Ferdinando II messo in fuga da Garibaldi

Il 4 maggio 1848 Garibaldi riunì i suoi in Piazza del Popolo. Vi si aggregarono i bersaglieri di Luciano Manara. Diffusero la voce che avrebbero marciato su Civitavecchia, ma si diressero in realtà a Tivoli, puntando infine verso le cittadine dei Castelli ed accampandosi a Villa Adriana. In tutto erano duemilatrecento. Il campo fu levato la sera del 6 maggio ed iniziò la marcia contro i diecimila soldati borbonici guidati da Ferdinando II in persona.

Roma repubblicana non solo era assediata dai francesi, ma anche minacciata dagli austriaci, dagli spagnoli e dal Regno delle Due Sicilie. L’appello che il Pio IX aveva lanciato da Gaeta alle potenze cattoliche europee aveva spinto Ferdinando II di Borbone a mobilitare il suo esercito, varcare il vicino confine ed accamparsi a Frascati ed Albano.

Garibaldi raggiunse Palestrina all’alba del 7. I suoi esploratori, al comando di Narciso Bronzetti, non solo gli fornirono tutte le notizie possibili sul nemico, ma gli portarono pure numerosi prigionieri, tra i quali due capitani dell’esercito borbonico. Si seppe così che Ferdinando II disponeva di soldati di molto superiori in numero. Cinquemila di essi erano a Valmontone, guidati dal generale Lanza, cinquemila erano sui colli Albani col generale Winspeare, c’erano gli irregolari del generale Zucchi e il re era ad Albano con due reggimenti svizzeri, tre di cavalleria e quattro batterie. Ovviamente Garibaldi si pose sulla difensiva. Fu l’esercito borbonico ad attaccarlo. L’assalto frontale puntava a ributtarlo sulla base di partenza, ma poche compagnie furono sufficienti a disperdere gli assalitori, sebbene dopo tre ore di combattimenti.

L’avanzata di Ferdinando II su Roma subì un’inattesa battuta d’arresto, ma quella stessa sera giunse a Palestrina una staffetta da Roma che annunciava l’ordine del ritiro perché i francesi erano disposti a trattare. In effetti, dopo alcuni giorni, i triumviri accettarono che il corpo di Oudinot rimanesse accampato fuori città, pronto ad intervenire in soccorso della repubblica se gli austriaci l’avessero attaccata. Era un imbroglio e lo si scoprì presto, tuttavia Mazzini ci credette e, sicuro di non aver più nulla da temere dai francesi, mobilitò quasi l’intero esercito romano contro le forze di Ferdinando II che nel frattempo aveva portato i suoi soldati a venticinquemila unità e li teneva accampati con l’ala destra a Valmontone, il centro tra Frascati e Velletri, l’ala sinistra dalla pianura e sino al mare.

La sera del 16, undicimila uomini con dodici cannoni uscirono da Porta San Giovanni e raggiunsero Zagarolo. Li guidava il generale Pietro Roselli, un ex colonnello papalino del 6° reggimento di linea piuttosto antiquato nelle sue concezioni, che se ne stette alla retroguardia, mente Garibaldi con la Legione procedeva all’avanguardia.  Tra i due non ci fu mai gran consonanza di vedute e, appena poté, Garibaldi procedette da solo in avanzata fin sotto Valmontone, aggirandola ed accampandosi a Montefortino.

Con Roselli fermo ancora chissà dove, all’alba del 19 fece suonare l’adunata disattendendo agli ordini tassativi. Concentrò le forze. La Legione e alcune compagnie del terzo di linea furono posizionate tra i vigneti a sinistra e a destra della strada che invece fu occupata dai lancieri di Angelo Masina. Contro di lui i borbonici avanzarono su tre colonne con un reggimento di cacciatori a piedi, seguito da un battaglione di linea e dalla cavalleria al trotto. Dopo i primi colpi di fucile, andarono alla carica. Masina non poté resistere, ferì il maggiore Colonna, ma i lancieri ripiegarono. Garibaldi allora andò in loro soccorso, si portò sulla strada per frenare l’urto nemico, finendone investito e sanguinante.

Lo seguì precipitosamente il Battaglione Speranza, una unità costituita da ragazzini dai dodici ai quindici anni che era stata tenuta lontana dal centro, sulle pendici della collina che domina la strada. Quando questi adolescenti videro il loro eroe correre ad arginare la fuga dei lancieri, si precipitarono con entusiasmo al suo seguito, aprendo una scarica di fucile che fulminò la cavalleria borbonica. Garibaldi ricordò: “Una compagnia di ragazzi che si trovava alla mia destra vita la mia caduta si scagliò su i napoletani con tal furore da far stupire. Credo ch’io dovetti principalmente la mia salvezza a quei valorosi giovani, poiché, essendomi passati cavalieri e cavalli sul corpo, n’ero rimasto contuso al punto da non potermi muovere. Rialzato finalmente con molta fatica, io mi tastavo le membra per sentire se v’era nulla di rotto…”. Il generale Sacchi così descrisse quei ragazzi: “Erano giovanotti di 16 anni o meno, che componevano insieme una compagnia comandata dal Capitano Airoldi bergamasco, e formavano parte del mio corpo: qui a Velletri si distinse per prova di stupendo coraggio assaltando i nemici alla baionetta, e molti di essi facendo prigionieri, i quali poi strana figura facevano di sè, tratti in mezzo a cotesti fanciulli; nè a Velletri solo ma nello assedio di Roma, e nella ritirata a San Marino sempre comparve indomita di coraggio, e pagò largo, ahimè! troppo largo tributo di sangue alla Patria”. Masina tornò all’attacco, alla baionetta, Luciano Manara, che era a due miglia dal sito, mise i bersaglieri di corsa e si gettò nella mischia.

Chi mancava era Roselli, avvertito, convocato, implorato. Gli fu inviato d’urgenza Francesco Daverio che lo trovò impegnato in una lenta marcia al passo come se fosse ad una parata. Non si sa cosa si dissero, ma le truppe di Roselli lo abbandonarono, ruppero le righe e si misero a correre per raggiungere il luogo del combattimento. Quando il generale raggiunse finalmente Garibaldi era tutto finito e i borbonici erano in fuga, inseguiti dal Daverio e dal Masina. A sua difesa Roselli disse che l’attacco intempestivo di Garibaldi impedì il dispiegamento dell’intero esercito in una manovra avvolgente, tuttavia gli concesse una scorreria oltre il confine, lungo la direttrice di Cassino e Capua.

Scrisse Guerrazzi: “Il re Ferdinando era presente alla battaglia, e la stava mirando col cannocchiale da una finestra del palazzo Angelotti; visto il caso non volle saperne altro ; ordinato pertanto ai suoi soldati il celere ritirarsi, nei passi retrogradi, li precedeva: il suo posto era dietro quando essi cammina vano avanti ; avanti quando camminavano indietro. Nella fuga ruinosa lasciarono cavalli, ed uomini feriti, armi sparse, zaini, e vesti ; tanta carta avevano addosso, Costoro , che sparsa a terra parve ci fosse nevicato”.

Ferdinando II rientrò a Napoli dove una canzonetta già lo ridicolizzava, rammentando la fallita spedizione romana di Ferdinando IV contro i francesi a Roma nel 1798: “Vavone jette, vedette e fujette! / tu si ghiuto, venuto e fujuto”.

 

 

 

 

01

Bibliografia: A. Pratta, Garibaldi; A. Scirocco, Giuseppe Garibaldi; F. D. Guerrazzi, Lo assediodi Roma

historiaregni

Historia Regni è un portale telematico dedicato alla storia, anzitutto quella italiana. Nasce su iniziativa di Angelo D’Ambra, è senza scopo di lucro e si avvale di collaborazioni gratuite. Le foto presenti sono state, in parte, prese da internet e quindi valutate di pubblico dominio. Se gli autori avessero qualcosa in contrario alla pubblicazione, non avranno che da segnalarlo al nostro indirizzo email info@historiaregni.it e si provvederà alla rimozione.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *