Fano ingovernabile

Sotto Leone X nacque in Italia una nuova piccola signoria, quella dei Comneni a Fano.

Costatino Comneno, Principe di Macedonia, capitano di ventura albanese, appartenente alla casata degli Arianiti, ebbe in affido perpetuo dal pontefice la città con i castelli di Mondaino e Montefiore, a risoluzione delle ingenti somme di cui era creditore alla Camera Apostolica ed affinché le discordie alimentate dai signori fanesi, Gabrielli e Bollioni, che avevano combattuto contro l’asservimento al Ducato d’Urbino, si quietassero. Era il 1515, l’anno dopo, durante il carnevale, la popolazione, sobillata dai Gabrielli, insorse e lo costrinse a riparare nella rocca cittadina. Simone Tornabene, commissario di Francesco Maria della Rovere, Duca d’Urbino e generale dell’esercito pontificio, difese il principe e represse i ribelli, mandando alla forca i loro capi, poi Comneno accordò ai magistrati cittadini nuovi accordi di capitolazione, accettati dal pontefice.

La pace sembrava assicurata ma Lorenzo de’ Medici, nipote del Papa, bramoso di prendere Urbino, sostenuto da Bullione de’ Bollioni, capo della fazione ostile a Ludovico Gabrielli, occupò il territorio di Fano portando scontri, saccheggi e razzie. Ancora una volta Costatino Comneno restò chiuso nella rocca cittadina fin quanto poté poi dovette cederla a Lorenzo de’ Medici, per volontà papale divenuto Duca d’Urbino, generale dell’esercito pontificio e Governatore di Fano. Seimila uomini, tra cavalieri e fanti, comparvero il 13 febbraio 1518 davanti alle mura della città, guidate da Francesco Maria della Rovere, e nel pomeriggio l’artiglieria bombardò l’area di Porta San Marco e le mura di Santo Spirito. L’assedio durò sino a notte e non produsse risultati. Comneno era intanto fuggito a Montefiore. L’anno seguente fu il Cardinale Giulio de’ Medici, Legato di Romagna, ad avere il governo perpetuo di Fano.

Alla morte di Leone X, i sostenitori fanesi del Della Rovere rialzarono la testa. Per impedire tumulti interni, i magistrati cittadini collocarono duecento fanti sulla rocca, armarono cento contadini e li posero alle porte della città, altri cento ne arruolarono da Mondaino e Montefiore. Era ben poca cosa e ci si rivolse a Pandolfo Malatesta. In questi giorni il santo protettore di Fano, San Paterniano, apparve sulle mura della città, accompagnato da schiere i combattenti. Tutti giubilarono accogliendo quell’auspicio di vittoria ma l’intera Marca però fu funestata dalla peste.

Il nuovo papa, Adriano VI volle placare ogni turbolenza affidando la città nuovamente a Costantino Comneno. Tuttavia, appena tre anni dopo, la rocca di Fano fu assaltata dal popolo. Un tumulto sanguinario scaccio gli uomini di Comneno ed uccise Gualberto Senile, suo luogotenente.

Nel gennaio del 1528, il Vescovo di Terracina, Antonio Bonfio, si portò in città con alcune milizie, la occupò e la riconsegnò al Comneno. Alla sua morte, l’8 maggio del 1530, il possesso passò a suo figlio Aranito che fece presto i conti con un nuovo tumulto in cui rimase ucciso il luogotenente Clemente Rancoti.

Era insomma chiaro che i Comneno fossero incapaci di governare Fano, così la Santa Sede la consegnò a Lorenzo de’ Medici, il 24 settembre del 1532, in pagamento dei 6.600 ducati di cui era debitrice ai banchieri fiorentini.

Ancora una volta il popolo di Fano insorse. Il 5 gennaio del 1533. Dopo la sommossa, repressa nel sangue, i Medici rinunciarono a quel possesso. Fu allora il Cardinale Benedetto Accolti, Arcivescovo di Ravenna e Legato della Marca, a tentare di governarla.

Premeva a Clemente VII, altro Medici, soprattutto di non consegnare la città al nemico della sua famiglia, Francesco Maria della Rovere, che intanto aveva recuperato domini e titoli, ma la comparsa di un inaspettato protagonista scosse ancora Fano che aprì le sue porte a Mattia, figlio di Ercole Varano di Ferrara. Questi, col suo esercito, dalla Lombardia si stava dirigendo a Camerino, il cui feudo, per linea maschile, pretendeva. Nei pressi di Camerino, Mattia Varano inviò i suoi messi per chiedere in sposa la principessa Giulia Varano. La richiesta fu respinta da sua madre, Caterina Cybo, vedova del Duca Giovan Maria Varano, zio di Mattia, ed allora il condottiero entrò nella città e fece prigioniera la giovane portandola nel suo campo. Poche ore dopo, una sortita dei camerinesi mise in fuga il Varano e salvò Giulia. Fallito nei suoi propositi, respinto da Camerino, Varano si ritrovò pure inseguito dalle milizie di Francesco Maria della Rovere che pretendeva Giulia come sposa per suo figlio Guidobaldo. Il Varano si rifugiò nell’amica Fano, ma il Cardinale Accolti lo costrinse a lasciarla prima che si ridestassero gli appetiti del Duca di Urbino sulla città. Due anni dopo, con le acque apparentemente calme, Mattia Varano si ripresentò a Fano con un esercito ben armato, sicuro di poter prendere la rocca con il favore popolare e poi di poter guadagnare anche Camerino. Il Duca d’Urbino, che aveva già fatto sposare Giulia Varani con suo figlio Guidobaldo e quindi possedeva Camerino, indirizzò il suo esercito su Fano. Il Varano, appena lo seppe, abbandonò i fanesi che accolsero festanti Francesco Maria della Rovere.

Il Duca d’Urbino non si trattenne a lungo in città, forse la trovò più rabbiosa di prima, divisa in acerrime fazioni, poco incline ad assoggettarsi a leggi straniere. Lo stesso Accolti riuscì a domare a fatica l’ennesimo tumulto, senza però porre mai freno a ruberie e omicidi che caratterizzavano la vita quotidiana di Fano, il disprezzo dei giudici, il rifiuto d’accettare contribuzioni e provvedimenti della Provincia della Marca. Rinunciò quindi al governo. Era evidente che il popolo di Fano fosse tracotante, incontrollabile ed estremamente determinato a difendere la propria libertà. Il Cardinale però prima di lasciare il suo incarico approvò lo statuto della Compagnia della Santa Unione che finalmente pose fine a trent’anni di sanguinose lotte.

Il 19 gennaio del 1535 artigiani e artisti si riunirono nella Chiesa di Santa Lucia dei Padri Agostiniani e giurarono di impegnarsi con zelo e rettitudine a tenere unita la città, a stabilire la pace, a rinunciare a stragi e vendette. Ebbero per divisa un abito con una croce bianca e, con fune al collo e piedi scalzi, uscirono poi dalla chiesa dando inizio ad una lunga processione.  Guidata da un fornaio di nome Guido, la compagnia vigilò sull’ordine pubblico e riuscì a farlo sino al 1560, promosse leggi, regolamenti, prevenì disordini e garantì la calma. Fu così che Fano ritrovò la sua libertà.

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: M. Amiani, Memorie istoriche della città di Fano

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