Nizza 1543: quando Francesco I perse anche l’onore

Sconfitto e fatto prigioniero nella Battaglia di Pavia, re Francesco I di Francia scrisse a sua madre che “tutto era perduto, tranne la vita e l’onore”. Senz’ombra di dubbio, il re però perse anche l’onore quando il suo fedelissimo Antonio de Lagarde stipulò il trattato d’alleanza con i turchi in virtù del quale, nella primavera seguente, Barbarossa condusse la sua flotta al saccheggio delle coste italiane e poi di Nizza.

Il 28 aprile del 1543, il corsaro salpò da Istanbul con centododici galee, quaranta navi e quattordicimila uomini. Saccheggiò le coste calabresi, bruciò Reggio, poi si diresse a Marsiglia sbarcando in quel porto, celebrato dai francesi, tra le fila di giannizzeri. Lì il Barbarossa vendette pubblicamente i cristiani rapiti in Calabria e lì francesi e ottomani concordarono anche la presa di Nizza che Francesco I intendeva togliere a suo zio Carlo II di Savoia.

Domenica 5 agosto 1543, la flotta franco-turca, comparve nelle acque nizzarde, muovendosi a vele spiegate verso alla rada di Villafranca. Si contavano 120 galee turche affiancate dal naviglio francese composto da 22 galee, 4 maone e 40 fregate. I francesi aveva già provato a prendere la città ma erano stati respinti dalle navi di Andrea Doria. Stavolta però, vistosi superare in numero di navi da guerra, il genovese ripiegò in acque liguri e Nizza si trovò sola a respingere quell’alleanza senza onore tra il più ricco mercante di schiavi cristiani ed il “re cristianissimo”.

I nizzardi respinsero le intimazioni di resa avanzate dal Barbarossa, da Francesco di Borbone Duca d’Enghien e Leone Strozzi ed il 7 agosto iniziarono i primi scontri nella piana del Riquier. I cittadini in armi s’affiancarono al presidio militare del colonnello Lascaris di Castellar, ma il vero assedio ebbe inizio solo il giorno 10, preceduto da una nuova intimazione di resa ancora una volta respinta. I franco-turchi piantarono le loro artiglierie sulle colline di Cimiez, Montboron, Montgros e iniziarono a cannoneggiare il castello e la città. Per tre giorni rimbombarono circa milleduecento colpi. Gli assediati resistettero e riuscirono a disfare le batterie nemiche del Monboron. Il sedici, però, i giannizzeri si scagliarono su due brecce aperte nei bastioni, guidati da Alì Dragut. L’iniziativa ebbe successo ed i turchi dilagarono in città levando, sul bastione di San Giorgio, il vessillo con la mezzaluna.

E’ qui che la storia lasciò spazio alla leggenda.

Caterina Segurana, una giovane lavandaia, tagliò la strada ai difensori in fuga, rivolse loro parole d’incitamento ed alla fine un drappello di valorosi si costituì attorno a lei. Qualcuno pensò si trattasse d’apparizione mariana, invece era solo una coraggiosa ragazza che uscì dal capannino d’uomini e si precipitò su di un giannizzero strappandogli la bandiera e colpendolo. Gli uomini la seguirono con un impeto tale che i turchi furono respinti.

Caddero Gian Francesco Lascaris di Castellar, Gioannetto Papacino, Bartolomeo di San Giovanni, Erasmo Galleani, Lodovico Dalange, Girolamo Sangro… ma Nizza era per ora salva.

Il 19 ricominciò il cannoneggiamento mentre le campagne erano saccheggiate dai turchi che fecero tra i 500 ed i 1500 prigionieri inviandoli subito in Oriente e solo per caso intercettati dalla flotta spagnola al largo della Sardegna e liberati. La città fu presa, il Barbarossa in persona, risoluto a non perder altro tempo, sbarcò e penetrò nella città rubando un ricco bottino di ori delle chiese e oltre duemila prigionieri.

A resistere c’era solo la cittadella, sottoposta da quattro giorni di continuo cannoneggiamento. Qui apparve ancora lei, Caterina Segurana. La giovane che fu vista piantare la bandiera turca alla rovescia sulle mura della rocca. Bastò quel gesto per riaccendere gli animi. Tra i suoi difensori c’eran Marcantonio Galleani, Gian Andrea di Falicon e Paolo Simeoni Balbo di Oneri, il cavaliere di Rodi che, prigioniero a Tunisi con seimila schiavi cristiani, con una lima li aveva liberati e alla lor testa s’era impadronito di quel castello rimettendolo a Carlo V.

Il 9 settembre quando dai monti di Briga echeggiarono i tamburi e si videro comparire gli squadroni di cavalleria e i fanti sabaudi e spagnoli guidati da Alfonso d’Avalos, Marchese di Pescara, e dal duca Carlo II in persona. Il duca d’Enghien abbandonò tutto, anche le artiglierie, e arretrò in fretta verso la Provenza, anticipato dal Barbarossa che, avvistata la flotta del Doria, aveva preso il largo.

I turchi restarono di fronte a Cannes, acquartierati nelle isole di Lerino che la Francia aveva loro concesso come base. Della Giovanna d’Arco di Nizza scomparve ogni traccia ma Nizza era stata recuperata ai Savoia ed alla cristianità. In tutta l’Europa però l’esecrabile accordo tra il giglio e la mezzaluna lasciò tutti costernati: Francesco I aveva perso anche l’onore.

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: E. Emanuel, Il 15 agosto in Nizza- Cenni storici; F. Gabotto, Caterina Segurana

 

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