Livorno e il mare nella seconda metà dell’Ottocento

Da più di quattro secoli Livorno è il suo porto, la città trova nel suo scalo la sua ragione d’essere.

Sino alla fine del Quattrocento, era semplicemente un villaggio di pescatori, furono i Medici di Firenze a costruirvi il porto, a volerne la fortificazione, a guidarne l’espansione agevolando al massimo i commerci. Privilegi amministrativi, l’abbattimento delle tasse e le “leggi livornine” di Ferdinando I ne fecero un crogiuolo di razze; sotto i Lorena tenne a lungo un’eccellente posizione nei traffici, ma con l’Unità e l’abolizione del porto franco arrivò però la decadenza. L’economia cittadina fu caratterizzata da una riconversione industriale che segnò un sensibile risveglio per Livorno.

La Marina Italiana aveva incorporato la pirocannoniera Ardita, varata a Livorno il 2 gennaio del 1859, la goletta Argo, varata nel 1854, e la pirocannoniera Veloce, varata a Livorno nel gennaio del 1859. La flotta italiana poteva pure contare sulla cannoniera Curtatone, sulla goletta Feritore e sulla pirocannoniera Palestro tutte varate a Livorno nel 1860. Ma nel 1866, l’Italia era stata scossa dal disastro di Lissa.

Due anni dopo, in una Livorno che pure celebrava l’eroismo di Alfredo Cappellini che s’era fatto saltare in aria con la sua Palestro, nacque la scuola di marineria dall’unione della Regia scuola di marina del Regno di Sardegna, con sede a Genova, e di quella borbonica, la Real Accademia di Marina di Napoli, poi fu la volta dell’Accademia Navale inaugurata il 6 novembre 1881 per dar lustro alla città e più vigore alla sua proiezione nel Mediterraneo.

Il porto mediceo fu quel giorno uno spettacolo di navi, dalla pirofregata Vittorio Emanuele sbarcarono i cadetti della scuola di Napoli prendendo alloggio, con gli allievi di Genova, nel nuovo istituto. Ad inaugurarlo c’era Tommaso di Savoia, Duca di Genova, reduce dal viaggio intorno al mondo compiuto con l’incrociatore Vettor Pisani. La Vittorio Emanuele e il brigantino interrato dell’accademia alzarono il gran pavese. Le strade erano intasate di folla.

Nel giro di due anni l’euforia si riaccese per la corazzata Lepanto nata nello scalo del Cantiere Orlando. La Lepanto era sorella della Duilio, corazzata scesa in mare a Castellammare di Stabia nel 1876 ed entrata in servizio nel 1880 con le sue 12.000 tonnellate, coi suoi 18 cannoni, le 22 mitragliere, i 3 lanciasiluri, coi suoi 478 uomini d’equipaggio, la prima nave italiana a due eliche. La Lepanto era sorella della Duilio, dell’Italia, altra nave varata a Castellammare di Stabia, e della Dandolo, realizzata nell’Arsenale Militare di La Spezia, perché figlie dello stesso padre, l’ammiraglio Benedetto Brin, nella stagione in cui l’Italia si proiettava alla ribalta della politica internazionale tra le potenze marittime europee con navi avveniristiche, tecnologiche, moderne, inaffondabili. Fu il nerbo di un ambizioso progetto che segnò il decollo dell’industria navale dopo Lissa.

La Lepanto, con le sue 15.000 tonnellate – tre in più della Duilio -, venne varata il 17 marzo del 1883, sabato. Da Roma giunsero il re Umberto I e la regina Margherita, il Principe di Napoli, il Duca d’Aosta. Raggiunsero il ponte di comando tra la folla festante poi la regina raccolse una cima in fondo alla quale erano appese due bottiglie di champagne, le lanciò ed al terzo tentativo si infransero. Scrosciarono gli applausi per quella nave costruita in un cantiere privato e non in un arsenale militare come La Spezia o Castellammare di Stabia. Il cantiere era quello degli Orlando che dovevano l’appalto a Crispi perché la Lepanto li aveva salvati dalla crisi.

Gli Orlando erano quattro fratelli siciliani, già proprietari di una officina meccanica a Palermo ed emigrati a Genova dove si erano dedicati alle costruzioni navali e all’industria meccanica; Luigi era stato direttore del cantere navale della Foce a Genova, arsenale della Regia Marina, divenuto cantiere Odero dopo lo spostamento dell’arsenale alla Spezia, poi tutte le sue energie si riversarono su Livorno dove quella energica iniziativa fece da stimolo a nuove industrie legate al settore navale, come la Società Metallurgica Italiana.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

 

Bibliografia: A. Santini, Il Tirreno. Centodieci anni della nostra Storia; R. Fabrini, Storia della Marina Militare Italiana

 

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