La morte di Gastone di Foix

Nella Pasqua del 1512 le forze della Lega Santa uscirono sotto le mura di Ravenna contro i francesi. Il lungo combattimento li vide sconfitti, ma le fila nemiche furono rattristate da un grave lutto. In combattimento era caduto Gastone de Foix.
Era stata una battaglia tremenda e sanguinosa. I francesi assalirono la fanteria spagnola che restò imperterrita con estremo sacrificio lasciando a lungo incerte le sorte del conflitto. Si calcolarono circa ventimila morti, perlopiù fatti dalla micidiale artiglieria francese diretta da Alfonso I, duca di Ferrara. Si racconta che quando la mischia divenne un furioso corpo a corpo, gli ufficiali del duca vollero sospendere il fuoco per non colpire anche i propri alleati, ma il duca rispose loro: “Tirate senza timor di fallare, che son tutti nemici nostri”. In quella carneficina fu partecipe anche Ludovico Ariosto che descrisse così l’orribile spettacolo del campo di battaglia: “Io venni dove le campagne rosse/ eran del sangue barbaro e latino, / che fiera stella dinanzi a furor mosse: / e vidi un morto e l’altro si vicino: / che, senza premer lor, quasi il terreno / a molte miglia non dava il cammino”. Eppure questo massacro non rappresentò per le armate di Francia che una vittoria di Pirro, forse proprio perchè quel giorno cadde il suo più grande ingegno militare, il duca di Nemours.

Gastone di Foix, nato nel 1489, contava solo 23 anni quando fe messo a capo dell’esercito in Italia, nel 1512. Le sue grandi e rapide imprese gli valsero il soprannome di Folgore d’Italia perchè in appena tre mesi aveva costretto gli spagnoli di Pedro Navarro a togliere l’assedio da Bologna, aveva sbaragliato i veneziani di Giampaolo Baglioni e si era impossessato di Brescia. Cadde, ma inflisse all’esercito di Giulio II una terribile sconfitta a Ravenna.

Il Brantome così ne narrò la fine: “Il Foix vittorioso stava insanguinato e lordo delle cervella sparse di un cavaliere colpito dall’artiglieria presso di lui. Baiardo, il cavalier senza macchia e senza paura, vistolo i ntale stato venne a lui e dimandollo se fosse ferito: No – disse il feroce giovane – ma sì bene ne ho feriti molti. Voi avete vinto e siete ora il più onorato principe della terra: ma non vi inoltrate e riunite le vostre genti d’arme in questo luogo e sopratutto riguardate il saccheggio.Io ed il capitano Luigi d’Ars inseguiamo i fuggiaschi; ma per uomo vivente non vi movete di qui se non veniamo noi stessi o mandiamo per voi”. Il duca lo promise, ma poco dopo spronò il suo cavallo sul nerbo delle fanteria spagnole che indietreggiavano in buon ordine verso il Ronco. Circondato, finì trafitto dai colpi.

Il suo feretro fu condotto a Milano, accompagnato da più di diecimila uomini a cavallo e da quaranta bandiere tolte ai nemici, strascinate per terra davanti al feretro. Il cadavere era preceduto da illustri prigionieri, fra cui Pedro Navarro, il Cardinale Giovanni de Medici ed il Marchese di Pescara. Il Duomo diede l’ultimo saluto al condottiero e fu per lui anche l’ultimo giaciglio.

Accanto all’altare maggiore, infatti, fu eretto un monumentale sepolcro. Francesco I ne incaricò Agostino Busti detto il Bambaia. Per lunghe vicende storiche l’opera restò incompiuta ma ciò che resta è sorprendente. Vi vediamo la la partenza di Gastone de Foix da Bologna, uno scontro di cavalleria a Brescia e la presa della città, l’ingresso trionfale a Bologna, la Battaglia di Ravenna, il cavalier Boiardo che tenta di impedire al condottiero di inseguire i nemici sconfitti e poi i suoi funerali. Sopravvissuta è pure la statua a grandezza naturale dell’eroe giacente. Avrebbe dovuto chiudere il sarcofago. Anch’essa si conserva al Castello Sforzesco e mostra Gastone di Foix con una espressione pensosa e triste, i capelli tagliati a frangia sulla fronte, una leggera barba, un armatura priva di fregi.

I numerosi pezzi realizzati non furono mai assemblati, e rimasero giacenti nella Chiesa di Santa Marta dove li vide anche Vasari descrivendoli così: “ell’è tale quest’opera che mirandola con stupore stetti un pezzo pensando se è possibile che si facciano con mano e con ferri sì sottili e maravigliose opere, veggendosi in questa sepoltura, fatti con stupendissimo intaglio, fregiature di trofei, d’arme di tutte le sorti, carri, artiglierie e molti altri instrumenti da guerra, e finalmente il corpo di quel signore armato e grande quanto il vivo, quasi tutto lieto nel sembiante così morto, per le vittorie avute. E certo è un peccato che quest’opera, la quale è degnissima di essere annoverata fra le più stupende dell’arte, sia imperfetta e lasciata stare per terra in pezzi, senza essere in alcun luogo murata, onde non mi maraviglio che ne siano state rubate alcune figure e poi vendute e poste in altri luoghi”.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: C. Oman, A History of the Art of War in the Sixteenth Century, Oxford, 1937; P. Pieri, Il Rinascimento e la crisi militare italiana, Torino, 1952

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