La personalità di Alessandro Farnese

Alessandro Farnese è l’esempio perfetto di una figura tipica della sua epoca, quella del condottiero aristocratico italiano che devolve il suo genio al servizio della Spagna ma senza poterne essere altro che un vassallo.

Fu uno degli eroi di Lepanto, dove, appena ventiseienne, si ritrovò circondato da tre galere turche, ma si lanciò, solo, all’arrembaggio spronando i suoi a conquistare la nave nemica, che conteneva il tesoro della flotta ottomana. L’episodio è a tutti noto, ma della sua vita ne vengono in mente molti altri. Tre li eleviamo a chiave per la comprensione della sua personalità:

  • a Maastricht, nel 1579, quando scelse di accogliere i valloni nel suo campo militare e li sorprese destinando loro tutti gli onori, portandoli così ad accettare il dominio spagnolo ed a siglare il trattato di Arras;
  • all’assedio di Oudenaarde, nel 1582, quando restò seduto alla tavola che aveva fatto imbandire sui tamburi della scorta mentre le cannonate decapitavano vari ufficiali suoi commensali, spiegando che non poteva mostrare a dei borghesi eretici di aver paura, così nessuno osò lasciare il pranzo;
  • ad Anversa, nel 1585, durante l’assedio che sbloccò con la costruzione di un ponte di barche sul fiume Schelda, quando, sconfitti gli assediati, proibì alle proprie truppe violenze e saccheggi e consentì alle famiglie protestanti di restare in città con libertà di culto.

Fermezza, rispetto e lungimiranza politica, le doti di Alessandro Farnese erano queste e per esse fu stimato dagli stessi fiamminghi: “La sua valenza militare, la sua clemenza verso i popoli conquistati, la sua inclinazione ad una certa tolleranza religiosa, la disciplina da lui mantenuta nell’esercito, al cura che, fra tante difficoltà, pur si prendeva degli interessi delle provincie a lui affidate, l’esatta osservanza dei patti e delle franchigie del paese, che dimostrava convocando tratto tratto gli Stati Generali, la fiducia che riponeva negli indigeni, da lui collocati nelle primarie cariche civili e militari, tutta insomma la sua condotta, diametralmente opposta a quella dei precedenti governatori gli aveva guadagnato presso le popolazioni non ligie alla famiglia d’Orange, un rispetto ed un’affezione, che contrastavano singolarmente coll’odio feroce che avevano incontrato il duca d’Alba, il Requesens, e con minor colpa, lo stesso don Giovanni d’Austria” (P. De Fea, Alessandro Farnese).

Una figura del genere non poteva che suscitare invidia e risentimenti.

Nella vita di Alessandro Farnese ebbe un ruolo determinante suo zio Filippo II. Fratello della madre, Margherita d’Austria, il re di Spagna indirizzò Alessandro Farnese alla carriera militare e politica, influendo pesantemente anche sulle sue scelte private. Per quattordici anni lo volle governatore dei Paesi Bassi, impegnato nella riconquista dei territori ribelli del sud con poteri così ampi che, all’interno della Monarchia Cattolica, nessun italiano, forse, mai ebbe. Tuttavia il rapporto tra i due non fu totalmente idilliaco.

E’ vero che il Duca di Parma si mostrò soldato di valore e politico completo ma il contesto in cui si mosse fu insidioso, difficile, irto di ostacoli, soprattutto di invidie e rivalità.

Quando Filippo II accettò il consiglio di don Giovanni d’Austria ed affidò al Farnese l’esercito dei Paesi Bassi scatenò le vivaci lagnanze dei nobili castigliani che mal tolleravano incarichi attribuiti a forestieri. Le Fiandre, del resto, erano il cuore dei domini che Filippo II aveva ereditato dal nonno Carlo V, sconcertava vederli affidati ad un italiano. Tuttavia proprio un italiano, un aristocratico vincente sui campi di battaglia, astuto ma dominato dalla prudenza, poteva essere il rimedio ad una situazione tesissima in cui le crudeltà del Duca d’Alba avevano esacerbato la lacerazione religiosa di un popolo.

L’ostilità castigliana animò in particolar modo il “partito ebolista” che inviò nelle Fiandre il Duca di Pastrana, figlio di Ruy Gomez de Silva e di Ana de Mendoza principessa d’Eboli. Tra lui e Farnese c’erano vecchie ruggini: il Duca di Parma aveva posto agli arresti domiciliari il nobile spagnolo nel 1859, a Breda, dopo lo scontro che questi aveva tenuto con il capitano italiano Odoardo Lanzavecchia a Geertruidenberg. Ritrovarselo lì lo spinse ad atteggiamenti più avveduti e sospettosi che furono intesi da molti come “sentimenti antispagnoli”. Il contrasto col Duca di Pastrana esplose, non a caso, nell’ammutinamento del tercio vejo da egli guidato. D’innanzi a questo fatto gravissimo Alessandro Farnese rispose sciogliendo l’unità. Fu un provvedimento severissimo, fatto passare come una riorganizzazione delle truppe, che infervorò i suoi nemici.

Ma le polemiche, gli attacchi pungenti, le contestazioni furono continue. Quando la guarnigione spagnola a Piacenza fu travolta da una sollevazione popolare, Alessandro si impegnò con forza per garantire la vita ai sei piacentini incriminati di sedizione, tra essi il suo fedele Bernardino Mandelli, e ciò fece sorgere parecchi malumori a Madrid. Anche l’opposizione più volte manifestata ad una campagna militare nella Francia delle guerre di religione fu vista dai suoi antagonisti come il tentativo di frenare una egemonia completa della Spagna in Europa che avrebbe di fatti annientato la libertà dei principi italiani, invece egli sosteneva semplicemente la necessità immediata di sottomettere anche il Nord delle Fiandre anziché sottrarre forze da mandare in altri fronti. Nonostante questo combattè con valore in Francia.

Lo si accusò pure di prediligere sempre i soldati italiani nelle Fiandre. La realtà è che i suoi connazionali erano meno detestati degli spagnoli da quelle popolazioni e per questo affidò loro grande rilievo. Fu persino lui il primo a stabilire che le compagnie italiane fossero pagate come quelle spagnole.

Anche la fiducia che Farnese aveva acquisito presso i fiamminghi destava sospetto, si temeva che volesse impadronirsi del paese con l’appoggio della popolazione e certe voci si rafforzavano davanti ad un certo stile di vita: a Bruxelles il Duca di Parma era quasi un sovrano, alloggiava nell’appartamento di Carlo V a Palazzo Reale e la sua corte era immensa e sfarzosa.

Tuttavia, in seguito al disastro dell’Armada, anche la protezione di Filippo II declinò.

La morte, il 3 dicembre 1592 ad Arras, giunse prima che gli venisse comunicata la sua sostituzione come governatore dei Paesi Bassi. La fortuna gli arrise, schivò così una amara umiliazione pubblica dopo un’intera vita al servizio della Spagna, sacrificando i suoi interessi personali..

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: R. Lattuada (a cura di), Alessandro Farnese un grande condottiero in miniatura; G. Bertini, Alessandro Farnese fra Italia, Spagna e Paesi Bassi

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