La strage nazista del Lago Maggiore

Nel settembre del 1943, sul Lago Maggiore, cinquantasette ebrei furono massacrati e buttati nelle acque del lago. Fu la prima strage nazista compiuta in Italia dopo l’8 settembre, quando non era ancora stata proclamata la repubblica di Salò. Quel fazzoletto di terra, all’inizio del mese, aveva preso ad ospitare ebrei italiani, sfollati da Milano in seguito ai bombardamenti, ed ebrei in fuga dalla Grecia. Sfortunatamente proprio in quelle settimane colonne di mezzi militari tedeschi occuparono il territorio, avviando rastrellamenti di civili, ebrei e polacchi.

Le SS arrivarono a Stresa domenica 12 settembre. Una colonna si fermò davanti all’Hotel Regina e provarono a requisire l’albergo, ma non vi riuscirono perchè apparteneva ad un cittadino svizzero e la Svizzera era inflessibile nel far valere la sua neutralità. Si spostarono allora all’ex villa Ducale, collegio dei padri rosminiani e lo occuparono senza sentir ragioni. Vi trovarono nascosti alcuni soldati italiani sbandati, ma li lasciarono liberi. I tedeschi raggiunsero poi il municipio e chiesero le liste degli ebrei e passarono all’azione: su dieci ne catturarono due, Giuseppe Ottolenghi e sua figlia Lina, altri furono fatti scappare dai cittadinie dal parroco don Angelo Ricci.

A Baveno, il 13, i nazisti si installarono all’Hotel Beaurivage e presero Emil Serman, sua moglie, Maria, la sorella e la madre di lei, anche un amica polacca. Il giorno dopo prelevarono una ebrea convertita, Maria Caroglio, e poi un anziano rabbino ed una settantenne polacca, Fanny Jette Engel. Di loro non si seppe più nulla. Egual sorte toccò anche all’intera famiglia di Mario Luzzato, per anni direttore della sede di Londra della Pirelli. Successivamente fu organizzata una messa in scena in cui il podestà Columella, attorniato da ufficiali delle SS, lesse alla popolazione due finte lettere dei capifamiglia rastrellati in cui questi ultimi tranquillizzavano i cittadini sul loro destino e donavano dei soldi ai poveri del paese.

Il 15 del mese, un mercoledì, le Leibstandarte Adolf Hitler arrivarono a Meina. Qui trovarono un nutrito gruppo di ebrei greci fuggiti da Salonicco, ospiti dell’Hotel Meina, di proprietà di Alberto Behar, ebreo turco. Furono rinchiusi al terzo piano. Sintomatica del corraggio e della dignità con cui gli ebrei restarono uniti è la testimonianza di Elena Meroni in Veronesi: “Abitavo a Meina a poca distanza dall’albergo dove c’erano gli ebrei. Li conoscevo tutti, in modo particolare i Fernandez Diaz perchè i loro ragazzi giocavano coi miei. Eravamo sfollati da Milano. La mattina del 15 settembre, io ero in giro a fare la spesa, quando l’albergo fu circondato dalle SS. Ho visto Fernandez Diaz, il papà dei ragazzi, che stava tornando in albergo insieme al signor Mosseri. Erano andati a comprare il giornale e stavano leggendolo. Li ho fermati e li ho fatti entrare nella rivendita di pane del Barbaglia. Gli ho detto che, all’Hotel Meina, c’erano i tedeschi. Loro mi hanno chiesto di andare a vedere costa stava succedendo. Mi avrebbero aspettato al Barbaglia. Tornata al panificio ho trovato un biglietto. L’avevano scritto il Mosseri e il Fernandez Diaz. Mi ringraziavano e mi facevano presente che non potevano dividere la loro sorte da quella dei loro familiari. Perciò erano rientrati in albergo. Mi raccomandavano di buttare il foglietto nel forno del Barbaglia”.

Il 22 settembre ai prigionieri dell’Hotel Meina fu annunciato che sarebbero stati deportati in un campo di lavoro. Il viaggio iniziò quella notte, ma non raggiunsero mai la destinazione. I tedeschi li freddarono a colpi di pistola e ne abbandonarono i corpi nelle acque del Lago Maggiore. I Behar furono risparmiati perchè cittadini turchi, ben protetti dal loro console. Il giorno dopo, visto che le correnti avevan fatto riaffiorare i cadaveri e che questi erano stati riconosciuti dalla gente del luogo suscitando grande orrore, le SS riportarono i corpi al largo, li legarono col fil di ferro e li massacrarono con le baionette per farli riaffondare.

A quell’eccidio ne seguirono altri analoghi ad Arona ed Orta, dove vennero prelevati lo zio e il cugino di Primo Levi, Mario e Roberto.

 

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: M. Nozza, Hotel Meina

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