Una famiglia tra eredità e veleni

La Chiesa dei Santi Severino e Sossio, a Napoli, in Via Bartolomeo Capasso, nasconde la storia di un dramma familiare di inizio Cinquecento tra eredità e veleni.

Sul lato destro del presbiterio sorge la Cappella Sanseverino con dei particolari sepolcri. Correva l’anno 1539 e Giovanni Merliano da Nola fu incaricato, da Ippolita De Monti, di realizzarne la costruzione: erano destinati ai tre giovani figli della donna.

Lo scultore fu affiancato da Annibale Caccavello, Giovanni Domenico D’Auria e Giovan Antonio Tenerello ed il risultato fu maestoso. I sepolcri trasmettono dolore, disperazione ed espiazione, un profondo sentimento religioso e celano all’ignaro visitatore una storia inquietante.

Essa prende l’avvio dal declino dei Sanseverino a seguito della confisca dei beni operata ai danni di Sigismondo Sanseverino, filoangioino. Le antiche proprietà furono solo in parte recuperate da suo figlio Ugo, feudatario di Saponara, in Basilicata, nel 1497 per aver giurato fedeltà all’aragonese Ferrante. Suo fratello Girolamo però era completamente estromesso da qualsiasi eredità. Alla morte di Ugo, ogni ricchezza sarebbe infatti passata ai suoi figli Giacomo, Ascanio e Sigismondo. Così questa fortuna iniziò a far gola a chi, nonostante il vincolo di sangue, serbava appetiti privi di scrupoli.

Girolamo Sanseverino compì un indicibile misfatto. Per arraffare queste fortune, egli fece avvelenare i suoi tre nipoti al ritorno da una battuta di caccia sul Monte Albano. Partecipe del mefistofelico piano fu Sancia Dentice del Pesce, sua moglie, che preparò di sua mano la pozione. La nobildonna era forse inesperta di veleni perchè l’agonia dei ragazzi si protrasse a lungo ed i tre poterono rivelare alla loro madre la colpevolezza dello zio.

Ugo si appellò alla giustizia ma, mancando prove inconfutabili che inchiodassero Girolamo, questi se la cavò con pochi anni di carcere prima che giungesse l’assoluzione per insufficienza di prove. Sua moglie fu condannata ma pagando una cauzione ottenne subito la libertà. Probabilmente il verdetto fu dovuto anche all’atteggiamento di Ugo durante i processi: preferì conservare alto il buon nome della casata evitando uno scandalo. Fu allora che Ippolita, distrutta dal dolore e privata della giustizia, lasciò la vita mondana ritirandosi nel Monastero di San Gaudioso.

Ugo Sanseverino inviò numerose lettere alla moglie pregandola di fare ritorno a Saponara ma lei non faceva altro che chiedere d’essere lasciata sola. Ippolita maledisse l’intera famiglia dei Sanseverino e con essi anche suo marito reo di non essersi vendicato di Girolamo. La maledizione pare colpì davvero le terre dei Sanseverino che furono infestate da pestilenze. Ippolita riuscì pure a far riaprire il processo nel 1532 consegnando nuovamente al carcere suo cognato, ma questi, grazie alla protezione della Duchessa di Milano, fu rilasciato insieme alla moglie. E mentre la vita sorrideva alle due sorelle dei giovani avvelenati, Beatrice ed Aurelia, finite in sposa ad esponenti di ricchi casati, di li a poco, morì in circostanze misteriose anche Ugo e l’intero patrimonio della famiglia finì nelle mani del solo Girolamo.

Nel corso degli anni, la cappella della Chiesa dei Santi Severino e Sossio si arricchì di scudi, medaglioni e iscrizioni, commemoranti numerosi membri del casato de Monti: il guerriero Alessandro de Monti, morto il 22 giugno 1622, Giulia de Monti, il cui “figliolo Geronimo pose il sepolcro l’anno 1715”, Geronimo de Monti-Sanfelice, duca di Lauriano, vissuto nella prima metà del Settecento, Salvatore di Capua-Sanseverino, principe della Riccia e marchese di Raiano, morto nel 1858.

Di questa storia restano tre adolescenti seduti con la Bibbia tra le mani, il viso rivolto verso il cielo e le armature bianche. Alla destra di chi guarda vi è il sepolcro di Ascanio raffigurante Dio tra Enoc ed Elia ed i Santi Pietro e Giovanni; dietro l’altare è posto il sepolcro di Jacopo con una Madonna col Bambino, le Sante Scolastica e Monica ed i Santi Giacomo e Benedetto; a sinistra c’è il sepolcro di Sigismondo con Cristo trionfante tra gli angeli, le Sante Gertrude e Barbara ed i Santi Nicola e Francesco d’Assisi. Ai loro piedi, oggi nascosta da un altare settecentesco, volle farsi tumulare la loro amata madre.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Fonti:

M. Perillo, Misteri e segreti dei quartieri di Napoli

F. Patroni Griffi, Ugo Sanseverino e Ippolita de Monti. Sulla feudalità meridionale nella prima metà del Cinquecento

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