La monetazione di Selinunte

La monetazione selinuntina comincia nel VI sec. a.C.: la città appartiene all’area del didramma (Selinunte, Agrigento, Gela e Camarina). Le monete presentano al dritto il parasemon della città: la foglia dell’apio selvatico (selinos) con almeno tre lobi, al rovescio un quadrato incuso, successivamente sostituito dalla foglia di selinos.

Le emissioni monetali di Selinunte possono essere suddivise cronologicamente secondo questi criteri: grandezza del tondello; grandezza della foglia di selinos; comparsa dei globetti (dapprima due poi quattro) indicanti il valore della moneta; comparsa della foglia di selinos sul rovescio dentro il quadrato incuso; comparsa della leggenda “SELI” sulle monete. Per quanto concerne il sistema metrologico è evidente in Selinunte l’utilizzo del sistema euboico-attico; questo tipo di monetazione adoperato dalla colonia megarese è stato riscontrato anche a Agrigento, Erice, Segesta, Palermo, Gela e Camarina. Il nominale del sistema monetario selinuntino è il didramma con un peso variabile tra 9,40 gr e 6,60 gr, seguito dall’obolo (da 0,77 gr a 0,31 gr) caratterizzato sul dritto e sul rovescio dalla foglia di apio e da un altro valore simile all’obolo nel peso ma contraddistinto dal selinos sul dritto e da un bocciolo di rosa sul rovescio; infine c’è anche un sesto di litra (da 0,13 gr a 0,06 gr) connotato dalla foglia di apio sul dritto e da due globetti sul rovescio.

Per quanto concerne la cronologia delle emissioni monetali selinuntine di epoca arcaica queste sembrano occupare un arco cronologico compreso tra il 540 e il 470 a.C..

Quanto alla foglia di selinos, essa costituisce una presenza costante nella monetazione di Selinunte. Tale simbolo è stato interpretato da alcuni studiosi come un emblema parlante della città senza alcuna valenza; tuttavia l’analisi di taluni documenti numismatici mostra come l’uso del selinos e di altre foglie in genere sia strettamente collegato, sulla moneta, al culto di alcune divinità maschili. In Sicilia, ad esempio, foglie molto simili all’apio compaiono su alcune monete secondarie di Akragas e Katane. Sulle prime la foglia appare in connessione con un granchio animale riconducibile ai culti heliaci; mentre sulle seconde si accompagna alla testa di Apollo. Questi dati hanno trovato confronto anche in alcune emissioni provenienti dalla Grecia, in particolare nella monetazione di Camiro a Rodi, isola in cui era preminente il culto di Apollo, e a Melo dove in alcune monete di V sec. a.C. compare una foglia trilobata (forse una foglia di fico) associata ad un fiore astraliforme.

 

La connessione tra il culto apollineo e il selinos trova riscontro anche nelle fonti letterarie; infatti scrive Plutarco che i selinuntini consacrarono un ramo d’oro di selinos al dio del fico (Apollo). L’apio era associato anche a Dioniso nel cui culto era contemplato l’uso di una corona fatta di questa pianta (Teocrito, Idillio III, 23) e a Eracle che fu il primo a cingersi la fronte con una corona di selinos come vincitore; inoltre durante i giochi istmici, per lungo tempo, i serti dati ai vincitori erano fatti con questa pianta. L’apio tuttavia ebbe anche una valenza sepolcrale; infatti, scrive Plutarco, era usanza diffusa cingervi le steli funerarie. Quest’ultimo dato trova rimando in un pinax locrese raffigurante Ade e Persefone seduti in trono: il dio degli inferi tiene in mano una pianta di selinos la sua compagna regge tra le mani un gallo e delle spighe.

A conferma di quanto sostenuto fino ad ora ci sono anche delle dracme selinuntine di V sec. a.C. che recano sul dritto una testa femminile accompagnata dalla leggenda EURUMEDO (Eurumedo); questo termine è composto da due parole: “EURUS”, spesso usato nei composti per indicare qualcosa di particolarmente grande, e dal verbo “MEDO” che significa “regnare”: quindi la leggenda monetale indicherebbe una divinità femminile “colei che regna grandemente” la quale etimologicamente potrebbe essere associata a quella “Pasicrateia” menzionata nell’iscrizione del tempio G e che alcuni studiosi hanno identificato come Persefone. Ancora degne di nota sono delle litre selinuntine recanti sul dritto una figura femminile che accarezza un serpente e sul retro un toro col volto umano: alcuni studiosi hanno riconosciuto in queste monete Persefone sedotta da Zeus sotto forma di serpente. L’associazione di queste due divinità trova espressione, nella colonia megarese, nel celebre santuario di Demetra Malophoros dove al culto della divinità femminile era associato anche quello di Zeus Meilichios. Il tipo monetale di Selinunte rispecchierebbe così le molteplici caratteristiche di un dio che trova nella foglia di selinos la sua più antica epifania arborea.

 

La rappresentazione degli animali è fondamentale nelle monete l’aquila per esempio riveste un ruolo molto importante nella storia della simbologia, era un simbolo di Zeus, colei che ne rispecchiava i valori fondamentali, e portava avanti e indietro la folgore che il dio adirato lanciava contro i suoi nemici. Ma l’aquila era coinvolta in storie d’amore oltre che di guerra (esempio ne è il mito di Ganimede, il giovinetto troiano rapito da Zeus). Inoltre gli antichi ritenevano che quest’uccello, partito dall’estremità del mondo, si fosse fermato sulla verticale dell’omphalos di Delfi (zona considerata solare per eccellenza) per seguire poi la traiettoria del sole, dal suo sorgere fino allo zenit, tragitto che avrebbe coinciso con l’estensione dell’asse del mondo. Il fatto che simboleggiasse il padre degli dei fece sì che i romani la scegliessero come emblema fin dai tempi della repubblica. Mentre la natura del granchio, simboleggia la conservazione della vita. E’ un simbolo legato al mare ed all’acqua e la sua immagine richiama immediatamente il principio di difesa, di un popolo e di un esercito forte come la sua corazza.

 

Autore articolo: Alessandro Rammacca, Circolo Culturale Numismatico Siciliano

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