Il Dodecaneso italiano

Nel 1912, durante le operazioni militari della guerra con la Turchia, l’Italia occupò nell’Egeo l’isola di Rodi ed altre minori, Stampalia, Scarpanto, Caso, Piscopi, Nisiro, Calimno, Lero, Patmo, Cos, Simi, Calchi e Lipso.

L’isola di Stampalia, per la sua conformazione topografica e per la sua posizione centrale, rispetto alle isole del basso Egeo, venne prescelta come base per le forze navali destinate ad operare in quel mare ed occupata il 26 aprile, mentre un corpo di spedizione andava riunendosi e, nella notte dal 3 al 4 maggio, scortato dalle navi della seconda squadra, giungeva presso l’isola di Rodi. Quest’isola è indubbiamente è certo la più importante delle Sporadi meridionali. Il corpo di spedizione italiano sbarcò nella baia di Kalitheas all’alba del giorno 4, col combattimento di Asgurù ricacciò il nemico nell’interno, il giorno dopo entrava solennemente nella città di Rodi e nel giro di una decina di giorni sconfissero il presidio turco raccoltosi a Psitos. Intanto il 12 maggio, la nostra flotta aveva sbarcato reparti di marinai nelle isole di Scarpato, Caso, Piscopi, Nisiro, Calimmo, Lero e Patmo e, fatti prigionieri i piccoli presidi turchi, vi innalzavano la bandiera nazionale. Successivamente si occupavano anche le isole di Cos, Simi e Calchi e così le Sporadi meridionali cadevano entro il mese di maggio in nostro potere.

L’intero gruppo di isole erano state occupate da Venezia nel XIII secolo, poi dai Cavalieri Gerosolimitani a partire dal 1306 ed infine dai turchi nel 1522. Questa lunga storia e, soprattutto, al dominazione turca, aveva modificato non poco i caratteri delle popolazioni isolane.

Al momento della conquista italiana, le componenti etnico-religiose presenti erano quattro, quella greco-ortodossa era la prevalente, i musulmani erano per lo più contadini o artigiani di Rodi e Cos, gli ebrei erano circa un migliaio e per lo più commercianti. Esiguo era il gruppo di italiani. La lingua parlata comunemente era il neo-ellenico, una sorta di dialetto greco con commistioni di termini d’origine veneziana e genovese, ma diffuso era pure il turco anatolico. Tuttavia i governi italiani tesero sempre a presentare la popolazione come di origini veneziane e gli isolani furono riconosciuti giurdicamente “cittadini del regno” in virtù di ciò.

Per quanto concerte la vita economica, vivevano in uno stato di languore e depressione. Tutte le isole del resto erano montuose, costituite da massicci calcarei impervii e coste fratagliate. Dal punto di vista agricolo solo il 70% dei terreni risultava sfruttato abbastanza intensivamente con produzioni di olive, agrumi ed uva. Su tutte le isole era molto diffuso l’allevamento di pecore e capre. Mancava del tutto uno sviluppo industriale, mentre l’artigianato era per lo più ancorato alla produzione di tappeti e all’oreficeria. Calimno e Simi si distinguevano per una fiorente pesca delle spugne, che qui venivano lavorate e poi inviate ai mercati europei.

Per mutare questo stato di cose, poco dopo la conquista, la principale di esse, Rodi, si vide concesso lo status di porto franco dal Regno d’Italia e furono pure introdotte da subito Lira e francobolli italiani. Si registrarono grandi investimenti dell’Istituto di Bachicoltura di Padova per la diffusione dell’allevamento del baco da seta, ma tutto, dal bestiame al gesso, dal legno alla lana, dal ferro allo zucchero, era importato. Gli unici prodotti d’esportazione erano vino, olio d’oliva, agrumi, sapone, ortaggi e legumi, storace, spugne, tabacco e tappeti. Per quel che riguarda il tabacco si istituì a Rodi la Società Anonima “Temi” – Tabacchi Egei di Manifattura Italiana, ma i tabacchi locali erano scadenti e si integravano con altri greci e turchi. Pure la produzione era appena sufficiente per il consumo locale. Per quanto concerne i tappeti, ricuotevano un certo successo, ma era un’industria a caratteri domiciliari. Migliori risultati davano le industrie dell’olio e dei vini della Sair – Società Agricola industriale di Rodi, che esportava soprattutto in Egitto. I giacimenti di zolfo di Nisiro non furono sfruttati.

Inizialmente il governo fu affidato a comandanti e successivamente a governatori che lo trasformarono in possedimento. In ragione di ciò, diversamente dalle colonie africane poste sotto la responsabilità di un ministero ad hoc, l’arcipelago del Dodecaneso rispondeva direttamente al Ministero degli Affari Esteri poi, dal 1923, le isole vennero incorporate completamente nel Regno d’Italia e nel 1926 costituirono il Governo delle Isole Italiane dell’Egeo, dal 1930 denominato semplicemente Isole Italiane dell’Egeo.

A Rodi trovarono sede il prefetto ed il governatore. Gli sforzi italiani per rafforzare la propria presenza nel Dodecaneso crebbero negli anni Trenta in linea con quanto accadde nelle colonie africane. L’ultimo censimento ufficiale, quello del 1936, contò su queste isole circa 15.000 italiani. La politica di popolamento era utile per rafforzare il ruolo dell’Italia in un territorio strategicamente prossimo al Canale di Suez. Più forte fu l’elemento propagandistico perchè le isole rientravano nei confini del “Mare Nostrum”, un ideale di egemonia romana nel Mediterraneo. Vennero costruite, scuole, strade, ospedali, acquedotti e il numero di italiani crebbe sino a raggiungere i 34.000 del 1940 su un totale di circa 118.000.

 

 

 

Autore Articolo: Angelo D’Ambra

 

Bibliografia: V. Beltrami, Italia d’Oltremare; G. Abbondanza; Italia potenza regionale: il contesto africano dall’Unità ai giorni nostri; A. Gaibi, Manuale di Storia politico-militare delle colonie italiane.

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Un pensiero su “Il Dodecaneso italiano

  • 6 Novembre 2021 in 10:15
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    Esistono pubblicazioni sulla occupazione italiana del Dodecanneso? Grazie.

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