Caserta nell’Italia del 1945

Gli anni immediatamente successivi alla Liberazione videro il ritorno del popolo, soprattutto dei giovani, alla politica, dopo un lungo periodo di regime di polizia, conformismo, consenso coatto e repressione. La ripresa del fervore democratico investì anche la città di Caserta che si ritrovò contemporaneamente a ricostruire la propria identità, da un lato recuperando il suo ruolo di capoluogo di provincia, sacrificato dal regime, e dall’altro superando le sofferenze, la fame e i danni arrecati in Terra di Lavoro dall’occupazione tedesca e dalla guerra aerea anglo-americana.

Nella reggia, il 29 aprile del 1945, fu firmata la resa delle forze armate tedesche dislocate in Italia e nel Mediterraneo e, il 20 giugno, il governo presieduto da Ferruccio Parri, giusto in tempo per cadere (preannunciando certi aspetti dell’avvenire italiano), s’era impegnato a convocare l’assemblea che avrebbe definito il volto del nuovo Paese. Nel giro di pochi mesi il battagliero protagonismo dei partiti antifascisti spianò la strada al compromesso ed agli equilibrismi che segnarono la riforma dello Stato. La defascistizzazione della pubblica amministrazione e l’epurazione dei soggetti maggiormente compromessi con la dittatura, poi, fallì del tutto e gran parte dei quadri dirigenti e della magistratura operanti durante il fascismo venne reintegrata nelle sue funzioni, generando una contraddizione strutturale del sistema italiano in bilico tra l’aria di rinnovamento ed il funzionamento conservatore e tendenzialmente autoritario degli apparati dello Stato.

Caserta era stata liberata dai tedeschi il 5 ottobre 1943 e consegnata al governo italiano il 20 luglio del 1944 dagli Alleati che, nel frattempo, avevano designato commissario comunale l’ingegnere Luigi D’Onofrio, poi sostituito dal liberale Luigi Giaquinto. Su questa figura convennero anche i membri del Comitato di Liberazione Nazionale, il 18 maggio 1944, che lo designarono come sindaco. La giunta, però, da subito finì divisa da forti contrasti coi partiti comunista, socialista e d’azione che accusavano la controparte democristiana di disinteressarsi alla penuria di generi alimentari, all’inflazione ed alla disoccupazione. Altro grave problema era legato alla mancata derequisizione delle abitazioni civili in mano agli Alleati, che impediva la riapertura delle scuole, ma furono anche anni di rivolte popolari, alcune particolarmente tumultuose: nell’aversano bande armate assalivano convogli ferroviari per rubare beni americani; i comizi fornivano frequenti occasioni di parapiglia tra sostenitori di diversi schieramenti partitici; a Caserta, il 13 luglio del 1946, reduci di guerra invasero i locali della prefettura distruggendo il mobilio, gettandolo in piazza ed appiccandovi il fuoco. Imperversavano, in più, malattie come il vaiolo nei centri di Maddaloni, Arienzo, San Felice.

Tutto è analizzato da Paolo Franzese in “Caserta 1945. La Costituzione e la Repubblica”, volume di D’Amico Editore. L’autore ricompone i termini del dibattito politico, complesso e di transizione, intrecciando il piano nazionale a quello locale ed esaminando l’intero quadro delle tensioni politiche dei partiti di sinistra e della Democrazia Cristiana intorno all’opzione repubblicana ed alle sue forme. Il partito cattolico, guidato dall’avvocato Clemente Piscitelli, ex-popolare e oppositore del regime, costituì nella provincia di Caserta la formazione più consistente, contando ben sessantuno sezioni contro le cinquantasei del Partito comunista, e vide confluire nei suoi ranghi i vecchi esponenti del fascismo. Completa il testo la relazione dell’avvocato Giovanni Franzese ai giovani democristiani dell’estate del 1945, testimonianza di un periodo di entusiasmo, impegno e ricerca dei cardini politico-costituzionali dell’Italia uscita dalla Liberazione.

 

 

 

 

Autore articolo: Luigia Maria de Stefano

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