L’Italia di Arduino

Morto Ottone II, il Sacro Romano Impero visse un periodo di forte destabilizzazione. Anche in Italia il potere degli Ottoniani traballò. A Roma, il vecchio papa usurpatore, Bonifacio VII, ritornò al potere, fece imprigionare Giovanni XIV e lo avvelenò. Il cadavere del papa fu colpito da spade e lance, abbandonato, nudo e sporco di sangue, in strada. Quell’omicidio così orribile era cosa gravissima, inaccettabile. L’Imperatore allora ricalcò le orme paterne, valicò le Alpi e ritornò in Italia mentre a Roma l’anarchia era ormai così granve che anche Bonifacio VII finì avvelenato e il suo cadavere fu trascinato a ludibrio per le strade. A Pavia, intanto, Ottone III ottenne l’omaggio dei grandi del regno e fu confermato re d’Italia. Forte di questo successo, respinse l’ennesima richiesta dell’aristocrazia romana di poter designare da sè, liberamente, il successore del nuovo pontefice; nominò poi, quale nuovo papa, il suo cappellano, Bruno di Carinzia, un cugino che prese il nome di Gregorio V,  e scese a Roma per farsi incoronare imperatore. La situazione non era però affatto stabile, soprattutto in Germania dove i vecchi nemici paterni rialzavano la testa. Nonostante segni tangibili di crisi, Ottone III non s’accorse di nulla fino a quando gli slavi insorsero. Allora dovette abbandonare Roma e correre a dar loro guerra, ma a questo punto furono i Crescenzi a riprendere le armi ed a scacciare Gregorio V che, nel gennaio del 997, da Pavia, città sempre imperiale, scomunicò i suoi nemici. Di lì a qualche settimana accadde un fatto nuovo e assolutamente inaspettato: uomini armati, con un’irruzione, s’impadronirono di Vercelli e ne uccisero il vescovo. A guidarli era Arduino, Marchese d’Ivrea.

Arduino era nato nel 955, a Pombia, nella Valle del Ticino, da Dadone, conte di Pombia. Il titolo di marchese l’aveva ereditato dal cugino Corrado Conone, figlio di Berengario II, nel 990, ad appena trentacinque anni. La sua era una educazione prettamente militare. Per la piccola aristocrazia di campagna, non era prevista una strada diversa dal padroneggiare l’arte della spada, dal dedicarsi a battaglie e scorrerie. L’attitudine di Arduino ben collimava con tutto ciò: era orgoglioso, superbo, sprezzante. La presa di Vercelli dimostrò questa tempra.

La città gli si era ribellata e lui non esito a far uccidere Pietro, il vescovo che aveva aizzato gli animi, capeggiato la rivolta, armato i vercellesi, serrato le porte della città. A sorte simile era destinato un altro vescovo che dava parecchio fastidio, quello di Ivrea, Varmondo e non meno complesso era il rapporto col Vescovo di Novara, preoccupato per i suoi possedimenti di Orta. Il problema di Arduino in effetti era che nella Marca i vescovi non rispettavano la sua autorità, gli contendevano il controllo del territorio, l’amministrazione delle prerogative marchesali. Arduino, che in rappresaglia aveva occupato le terre spettanti alla chiesa eporediese, fu scomunicato da Varmondo e, tuttavia, restò fermo nei suoi propositi, senza alcun segno di ripensamento.

Il Marchese d’Ivrea non fu scalfito dalla scomunica vescovile e neppure da Gregorio V. L’ammonimento pontificio non l’indusse a riconsiderare quanto fatto forse perchè sapeva che il papa era figura assai debole in quel momento. Il soglio di Pietro traballava sotto i colpi di Crescenzi e Ottoniani e Roma era completamente nelle mani degli antimperiali ed avevano pure eletto un antipapa, Giovanni XVI. Era oltretutto evidente che dietro tali accanite lotte c’era Bisanzio, con la sua volontà di scacciare dall’Italia i duchi di Sassonia. Tuttavia la situazione nell’Urbe si rovesciò presto: gli ottoniani vi irruppero con la forza delle armi, Giovanni Crescenzi si rinchiuse in Castel Sant’Angelo e si arrese con la promessa d’aver salva la vita, ma invece fu preso e decapitato, scaraventato dalle mura del castello e trascinato in una città colma di cadaveri, anche Giovanni XVI fu catturato e orrendamente seviziato, la lingua strappata, gli occhi cavati, le orecchi e il naso mozzati.

A questo punto Arduino divenne un problema di Ottone III che voleva assolutamente ripristinare la quiete nel regno d’Italia ed aspirava ad unificare le due corone facendo di Roma il centro del Sacro Romano Impero. Per fare questo, l’Imperatore doveva recuperare l’intero patrimonio ecclesiastico, sottrarlo all’incuria, alla cattiva amministrazione, ma anche ai signorotti che avevano occupato le terre e le avevano rese prospere sottraendone la rendita alla Chiesa: il nuovo papa, Silvestro II, convocò il marchese a Roma e non si limitò a rimproverarlo come aveva fatto il suo predecessore, anzi, lo scomunicò di fronte al Sinodo e allo stesso Ottone III.

Arduino si ritirò nella Rocca di Sparone e lasciò a suo figlio Ardicino il titolo di marchese. Aveva fatto male i suoi conti. Ottone III tolse la Marca d’Ivrea anche ad Ardicino e l’affitò ad Olderico Manfredi, già marchese di Torino, mentre elesse Leone, un chierico di sua fiducia, a nuovo Vescovo di Vercelli. L’Imperatore non potè seguire la faccenda, dovette ritornare in Germania per fronteggiare i suoi oppositori, e allora i Crescenzi ripresero la loro lotta e cacciarono il papa e Arduino si ritrovò circondato da amici. Nacque un vero e proprio movimento arduinico coi i marchesi Aleramici, gli Obertenghi e tanti piccoli nobili che avevano assunto il potere acquisendo, il più delle volte precariamente, terre e diritti vescovili e che, ora che la Chiesa, sostenuta dall’Impero, voleva riprendersi tutto, erano disposti alla guerra. Questo fronte di aristocrazia militare e terriera pretendeva che i propri diritti, al pari di quelli dei grandi vassalli, fossero riconosciuti trasmissibili per eredità.

Ottone III tornò in Italia e smembrò la Marca d’Ivrea concedendo i possessi di Arduino a Leone di Vercelli, la città di Ivrea a Varmondo e ulteriori privilegi al Vescovo di Novara, inoltre punì i marchesi seguaci di Arduino, li privò di terre e riconoscimenti, investì di Asti e Aqui il marchese di Torino, sottraendo quelle città agli Aleramici, e tolse i poteri comitali su Pavia agli Obertenghi. Tuttò ciò inasprì gli animi e la richiesta di nuovi rinforzi dalla Germani fu perentoria ma la morte per lui arrivò prima. Il vaiolo lo portò via a ventidue anni. Il suo corteo funebre fu attaccato dai Crescenzi e solo con molta fatica gli imperiali riuscirono a varcare le Alpi. Quello stesso giorno Arduino fu accalmato re d’Italia a Pavia.

 

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: M. Milani, Arduino e il Regno Italico

 

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