La chiesa di San Canziano a Padova

Il nome della chiesa padovana di San Canziano, posta tra piazza delle Erbe e l’inizio di via Roma, appare per la prima volta in un atto notarile del 1034, di cui ci è giunta solo una copia successiva. È da credere, comunque, che il tempio sia ben più antico di quella data.

La chiesa è dedicata ai fratelli Canzio, Canziano e Canzianilla, membri della nobile famiglia romana degli Anicii, e al loro insegnante Proto, martirizzati nei pressi di Aquileia, a San Canzian d’Isonzo – località allora nota come Aquae Gradatae – nel 304, per aver abbracciato il Cristianesimo. Mentre andavano incontro al loro atroce destino a bordo di un carro, «scaturirono d’improvviso dal suolo molte vene d’acqua, uno dei muli cominciò a recalcitrare, ricusando di andar oltre, e allora comandossi che i martiri lasciassero il carro, e vennero decapitati presso la strada» spiega l’agiografo Francesco Coronini (1833-1901), e aggiunge che il luogo dell’esecuzione prese il nome di San Canziano.

I corpi dei Canziani e di Proto, «eroi della Chiesa», furono rinvenuti il 13 aprile del 1307.

Sul luogo del martirio, però, era già nato da tempo il culto di queste figure luminose, la cui festa si celebra il 31 maggio.

La devozione ai Canziani si diffuse rapidamente dal nord Italia sino alla Borgogna e alla Sassonia; prova esemplare della vivacità del culto è l’omelia di San Massimo di Torino (?-420 ca.), pronunciata (molto probabilmente) in Aquileia, sulla tomba dei martiri. Egli notò quanto fosse opportuno che i Canziani avessero lo stesso nome: «non bisogna meravigliarsi se sono simili nel nome, essi che sono simili nel martirio, e se presso gli uomini hanno un unico nome, essi che presso Dio hanno un’unica chiamata». Ecco quindi spiegata la denominazione unica di “Chiesa di San Canziano”, che non è affatto un errore.

Prosegue il sermone del Santo: «[essi] Sono stati chiamati insieme dal Signore, senza un diverso intervallo di tempo e un diverso supplizio, ma tutti con il medesimo colpo di spada subirono ugualmente il martirio. Ciò fu loro appunto concesso da Cristo a causa, per così dire, del loro affetto familiare, affinché fossero concordi nei meriti come concordavano nei nomi; e affinché fossero germani [ossia fratelli] nella santità, come erano fratelli per il legame del sangue, e la confessione di una medesima fede incoronasse le loro anime, come la sostanza di un solo corpo vivificava le loro membra». Essere martiri significa imitare l’esempio di Gesù, ma tale imitazione non giunge da meriti umani, bensì come dono di Cristo stesso.

Angelo Bongioanni nel suo saggio di ricerche etimologiche e storiche sui nomi e i cognomi afferma che “Canzio” è di etimologia incerta, ma la sua diffusione si deve ai martiri aquileiesi del tempo di Diocleziano, i quali «furono sempre in grande venerazione in tutta la Venezia orientale e nelle finitime regioni transalpine; se ne ha testimonianza anche nella toponomastica (San Canziano; S. Coceán, frequentissimi nella Venezia Giulia)».

A Patavium, in età paleocristiana, i santi furono probabilmente venerati fuori dalle mura, ma più tardi – quasi certamente dopo la distruzione della città da parte delle armate longobarde – il culto si spostò all’interno del centro abitato.

Si ipotizza che il luogo sacro sia stato danneggiato dal terremoto che colpì Padova nel 1117 e successivamente dal grande incendio del 1174; a seguito di tali catastrofi l’edificio fu ricostruito in stile romanico. La seconda ristrutturazione della chiesa si ebbe poi tra la fine del Cinquecento e il 1617: questi lavori spostarono l’asse della struttura e diressero la facciata verso nord. Essa è di gusto palladiano e riporta un’iscrizione che ricorda la dedica ai santi aquileiesi della nuova chiesa, avvenuta nell’anno stesso in cui ebbero termine i lavori.

Il nome dell’architetto non ci è noto, mentre l’affresco sopra la porta, raffigurante la Vergine e i santi titolari, è opera dell’artista parigino Lodovico Vernansal (1689-1749), ossia Guy Louis II Vernansal. Le statue ai due lati sono le allegorie della verginità e dell’umiltà, scolpite dal prolifico Antonio Bonazza (1698-1763). La verginità è ritratta coperta da un velo e regge in mano un giglio, simbolo di purezza, mentre l’umiltà porta in braccio un agnello: le due virtù sono il maggior ornamento di Maria che «virginitate placuit» e «humilitate concepit», come si legge ai piedi delle sculture.

I capitelli, i bassorilievi con gli episodi del martirio dei Canziani e le statue dei quattro evangelisti poste sull’attico dovrebbero essere opera di Pietro Danieletti (1712-1779), discepolo di Giovanni Bonazza (1654-1736), padre di Antonio.

All’interno della chiesa, l’opera più importante è di un allievo di Bartolomeo Bellano (1434 ca.-1497 ca.), Andrea Briosco (1470-1532), detto il Riccio (per la sua folta chioma): si tratta del Compianto su Cristo morto. Tale scultura era parte di un gruppo in terracotta di cui a San Canziano è rimasto solo questo pezzo, mentre i due busti delle pie donne si trovano attualmente ai Musei Civici di Padova.

A Briosco, autore anche del famoso candelabro bronzeo della Basilica di Sant’Antonio, sono forse attribuibili pure le quattro statue, sempre in terracotta, poste ai lati dell’altare maggiore. Secondo un’altra tesi, le sculture sarebbero invece di Bartolomeo Bellano, mentore del Briosco. Queste opere, però, non sono mai citate sino al 1907, ed è quindi consigliabile una certa prudenza nelle attribuzioni…

Il Cristo morto è posto sotto l’altare laterale di sinistra, consacrato a Santa Rita (1381-1457), la santa degli impossibili, il cui culto è stato introdotto a San Canziano dal rettore don Pericle Penzo, a seguito della sua canonizzazione, avvenuta il 24 maggio 1900. Si tratta di una devozione molto sentita e forte: per i padovani San Canziano è la chiesa di Santa Rita. La messa in suo onore si tiene tutti i giovedì e nel giorno della sua festa, il 22 maggio, vi è sempre grande partecipazione, con la tradizionale distribuzione delle rose benedette.

Tornando all’altare laterale, dagli anni trenta del secolo scorso, esso è sovrastato da un dipinto di Cecilia Pivato Caniato (1886-1966), che illustra l’impressione della Sacra Spina sulla fronte di Santa Rita. Esso ha sostituito Il miracolo del cuore dell’avaro dipinto da Pietro Damini da Castelfranco (1592-1631) che rappresenta il famoso prodigio operato da Sant’Antonio (a cui precedentemente era dedicato l’altare).

Oggi la tela di Damini si trova presso la porta della sagrestia, a sinistra dell’altare maggiore. Nei tratti del chirurgo che esegue l’autopsia del ricco si dovrebbero riconoscere quelli di Girolamo Fabrici d’Acquapendente (1533-1619), allievo di Gabriele Falloppio (1523 ca.-1562), che gli succedette sulla cattedra di anatomia all’ateneo di Padova. Girolamo fu medico e amico di Galileo Galilei, abitava nel palazzo poi Dondi, in quella che oggi è via Cesare Battisti. Le due figure ai lati di Sant’Antonio di Padova dovrebbero essere invece Antonio e Cesare Bolzetta, che donarono la tela alla chiesa nell’anno della sua consacrazione. I Bolzetta erano i proprietari della vicina farmacia dell’Angelo e davanti al detto altare i mecenati fecero anche disporre una loro tomba di famiglia.

A sinistra dell’altare di Santa Rita vi è un altro dipinto, eseguito da Giovan Battista Bissoni (1576-1634), che mostra San Carlo Borromeo (1538-1584) mentre guida una processione per le vie di Milano chiedendo la fine della peste.

Ma non termina qui l’elenco delle opere conservate a San Canziano: «Sull’altare maggiore grande tela talvolta attribuita a Alessandro Varotari, detto il Padovanino (1588-1649), ma probabilmente opera di un seguace, con la Vergine in gloria attorniata da angeli, dai santi Canziani e da Proto.» scrisse l’architetto Giamberto Scorzon (1938-2018), «In basso san Girolamo e san Michele, patroni di Girolamo Tirabosco che, nel secondo decennio del Seicento, a sue spese aveva eretto e fornito l’altare, commissionata la pala e preparato un sepolcro per sé e per i suoi. Sull’altare di destra l’Immacolata di Francesco Zanella, pittore padovano attivo tra il Sei e il Settecento (notizie dal 1666 al 1716). Verso l’ingresso, sempre sulla parete di destra, la ‘Pentecoste’, pala di ignoto pittore del Seicento, di gusto popolaresco».

Augusto Meneghini, nel suo tomo dedicato a Padova e provincia (Grande illustrazione del Lombardo-Veneto, a cura di Cesare Cantù e altri, Vol. Quarto, Corona e Caimi, Milano 1859) osserva che: «La chiesa di San Canziano eretta nel 1617, e senza ragione attribuita dal Fossati al Palladio, ha una tela creduta del Padovanino, un’altra del Damini, in cui sono effigiati il pittore e il celebre medico Fabricio d’Acquapendente, e tre figure in terra cotta lavorate nel 1530 da Andrea Briosco detto Riccio e Crispo».

Il 18 dicembre 1807, secondo le imposizioni previste dalle leggi napoleoniche, la chiesa di San Canziano – prima parrocchia – è stata unita alle vicine Sant’Egidio e Santa Giuliana (oggi non più esistenti) e alla chiesa di San Luca in una parrocchia unica, quella di Santa Maria dei Servi.

Riguardo la chiesa di San Canziano, Pietro Chevalier (1795-1864), nelle sue Memorie architettoniche sui principali edifici della città di Padova (1831), nota sagacemente: «La buona carriera che si volle abbia battuto l’ignoto architetto di questa chiesa, e le grazie palladiane che ci vien detto abbia egli saputo risvegliare in essa, voglionsi concedere a discolpa di chi fece al Palladio oltraggio di attribuirgliela, – e forse l’oltraggio, a scusa di chi seppe trovarci grazie palladiane, è una prova della buona carriera battuta dal suo architetto».

Nel 1955 un restauro ha fatto riemergere alcune tracce della facciata medievale sul lato meridionale (elementi del rosone e poche monofore).

Venendo alla storia recente, per i padovani San Canziano si lega alle vicende della celebrazione del rito della Santa Messa di San Pio V nella loro città (o meglio nella loro diocesi).

Nel novembre del 1972 un gruppo di fedeli, guidati dal benefattore Italo Fanelli, chiese al vescovo Girolamo Bortignon (1905-1992), in carica sin dal 1° aprile 1949, di poter celebrare, per un triennio, la messa in rito tridentino a suffragio e gloria della causa di beatificazione di Padre Pio da Pietrelcina, scomparso il 23 settembre 1968. Il permesso venne accordato, tuttavia, già il 5 luglio 1975, la curia notificò al Fanelli la soppressione definitiva della messa in S. Clemente, in vista dell’annunciata celebrazione della messa tridentina presso la Basilica del Santo, «tutte le domeniche e le feste di precetto». Va ricordato che Bortignon mostrò sempre ostilità nei confronti di Padre Pio, sin da quando il Santo era in vita, e che Sant’Antonio non fa parte della diocesi di Padova; in ogni caso le promesse non furono mantenute e questo gettò i fedeli in uno stato di profondo dolore.

La celebrazione della messa con il venerabile Messale tridentino, però, sopravvisse per le cure di uno sparuto gruppo di fedeli, tra i quali figuravano gli accademici Giovan Battista Impallomeni e Francesco Gullo che ottennero dal reverendo Dom Ruperto Pepi OSB di celebrarla presso l’Abbazia di Santa Giustina in Padova.

Più avanti, la messa di Pio V iniziò a essere celebrata proprio a San Canziano, dove continua a tenersi regolarmente da più di trent’anni. Risale al 7 luglio 2007, anno terzo del suo pontificato, la Lettera apostolica di Sua Santità Benedetto XVI che stabilisce che «Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto».

Lo stesso Joseph Ratzinger ammise: «Molte persone, che accettavano chiaramente il carattere vincolante del Concilio Vaticano II e che erano fedeli al Papa e ai Vescovi, desideravano tuttavia anche ritrovare la forma, a loro cara della sacra Liturgia; questo avvenne anzitutto perché in molti luoghi non si celebrava in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura veniva inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale portò spesso a deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile. Parlo per esperienza, perché ho vissuto anch’io quel periodo con tutte le sue attese e confusioni. E ho visto quanto profondamente siano state ferite, dalle deformazioni arbitrarie della Liturgia, persone che erano totalmente radicate nella fede della Chiesa».

La messa tridentina a San Canziano «non è dunque una moda», riconosce la scrittrice Silvia Giorgi, e il già citato professor Scorzon – che dal 1990 al termine dei suoi giorni si è sempre impegnato attivamente per lo svolgimento delle celebrazioni – nel 2014 dichiarava davanti ai giornalisti del Gazzettino: «Se dopo venticinque anni c’è questo seguito, vuol dire che alla base vi sono motivazioni concrete», «La messa in latino rappresenta qualcosa di perennemente valido, crea un’atmosfera di spiritualità coinvolgente e appagante».

Andare a San Canziano la domenica, per giunta, offre la possibilità di trovare fedeli di nazionalità diverse che pregano tutti nella medesima lingua: il latino, che mantiene inalterata la sua funzione di strumento universale per la comprensione reciproca tra i popoli.

 

 

 

 

 

Autore articolo: Riccardo Pasqualin e Nicolò Calore

Bibliografia: AA.VV., Aquileia Patrimonio dell’umanità, a cura di Luigi Fozzati, 2010; Chevalier Pietro, Memorie architettoniche sui principali edifici della città di Padova, ediz. 1975; Coronini Francesco, Sepolcri dei patriarchi di Aquileia, 1889 ; Giorgi Silvia, I luoghi e i racconti più strani di Padova, 2018; Joppi Vincenzo, Le sacre reliquie della chiesa patriarcale d’Aquileia. Memorie e documenti, in Archivio Storico per Trieste, l’Istria e il Trentino, Vol. III, 1886; Massimo di Torino, Sermoni, ediz. 2002; Meneghini Augusto, Padova e sua provincia, in Grande illustrazione del Lombardo-Veneto, 1859; Pagnossin Giuseppe, Il Calvario di Padre Pio, Vol. II, 1978; [Redazione], A San Canziano, alle 11, la messa antica cantata in rito latino, in «Il Gazzettino», Venerdì 31 ottobre 2014; S. Canzio, S. Canziano e Santa Canzianilla [voce], in I fasti della Chiesa nelle vite de’Santi, Vol.5, 1826; [Scorzon Giamberto], La chiesa di San Canziano a Padova, [2016]; Tavano Sergio, Aquileia cristiana, 1972; «Una Voce», notiziario n. 26-27, aprile-settembre 1975

 

 

 

 

Riccardo Pasqualin, insegnante, si dedica allo studio della Storia Veneta. Prossimamente sarà pubblicato il suo nuovo libro “Il paesaggio rurale storico nel Comune di Candiana”.

Riccardo Pasqualin

Riccardo Pasqualin, insegnante di materie umanistiche, si dedica allo studio della Storia Veneta e del legittimismo. Tra i suoi testi si può ricordare “Il paesaggio rurale storico nel Comune di Candiana” (2020).

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