuto da nobiltà ed ecclesiastici, puntò a costruirsi un suo dominio totalmente svincolato dall’Impero. L’arcivescovo di Milano, Arnolfo II, affiancò invece l’Imperatore Enrico II avversando i disegni di Arduino. Il religioso lo vide sconfitto, ripararsi nelle mura di un monastero e Pavia, che aveva per lui patteggiato, fu schiacciata dall’ira imperiale. La città che aveva soppiantato Milano nel passato longobardo e franco, non si risollevò più. Pagò così l’essersi ribellata ad Enrico II nel giorno stesso della sua incoronazione officiata da Arnolfo II nel 1004.

Ariberto d’Intimiano, che seguì Arnolfo, fu zelante pastore ma sagace politico. Alla morte di Enrico II, mentre molti signori milanesi, si rifiutarono di riconoscere Corrado II, detto il Salico, come suo successore, Ariberto andò a salutarlo sino a Costanza, guadagnandosi la sua stima. Corrado II fu incoronato re d’Italia a Milano e poi imperatore a Roma: di fatti la città, grazie ad Ariberto, si vide riconosciuto il diritto d’incoronare i re d’Italia e con questo privilegio si vide pure confermata in una posizione di predominanza rispetto ad altre metropoli della Penisola.

Forte di denaro e uomini, Ariberto ridusse all’obbedienza le città che non riconobbero il nuovo imperatore, Pavia, Lodi e Cremona, poi, da vero condottiero, accompagnò Corrado il Salico alla conquista della Borgogna. L’esercito dell’arcivescovo di Milano era costituito da capitanei e condottieri come il Marchese Bonifacio di Toscana ed il Conte Umberto Biancamano, e ben figurò nell’impresa. I capitanei però ottennero benefici, terre, privilegi e si sentirono così forti da ribellarsi ad Ariberto. L’arcivescovo allora riprese le armi e ripristinò la sua autorità, tuttavia Corrado II approfittò della debolezza del vecchio alleato per provare ad eliminarlo: lo convocò in giudizio a Pavia con l’accusa d’aver determinato la rivolta, lo fece arrestare e lo tradusse a Piacenza. Qui, nonostante la stretta vigilanza di Poppone, Patriarca di Aquilea, e di Corrado, Duca di Carinzia, Ariberto riuscì sorprendentemente a fuggire e tornò a Milano proprio mentre l’Imperatore s’apprestava ad occuparla. Ne derivò un assedio che si sciolse solo quando, con grande arguzia, l’Imperatore emise la Constitutio de Feudis con la quale equiparava i nobili minori, che erano stati causa della ribellione, ai nobili maggiori. Ariberto fu così indebolito d’ogni sostengo e sostituito con un nuovo vescovo. Non depose però le armi, anzi, chiamò tutti alla guerra contro l’Imperatore.

In questi anni l’esercito milanese si dotò del celebre Carroccio e fu di buon auspicio: i nemici, più volte sconfitti, si sfaldarono alla morte dell’Imperatore.

L’equiparazione tra nobili però ebbe rilevanti strascichi. Creò di fatti un profondo solco sociale tra questi ed i cittadini comuni e determinò una rivolta, nel 1042. I capitanei furono sopraffatti ed Ariberto fuggì a Monza, mentre la città finiva nelle mani dei cives ed i nobili, espulsi, s’impegnavano a cingerla d’assedio.

Il nuovo imperatore, Enrico III, venuto a conoscenza dei fatti, inviò 4.000 cavalieri per soccorrere gli assediati, ma prima che essi potessero arrivare, i nobili s’affrettarono a stringere un patto di pace. Lanzone da Corte, il capo dei cives, divenne messo imperiale e la città si pronunciò fedele ad Enrico III. Il nuovo ordinamento politico e amministrativo, fondato sulla collaborazione tra i ceti sociali, fu alla base della nascita del Comune. A riprova di questa nuova “coscienza comunale”, dal 1097, si hanno notizie certe dell’esistenza di un ordinamento cittadino legato ad un’assemblea elettiva ed a consoli scelti tra i milanesi illustri. I consoli erano sottoposti all’autorità vescovile ma via via acquistarono una loro autonomia che finì col ridurre il peso politico del vescovo.

Non tardarono poi a manifestarsi scontri con lo stesso Imperatore. Quando Enrico III concesse l’anello pastorale a Guido da Velate senza tener conto del parere dei milanesi, la città compatta insorse, accusò il nuovo vescovo di simonia e, nonostante Papa Leone IX scagionò Guido, i milanesi formularono accuse di immoralità ai prelati fedeli al vescovo e devastandone le case generando una situazione di violenza ed anarchia…

Ai primi del XII secolo, nell’ambito di una lunga contesta per la successione vescovile complicata da Papa Pasquale II e dall’Imperatore Enrico V, Milano guadagnò autonomia, combatté contro Lodi, Cremona, Pavia, impose il suo candidato vescovo, Giordano da Clivio, e così, rafforzatasi sui campi di battaglia, si presentò come Comune, una realtà a sé stante, diversa dall’Impero, con propri funzionari, propri poteri. Presa Como, Milano addirittura diede guerra al Papato patteggiando per Corrado di Svevia contro Lotario di Supplimurg. Ne derivò la scomunica per il vescovo Anselmo da Pusteria ed una nuova guerra con Pavia, Cremona e Novara che solo Bernardo di Chiaravalle placò.

Ancora guerra conobbe la città con Federico il Barbarossa che apprezzò il peso politico della città e la sua posizione strategica per il controllo della Alpi, del Mar Ligure, dell’Italia centrale e dell’Alto Adriatico. L’Imperatore riconobbe i diritti delle sconfitte Lodi, Cremona e Pavia, diede alle fiamme Tortona, alleata di Milano, e, poiché i milanesi si dichiararono ad essa solidali, li mise al bando. Milano si ritrovò così al centro delle pretese del Barbarossa che scese in Italia con tre eserciti convergenti dal Gran San Bernardo, Spluga e dal Brennero. Milano fu cinta così d’assedio e ridotta alla fame. Guido di Biandrate negoziò la resa, Como e Lodi tornarono libere, i consoli milanesi accettarono di farsi investire dall’imperatore come vassalli ma non accettò il potere imperiale ed il Barbarossa, scomunicato da Papa Alessandro III, riscese in Italia, distrusse Crema e attaccò ancora Milano che era andata in suo soccorso. La assediò per sette mesi e alla fine ne ebbe ragione. I milanesi decisero di giungere ad un compromesso offrendo al Barbarossa la pace con la promessa di costruire a proprie spese un palazzo per l’imperatore, consegnandogli pure per tre anni trecento ostaggi come garanzia del rispetto dei patti, purché Milano non venisse danneggiata. Il Barbarossa rifiutò però tutte queste offerte asserendo che Milano doveva arrendersi senza condizioni.

Le città nemiche, Cremona, Lodi, Pavia, Como e Novara, invidiose della potenza che i milanesi avevano acquisito nei secoli e desiderosi di espandere i loro commerci e la loro influenza nella Pianura Padana a scapito della vicina metropoli, decisero di chiedere all’imperatore di radere al suolo Milano e così venne fatto. La città fu distrutta, le sue mura furono diroccate, le porte scardinate, le torri abbattute e la sua popolazione trasferita nelle borgate di Nosedo, Vigentino, San Siro, Vepra e Lambrate.

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: A. Bosisio, Storia di Milano; AA.VV., Storia di Milano, Fondazione Treccani degli Alfieri; C. de’ Rosmini, Istoria di Milano

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