Emanuele Filiberto di Savoia al seguito di Carlo V

Il momento in cui avrebbe impugnato la spada accanto a Carlo V stava per arrivare, Emanuele Filiberto doveva solo pazientare e prepararsi nelle arti militari.

Tornato a Nizza, Carlo II ricevette una proposta da Francesco I: in cambio della rinuncia al Piemonte, il re di Francia gli offriva l’immediata restituzione della Savoia. Il rifiuto fu categorico. Di li a qualche mese dalla Francia sarebbe giunto un nuovo esercito ad invadere i territori piemontesi controllati dal Duca. La minaccia si estese anche a Nizza dove Solimano, alleato dei francesi, spedì la flotta corsara di Barbarossa. Il Duca e il figlio, avvisati in tempo da emissari imperiali, ripararono a Vercelli mentre Nizza visse l’assedio per mare e per terra, difendendosi con disperato valore ed arrendendosi dopo ventidue giorni. La conquista di Nizza però non fu completata. La cittadella restò in mano ai sabaudi guidati da Odinet de Monfort e ciò fece desistere i francesi dal permanere in città. I turchi, oltretutto, volessero le prore verso Antibes, mentre si seppe che erano in arrivo le truppe del D’Avalos.

Il Marchese di Pescara recuperò ai Savoia diverse città, Mondovì, Carignano, Ivrea ma a Ceresole fu battuto dal Duca d’Enghien perdendo più di ottomila fanti. Intanto però la lega antimperiale voluta dalla Francia, con Inghilterra e principi protestanti di Germania, si sfaldava. Fu Carlo V ad attaccare la Francia con Enrico VIII: gli inglesi presero Boulogne, gli imperiali la Piccardia e la Champagne, giungendo persino a Parigi. Re Francesco si vide costretto a chiedere la pace. A Crespy, dove furono firmati gli accordi, il francese si impegnò ad evacuare il Piemonte in cambio del matrimonio tra Maria d’Austria ed il Duca d’Orleans, suo terzogenito.

Terminata la guerra di Francia, Carlo mise al bando l’Elettore di Sassonia Giovanni Federico e gli altri capi protestanti e riaccese il conflitto in Germania.

Emanuele Filiberto, ormai diciassettenne era travolto da una incontenibile voglia di combattere. Fece numerose richieste al padre e finalmente, dopo tanto penare, ottenne di essere inviato all’Imperatore affinché fosse accolto tra i suoi soldati.

Emanuele Filiberto partì da Vercelli nel maggio del 1545 con un seguito di quaranta persone tra cui Giovanni Battista Provana, Vescovo di Nizza, e Aimone di Lullin, Conte di Ginevra. Raggiunse Worms, dove era il campo imperiale, dopo due mesi di viaggio. Carlo V lo ricevette con i dignitari della corte e gli alti ufficiali dell’esercito. Alfondo d’Avalos condusse il giovane al cospetto di Carlo V, poi Emanuele Filiberto fece omaggio a Ferdinando, fratello dell’Imperatore. Da quel giorno alla mensa, al campo, nelle riunioni, egli fu sempre accanto a Carlo V e fu pure onorato del titolo di Altezza, all’epoca non concesso ai duchi. Gli fu anche assegnato uno stipendio di seimila scudi che raramente ricevette e sempre in modo incompleto. A quanto pare, visse davvero con poche risorse e, se un mulattiere non gli avesse fornito segretamente trecento scudi, non avrebbe potuto seguire l’esercito imperiale.

Non dimenticò il Piemonte. Un memoriale in cui erano esposte le tristissime condizioni dei territori del Ducato di Savoia fu presentato all’Imperatore, ma senza alcun esito. Nel frattempo il Maresciallo di Brissac, francese, giunse al campo imperiale con l’incarico segreto di spiare Carlo e portare Emanuele Filiberto alla causa di Francia. Brissac consegnò pure a Emanuele Filiberto una lettera scritta da Francesco I, ma ogni tentativo di conquistarlo alla causa francese però fallì. Emanuele Filiberto ascoltò in silenzio ogni proposta e rispose sempre con avvedutezza e prudenza. Non avrebbe mai abbandonato l’Imperatore, anzi gli riferì l’abboccamento tentato da Brissac e fu molto lodato per la sua fedeltà.

Intanto la guerra s’inaspriva e Carlo V spedì l’emissario Cilly al Duca di Savoia affinché richiamasse suo figlio per toglierlo dai pericoli di quel conflitto. Emanuele Filiberto, informato di ciò, fece seguire il messo imperiale da un suo inviato con una seconda lettera in cui sollecitava il padre a rispondere negativamente alla richiesta imperiale. Fu così che Carlo II lasciò suo figlio presso l’esercito di Carlo V, comandato dal Duca d’Alba.

Emanuele Filiberto continuò ad essere logorato dalla mancanza di denaro, dovette pure ordinare la vendita dei beni ereditati dalla madre ad Asti, Cherasco e Ceva. Fu però premiato da Carlo V che gli affidò il comando dei gentiluomini della casa imperiale e della cavalleria fiamminga che custodivano lo stendardo con le immagini di Sant’Antonio, Sant’Andrea e San Giorgio: era il comando che in precedenza aveva avuto Massimiliano, figlio di re Ferdinando.

Il 23 agosto del 1546, a Ingolstadt, fu il giorno della battaglia decisiva. Carlo V a cavallo e a capo scoperto percorse il fronte incitando i suoi. Accanto a lui, tutto il giorno, cavalcò Emanuele Filiberto, mentre i proiettili uccidevano soldati e cavalli della guardia e laceravano la bandiera imperiale.

A fine giornata l’Imperatore brindò a Emanuele Filiberto.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

 

Bibliografia: G. Reisoli, Testa di Ferro, il vincitore di San Quintino; C. Moriondo, Testa di Ferro. Vita di Emanuele Filiberto di Savoia

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